Giovanni Papini
scrittore, poeta e aforista italiano (1881-1956) / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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Giovanni Papini, noto anche con lo pseudonimo di Gianfalco (Firenze, 9 gennaio 1881 – Firenze, 8 luglio 1956), è stato uno scrittore, poeta, saggista e terziario francescano italiano, noto anche col nome religioso di fra' Bonaventura.
Intellettuale controverso e discusso della prima metà del XX secolo, ma anche ammirato per il suo stile di scrittura, fu studioso di filosofia, di religione, critico letterario e acceso polemista, narratore e poeta, uno dei primi e più entusiasti rappresentanti e promotori del pragmatismo in Italia, oltreché coinvolto coi movimenti delle avanguardie storiche come il futurismo e il post-decadentismo.
Il successo letterario di Papini iniziò con Il crepuscolo dei filosofi, pubblicato nel 1906, e col romanzo autobiografico Un uomo finito, del 1913. Come cofondatóre delle riviste «Leonardo» (1903) e «Lacerba» (1913), concepì la letteratura come azione, dando ai suoi scritti un tono ostentato e irriverente. Autodidatta, ebbe una grande influenza nel futurismo italiano e nei movimenti letterari della gioventù. Fu attivo nella sua città natale, Firenze, promuovendo la crescita della cultura italiana con una concezione individualista della vita e dell'arte; partecipò attivamente a movimenti filosofici stranieri. Su tutti: l'intuizionismo francese di Henri Bergson e il pragmatismo anglo-americano di Charles Peirce e William James. Negli anni Trenta, divenne fascista, pur mantenendo un'avversione verso il nazismo e pentendosi poi del razzismo.[1] Si convertì dall'anticlericalismo e dall'ateismo accesi - compresa un'ammirazione per Max Stirner e Nietzsche - al cattolicesimo, rimanendo fedele al Credo cattolico fino alla morte.
Rimosso dalla grande letteratura dopo la scomparsa, a causa delle sue scelte ideologiche[2], fu in seguito rivalutato e riapprezzato[3]: nel 1975 lo scrittore argentino Jorge Luis Borges, che lo incluse nella sua collana La biblioteca di Babele, curata per Franco Maria Ricci editore, definì Papini un autore "immeritatamente dimenticato".[4]