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rinuncia volontaria di un papa al proprio ministero Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La rinuncia all'ufficio di romano pontefice o rinuncia al munus petrino o rinuncia papale[1] (in latino: renuntiatio muneris) è un istituto giuridico previsto dal codice di diritto canonico che regola le modalità di cessazione di un papa dal proprio ufficio per dimissioni volontarie; essa costituisce l'unica altra causa di cessazione oltre alla morte del pontefice. In questa circostanza, il codice di diritto canonico evita di utilizzare l'espressione "abdicazione" o "dimissione", e utilizza il verbo "rinunciare"[2].
Si tratta di un evento molto raro: oltre a quello di Benedetto XVI (28 febbraio 2013)[3], nella storia del papato vi sono stati pochi altri casi di cessazione per rinuncia; per quelle dei papi Ponziano (28 settembre 235), Silverio (11 marzo 537), Benedetto IX (1º maggio 1045), Gregorio VI (20 dicembre 1046), Celestino V (13 dicembre 1294) e Gregorio XII (4 luglio 1415)[4] esistono fonti certe, mentre per quanto riguarda le rinunce di Clemente I (97), Marcellino (25 ottobre 304) e Giovanni XVIII (giugno 1009) la cronologia cattolica si affida alla tradizione.
Più precisamente le motivazioni furono le seguenti:
Nel XII secolo i giuristi cominciarono a porsi il problema dell'ammissibilità di una rinuncia al papato, cercando di distinguere le eventuali cause legittime da quelle inammissibili, e ponendo anche il problema dell'inesistenza di un superiore gerarchico nelle cui mani il papa in carica potesse rassegnare le dimissioni.
Il giurista Giovanni Bassiano sosteneva che la rinuncia fosse ammissibile in due casi: nel desiderio di dedicarsi esclusivamente alla vita contemplativa e nel caso di impedimenti fisici dovuti a malattia e a vecchiaia: «Posset papa ad religionem migrare aut egritudine vel senectute gravatus honori suo cedere».[7]
Il canonista Uguccione da Pisa confermava le osservazioni di Bassiano precisando che la rinuncia non doveva comunque danneggiare la Chiesa e doveva essere pronunciata di fronte ai cardinali o a un concilio di vescovi.[8]
Le decretali di papa Gregorio IX, pubblicate nel Liber Extra del 1234, precisavano altre cause di rinuncia: oltre alla debilitazione fisica, veniva rintracciata l'inadeguatezza del papa per defectus scientiae, nell'aver commesso delitti, nell'aver dato scandalo («quem mala plebs odit, dans scandala cedere possit») e nell'irregolarità della sua elezione, ma si escludeva quale legittimo motivo di rinuncia il desiderio di condurre una vita religiosa, il cosiddetto zelum melioris vitae, già ritenuto ammissibile dai canonisti.[9]
Nell'immediatezza della rinuncia di papa Celestino V, altri interventi di canonisti, come il francescano Pietro di Giovanni Olivi[10] e i teologi della Sorbona Godefroid de Fontaines[11] e Pierre d'Auvergne[12], avallarono la decisione del papa abruzzese, mentre i cardinali nemici di Bonifacio VIII, Giacomo e Pietro Colonna, presentarono nel 1297 tre memoriali[13] intesi a dimostrare l'illegittimità della rinuncia di Pietro da Morrone. Contro la rinuncia di Celestino si espressero anche Iacopone da Todi e Ubertino da Casale, il quale nel 1305 la giudicò una horrenda novitas, avendo favorito le successioni degli «anticristi» Bonifacio VIII e Benedetto XI.[14]
Successivamente alla rinuncia di Celestino V, fu papa Bonifacio VIII a eliminare ogni condizione ostativa e a stabilire l'assoluta libertà del pontefice in carica a rinunciare al papato, emanando la decretale Quoniam aliqui:
«Papa Celestino V nostro predecessore [...] con autorità apostolica stabilì e decretò che il Romano Pontefice può liberamente rinunciare. Noi pertanto, affinché una decisione di questo genere non cada nell’oblio per il passare del tempo, o accada che il dubbio conduca ulteriormente a recidive discussioni, abbiamo stabilito su consiglio dei nostri confratelli che lo stesso sia da inserire tra le altre costituzioni a perpetua memoria»
Tale norma fu recepita anche dal Codex Iuris Canonici del 1917, nel canone 221, secondo il quale la validità delle dimissioni del pontefice non è condizionata o sottoposta all'assenso dei cardinali o di altri.
«Si contingat ut Romanus Pontifex renuntiet, ad eiusdem renuntiationis validitatem non est necessaria Cardinalium aliorumve acceptatio»
Il Codice di diritto canonico (Codex Iuris Canonici) del 1983 contempla la rinuncia all'ufficio di romano pontefice al secondo comma del can. 332[16][17][18]:
«Can. 332 § 2. Si contingat ut Romanus Pontifex muneri suo renuntiet, ad validitatem requiritur ut renuntiatio libere fiat et rite manifestetur, non vero ut a quopiam acceptetur.[19]»
«Can. 332 - §2. Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.[20]»
Una disposizione analoga è contenuta al secondo comma del can. 44 del Codice dei canoni delle Chiese orientali (Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium), che recita:
«Si contingit, ut Romanus Pontifex muneri suo renuntiet, ad validitatem requiritur, ut renuntiatio libere fiat et rite manifestetur, non vero, ut a quopiam acceptetur.[21]»
«Can. 44 - §2. Se capita che il Romano Pontefice rinunci alla sua funzione, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e sia debitamente manifestata; non si richiede invece che sia accettata da qualcuno.[22]»
I cann. 187 e 189 del Codice di diritto Canonico disciplinano invece in generale i casi di rinuncia agli uffici canonici, e recitano:[23]
«Can. 187. Chiunque è responsabile dei suoi atti può per giusta causa rinunciare all'ufficio ecclesiastico.»
«Can. 189 - §1. La rinuncia, perché abbia valore, sia che necessiti di accettazione o no, deve essere fatta all'autorità alla quale appartiene la provvisione dell'ufficio di cui si tratta, e precisamente per iscritto oppure oralmente di fronte a due testimoni.»
I canoni non specificano tuttavia quale sia l'autorità alla quale il pontefice debba manifestare la propria rinuncia, ma alcuni commentatori, hanno suggerito che nel caso di rinuncia pontificia, l'autorità alla quale presentare la rinuncia sia il Collegio cardinalizio, in quanto autorità investita della nomina del nuovo pontefice.[24] Ciò è ad esempio accaduto al momento della rinuncia di Benedetto XVI, annunciata in concistoro.[25]
# | Nome pontificale | Stemma | Inizio pontificato | Fine pontificato | Nome secolare | Luoghi di nascita e sepoltura |
---|---|---|---|---|---|---|
4 | Clemente I | 88 | 97[26][27][28] (dubbia: rinuncia tramandata dalla tradizione) | Roma, Impero romano; Basilica di San Clemente al Laterano, Roma | ||
18 | Ponziano | 21 luglio 230 | 28 settembre 235[29] | Roma, Impero romano; Catacombe di San Callisto, Roma | ||
29 | Marcellino | 30 giugno 296 | 25 ottobre 304[30] (dubbia: rinuncia dedotta dal confronto di due opere medievali)[31] | Roma, Impero romano; Catacombe di Priscilla, Roma | ||
58 | Silverio | 8 giugno 536 | 11 marzo (11 novembre) 537[30][32] | Frosinone; Isola di Palmarola, Ponza, LT | ||
141 | Giovanni XVIII | 25 dicembre 1003 | giugno 1009[33][34][35] (dubbia: rinuncia menzionata solo in due opere medioevali) | Giovanni Fasano | Roma, Stato Pontificio; Basilica di San Pietro, Roma | |
147 | Benedetto IX | 1º: 1º gennaio 1033 2º: 10 marzo 1045 3º: 8 novembre 1047 | 1º: 13 gennaio 1045 2º: 1º maggio 1045 3º: 17 luglio 1048[30][36] | Teofilatto dei Conti di Tuscolo | Roma, Stato Pontificio; ? | |
148 | Gregorio VI | 5 maggio 1045 | 20 dicembre 1046[26][37] | Giovanni Graziano | Roma, Stato Pontificio; ? | |
192 | Celestino V | 5 luglio 1294 | 13 dicembre 1294[38] | Pietro Angeleri | Molise, Regno di Sicilia; Basilica di Santa Maria di Collemaggio, L'Aquila | |
205 | Gregorio XII | 30 novembre 1406 | 4 luglio 1415[36][39] | Angelo Correr | Venezia, Repubblica di Venezia; Concattedrale di San Flaviano, Recanati, MC | |
265 | Benedetto XVI | 19 aprile 2005 | 28 febbraio 2013[40][41] | Joseph Aloisius Ratzinger | Marktl, Germania; Città del Vaticano |
C'è inoltre il caso dubbio di Liberio: alcuni storici hanno ipotizzato che egli avesse abdicato nel 365 al momento del suo esilio per poter comprendere il motivo dell'instaurazione dell'antipapa Felice II, ariano[42], ma secondo il Liber Pontificalis egli rimase in carica fino alla morte, anche durante il suo esilio.
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