Fusione nucleare fredda
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Fusione nucleare fredda (anche fusione fredda[N 1]) è il nome generico attribuito a presunte reazioni di natura nucleare che si produrrebbero a pressioni e a temperature minori di quelle necessarie per ottenere la fusione nucleare, diminuendone così notevolmente le difficoltà tecniche. L'opinione di gran lunga prevalente all'interno della comunità scientifica è che tutte le evidenze sperimentali proposte non siano altro che l'effetto di errori di misurazione, oppure di fenomeni sostanzialmente chimici, comunque non nucleari.
Il termine divenne molto popolare nel 1989 a seguito di alcuni esperimenti da parte di Martin Fleischmann e Stanley Pons dell'Università dello Utah a Salt Lake City (trasferitisi nel 1992 in Provenza per lavorare presso i laboratori IMRA, parte della Technova Corporation del gruppo Toyota), esperimenti che vennero ripetuti da vari laboratori senza però ottenere conferme del fenomeno in termini di riproducibilità. Ciò alimentò un forte scetticismo scientifico e talora persino l'idea di una bufala o frode scientifica da parte di pseudoscienziati[1], oltre alla critica di aver divulgato una "scoperta" non sufficientemente verificata. L'esistenza stessa di questi fenomeni è rimasta piuttosto controversa anche negli anni successivi. Alcuni ricercatori che svolgono ricerche in questo campo preferiscono usare più propriamente il termine trasmutazione LENR[2].
Sulla possibilità di fusione a bassa energia furono pubblicati anche studi teorici, tra i quali quelli di Giuliano Preparata dell'Università di Milano. Tra i tentativi più recenti, nel maggio 2008 Yoshiaki Arata, insieme alla collega Yue-Chang Zhang, ha mostrato pubblicamente ad Osaka un reattore funzionante con pochi grammi di palladio. Anche in questo caso l'esperimento non è stato ripetuto e non ha avuto una pubblicazione scientifica.