Eversione dell'asse ecclesiastico
confisca del patrimonio immobiliare ecclesiastico / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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Con eversione dell'asse ecclesiastico si indicano gli effetti economici di due leggi del Regno d'Italia e segnatamente il Regio decreto 7 luglio 1866, n. 3036 di soppressione degli ordini e delle congregazioni religiose (in esecuzione della Legge 28 giugno 1866, n. 2987), e la Legge 15 agosto 1867, n. 3848 che dispose la confisca dei beni immobili agrari accumulati nel corso dei secoli dagli enti religiosi ("Asse ecclesiastico"). Al regio decreto 7 luglio 1866, n. 3036 fece seguito il relativo regolamento di esecuzione, approvato con decreto luogotenenziale 21 luglio 1866, n. 3070.
Il termine "eversione", dalla radice latina evertĕre, significa abbattere, rovesciare, sopprimere. Il termine "asse", dal latino as, assis = moneta, significa "patrimonio".[1] L'espressione, quindi, qualifica la confisca dei beni immobili degli enti religiosi come un abbattimento del potere fondiario della chiesa cattolica. Essa venne utilizzata sia nei disegni preparatori che nella legge stessa del 1866, ma in leggi successive il concetto fu edulcorato con l'espressione "liquidazione dell'asse ecclesiastico", terminologia che sottace la natura confiscatoria, ma che trova una corrispondenza in una maggiore moderazione delle leggi stesse. La nuova terminologia intese indicare come obiettivo della legislazione quello di imporre alla Chiesa la vendita dei propri beni immobili, attraverso, ad esempio, la conversione in titoli di stato. Obiettivo di fondo dell'azione del legislatore fu, quindi, l'estensione del controllo dello Stato sulla Chiesa.[senza fonte]
Ispirate a un'ideologia giurisdizionalista (la teoria giurisdizionalistica considerava il sovrano quale proprietario sostanziale anche di tutti i beni ecclesiastici), le leggi di eversione dell'asse ecclesiastico rimasero in vigore fino al 1929, anno dei Patti lateranensi[2].