Lingue d'Italia

lista delle lingue parlate in Italia / Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Le lingue dell'Italia costituiscono uno dei più ricchi e variegati patrimoni linguistici all'interno del panorama europeo[1][2][3].

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Diffusione delle lingue regionali e dei dialetti nella Repubblica Italiana, ivi comprese le isole linguistiche.
Idiomi romanzi

     Catalano (CA)

     Francoprovenzale (FP)

     Occitano (PR)

     Sardo (SA)

     Friulano (FU)

     Ladino (LA)

     Piemontese (PI)

     Ligure (LI)

     Lombardo (LO)

     Emiliano (EM)

     Romagnolo (RO)

     Gallico marchigiano (GM)

     Gallo-italico di Basilicata (GB)

     Gallo-italico di Sicilia (GS)

     Veneto (VE)

     Italo-romanzo meridionale

     Italo-romanzo meridionale estremo

     Sassarese / Gallurese (CO)

     Toscano (TO)

     Italo-mediano (Clt)

Idiomi germanici

     Sudtirolese (ST)

     Bavarese centrale (CB)

     Cimbro (CI)

     Mòcheno (MO)

     Walser (WA)


Idiomi slavi

     Sloveno (SL)

     Croato (SC)


Altri idiomi

     Albanese (AL)

     Greco italiota (GC)

Ad eccezione di taluni idiomi stranieri legati ai moderni flussi migratori, le lingue che vi si parlano comunemente sono in via esclusiva di ceppo indoeuropeo e appartenenti in larga prevalenza alla famiglia delle lingue romanze; sono presenti, altresì, varietà albanesi, germaniche, greche e slave.

La lingua ufficiale (de facto) della Repubblica Italiana, l'italiano, discende storicamente dalla variante letteraria del volgare toscano, il cui uso in letteratura è iniziato con le cosiddette "Tre Corone" (Dante, Petrarca e Boccaccio) verso il XIII secolo, e si è in seguito evoluto storicamente nella lingua italiana moderna; questa, con l'eccezione di alcune aree di più tarda italianizzazione[4], sarebbe stata ufficialmente adottata come codice linguistico di prestigio presso i vari Stati preunitari a partire dal XVI secolo.[5]

Ciononostante, la lingua italiana – utilizzata in letteratura e nell'amministrazione in maniera principalmente scritta, e di conseguenza coesistente in diglossia con i differenti vernacoli locali utilizzati nel parlato – al momento dell'unificazione politica di gran parte dell'Italia nel Regno sabaudo, nel 1860, era parlata da una minoranza della popolazione costituita fondamentalmente dalle classi colte o semplicemente istruite,[6] ma poté in seguito diffondersi tra le masse popolari mediante l'istruzione obbligatoria, nonché grazie al contributo, non meno determinante e più recente, della televisione. Sino all'emanazione della legge 482/99, l'avvento della televisione vide escluso l'uso dei dialetti e delle lingue di minoranza, salvo quanto previsto dagli accordi internazionali sottoscritti dall'Italia dopo la seconda guerra mondiale a favore delle minoranze linguistiche tedesca della provincia di Bolzano, slovena della regione Friuli-Venezia Giulia e francese della Valle d'Aosta.

Dal punto di vista degli idiomi locali preesistenti esclusivamente nel parlato, ne consegue un processo di erosione linguistica e di minorizzazione, processo accelerato sensibilmente dall'ampia disponibilità di mezzi di comunicazione di massa in lingua italiana e dalla mobilità della popolazione, oltre ad una scarsa volontà politica di riconoscere una valenza culturale ai dialetti. Questo tipo di cambiamenti ha ridotto sensibilmente l'uso degli idiomi locali, molti dei quali sono ormai considerati in pericolo di estinzione, principalmente a causa dell'avanzare della lingua italiana anche nell'ambito strettamente sociale e relazionale[7].

La normativa tutela invece le minoranze linguistiche, soprattutto attraverso l'articolo 6 della Costituzione (La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.) e la legge 482/1999 (... la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo). La stessa legge 482/99 prevede anche l'obbligo, in capo alla RAI, di trasmettere anche nelle lingue delle dodici minoranze linguistiche.

Secondo Tullio De Mauro, il plurilinguismo "italiano più dialetti o una delle tredici lingue di minoranza" (egli vi includeva anche il romaní, poi escluso dall'art. 2 della L. 482/1999 perché privo dell'elemento della "territorialità") gioca un ruolo positivo in quanto «i ragazzi che parlano costantemente e solo italiano hanno punteggi meno brillanti di ragazzi che hanno anche qualche rapporto con la realtà dialettale»[8].