Seconda guerra punica
guerra tra Roma e Cartagine / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
Caro Wikiwand AI, Facciamo breve rispondendo semplicemente a queste domande chiave:
Puoi elencare i principali fatti e statistiche su Seconda guerra punica?
Riassumi questo articolo per un bambino di 10 anni
La seconda guerra punica (chiamata anche, fin dall'antichità, guerra annibalica[8]) fu combattuta tra Roma e Cartagine nel III secolo a.C., dal 218 a.C. al 202 a.C., prima in Spagna e Italia (per sedici anni[9]) e successivamente in Africa.
La guerra cominciò per iniziativa dei Cartaginesi, che intendevano recuperare la potenza militare e l'influenza politica perduta dopo la sconfitta subita nella prima guerra punica; è stata considerata anche dagli storici antichi il conflitto armato più importante dell'antichità per il numero delle popolazioni coinvolte, per i suoi costi economici e umani, e soprattutto per le decisive conseguenze sul piano storico, politico e quindi sociale dell'intero mondo mediterraneo.[10]
Contrariamente alla prima guerra punica, che fu combattuta e vinta essenzialmente sul mare, la seconda fu caratterizzata soprattutto da grandi battaglie terrestri, con movimenti di masse enormi di fanterie, elefanti e cavalieri; le due parti misero in campo anche grandi flotte, che tuttavia svolsero principalmente missioni di trasporto di truppe e rifornimenti.
Il condottiero cartaginese Annibale Barca fu indubbiamente la personalità più importante della guerra; avendo giurato da bambino "odio eterno" per Roma su istigazione del padre Amilcare Barca, generale nella prima guerra punica, egli riuscì a scatenare la guerra espugnando la città alleata dei romani Sagunto, per poi invadere la penisola italica ottenendo numerose vittorie e minacciando la stessa Roma, ma l'isolamento geografico dalla madrepatria e la difficoltà nei rifornimenti lo portarono alla sconfitta dopo oltre quindici anni di guerriglia.[11]
«Di tutto quello che capitò ai due stati, Roma e Cartagine, il responsabile fu un solo uomo e una sola mente: Annibale»
(Polibio, IX, 22.1.)
Anche se la narrazione tradizionale del conflitto si concentra soprattutto sulla campagna di Annibale dalla Spagna cartaginese al sud Italia, in realtà tutto il Mediterraneo fu direttamente e indirettamente coinvolto.
Teatro di scontri terrestri furono Spagna, Sicilia, Sardegna, Gallia cisalpina, Italia, Illiria, Grecia e Africa. Il conflitto venne deciso in favore di Roma proprio dalle brillanti vittorie in Spagna e Africa di Publio Cornelio Scipione Africano.
Alcuni studiosi hanno definito la seconda guerra punica una "guerra mondiale dell'antichità".[12]
Cartagine
Alla fine della prima guerra punica, vinta da Roma, Cartagine si trovava in una situazione finanziaria disastrosa. Enormi somme (3.200 talenti euboici in dieci anni[13]) dovevano essere versate ai vincitori quale risarcimento, con la restituzione di tutti i prigionieri di guerra senza riscatto.[14] La ricca Sicilia era persa ed era ormai passata sotto il controllo di Roma (con il divieto per Cartagine di portare la guerra a Gerone II di Siracusa)[15]; Cartagine, nell'impossibilità di pagare i mercenari libici e numidi che impiegava nell'esercito, dovette far fronte anche ad un'estesa e sanguinosa rivolta (la cosiddetta "guerra dei mercenari"), che venne domata da Amilcare Barca dopo tre anni di repressione particolarmente crudele e spietata.[16] I mercenari di Cartagine si erano ribellati anche in Sardegna, chiedendo aiuto ai Romani. Quando i Cartaginesi organizzarono una spedizione per recuperare l'isola, Roma si dichiarò pronta ad una nuova guerra. I Cartaginesi dovettero accettare di pagare un ulteriore indennizzo di 1.200 talenti e di cedere a Roma la Sardegna, che insieme alla Corsica andò a formare, nel 237 a.C., la seconda provincia romana (Sardinia et Corsica).[17][18][19][20][21]
Una buona parte del commercio, dal quale Cartagine traeva la maggiore quantità dei suoi introiti, era stata dirottata verso lidi più tranquilli e controllata dai nuovi padroni. Le fazioni, sempre presenti in città e causa quasi unica del suo tragico destino, si dividevano fra un'aristocrazia ormai volta alla gestione di vaste proprietà fondiarie basate su un'agricoltura specializzata e una "borghesia" commerciale e artigianale, maggiormente orientata all'espansionismo sulle coste europee, che vedeva di giorno in giorno diminuire il proprio potere e la propria capacità economica e imprenditoriale.
Roma
Roma stava raccogliendo i frutti di una secolare serie di guerre espansionistiche; gli anni delle guerre puniche furono decisivi per il predominio della repubblica nel Mediterraneo e infatti Polibio dichiara esplicitamente di volere studiare questa fase storica per spiegare come avesse potuto Roma, in soli 53 anni, diventare padrona del mondo;[22]. Al tempo della prima guerra punica, i Romani non avevano ancora terminato di unificare l'Italia sotto la loro dominazione. Le colonie greche erano ancora libere nel meridione e in Sicilia, ed erano determinate a mantenere la loro indipendenza; le popolazioni sannitiche erano apparentemente sottomesse, ma permaneva un forte sentimento autonomistico; nel settentrione, le popolazioni celtiche manifestavano forte ostilità a un'ulteriore penetrazione romana.
Dopo la guerra, Roma ebbe mano libera nella penisola al di sotto dell'Appennino tosco-emiliano e si era procurata una provincia, la Sicilia, ricca, produttiva, culturalmente molto evoluta. Il Senato dibatteva non sul "come" o sul "se" allargare la dominazione, ma sul "dove" indirizzare le capacità belliche e le notevoli risorse economiche che stavano arrivando all'erario: decise alla fine di indirizzarle in tutte le direzioni. Iniziò la penetrazione nella Pianura Padana, per sbarrare la strada ai Liguri che cercavano la via del sud e per fermare definitivamente il pericolo dei Galli.[23] Contestualmente cercava di dare sfogo alle necessità di fornire la terra ai reduci con la creazione di varie colonie; iniziò una politica di attenzione all'attività della regina Teuta che, alla testa dei pirati dell'Illiria, disturbava la navigazione nell'Adriatico.[24] Questo diede la possibilità a Roma di inserirsi nella politica delle città-stato della Grecia, della Macedonia, della Lega etolica, sottoposte in varia misura agli attacchi dei pirati e in lotta fra di loro.[24] Roma, inoltre, approfittando della debolezza di Cartagine che era logorata e impegnata dalla rivolta dei mercenari, occupò Sardegna e Corsica, ancora sottoposte al dominio punico.[18][19]
Rinascita di Cartagine
Risolto in qualche modo il problema generato dai mercenari,[16] Cartagine cercò una via per riprendere il suo cammino storico. Il governo della città era diviso principalmente fra il partito dell'aristocrazia terriera, capeggiato dalla famiglia degli Annone da una parte, e il ceto imprenditoriale e commerciale che faceva riferimento ad Amilcare Barca e in genere ai Barcidi.
Annone propugnava l'accordo con Roma e l'allargamento del potere cartaginese verso l'interno dell'Africa, in direzione opposta alla città rivale. Amilcare vedeva nella Spagna, dove Cartagine già da secoli manteneva larghi interessi commerciali, il fulcro economico per la ripresa delle finanze puniche.[25]
Da tale confronto politico uscì vinto Amilcare, che aveva avuto un ruolo di primo piano nella repressione della rivolta dei mercenari. Non avendo ottenuto dal senato cartaginese le navi per passare in Spagna prese il comando dei reparti mercenari rimasti e con una marcia incredibile attraversò il Nordafrica, percorrendo la costa fino allo stretto di Gibilterra. Amilcare, che era accompagnato dal figlio Annibale e dal genero Asdrubale, attraversò lo stretto e seguendo la costa spagnola si diresse verso oriente alla ricerca di nuove ricchezze per la sua città.[26]
La spedizione cartaginese assunse l'aspetto di una conquista, a partire dalla città di Gades (oggi Cadice), sebbene fosse stata inizialmente condotta senza l'autorità del senato cartaginese.[27] Dal 237 a.C., anno della partenza dall'Africa al 229 a.C., anno della sua morte in combattimento,[27] Amilcare riuscì a rendere la spedizione autosufficiente dal punto di vista economico e militare e perfino a inviare a Cartagine grandi quantità di merci e metalli requisiti alle tribù ispaniche come tributo.[26][28] Morto Amilcare, il genero ne prese il posto per otto anni e iniziò una politica di consolidamento delle conquiste.[29] Con patti e trattati si accordò con i vari popoli locali[30] e fondò una nuova città. La chiamò Karth Hadasht, cioè Città Nuova, cioè Carthago Nova, oggi Cartagena.[31]
Impegnati con i Galli, i Romani preferirono accordarsi con Asdrubale e nel 226 a.C., spinti anche dall'alleata Massalia (l'odierna Marsiglia), che vedeva avvicinarsi il pericolo, stipularono un trattato che poneva l'Ebro come limite all'espansione di Cartagine.[27][32][33] Si riconosceva così, in modo implicito, anche il nuovo territorio soggetto al controllo cartaginese.[34] In effetti, la formulazione del trattato offerta da Polibio è ambigua. Secondo lo storico greco, gli eserciti cartaginesi non potevano muovere oltre il fiume Ebro. In Livio, invece, l'Ebro è indicato come confine delle aree di influenza delle due potenze, intendendo che anche Roma si impegnava a non passare il fiume verso sud.[35]
D'altra parte un esercito di circa 50.000 fanti, 6.000 cavalieri per lo più numidi e oltre duecento elefanti da guerra costituiva una notevole potenza militare ma soprattutto un problema economico per il suo mantenimento che dava sicuramente da pensare ai possibili bersagli. La svolta si ebbe nel 221 a.C.: Asdrubale, pare a causa di una donna, fu ucciso da un mercenario gallo[27][36] (o forse, come sostiene Tito Livio, da uno schiavo per vendicare la morte del suo padrone[37]) e l'esercito cartaginese scelse all'unanimità Annibale,[38], il figlio maggiore di Amilcare che aveva solo 26 anni, come suo terzo comandante in Spagna.[39][40] Cartagine, una volta radunato il popolo, decise di ratificare la designazione dell'esercito[41][42].
In questo modo quindi il giovane Annibale assunse il comando supremo in Spagna; egli si era già distinto nell'esercito per resistenza fisica, coraggio e abilità alla testa della cavalleria, accattivandosi rapidamente la simpatia delle truppe[43]; ben presto avrebbe dimostrato di essere uno dei più grandi generali della storia; secondo lo storico tedesco Theodor Mommsen "nessuno come lui seppe accoppiare il senno con l'entusiasmo, la prudenza con la forza".
Lo storico greco Polibio afferma che furono tre i motivi principali della seconda guerra tra Romani e Cartaginesi:
- La prima causa scatenante della guerra tra Romani e Cartaginesi fu lo spirito di rivalsa del padre di Annibale, Amilcare Barca.[44] Costui, se non ci fosse stata la rivolta dei mercenari contro i Cartaginesi, avrebbe ricominciato a preparare un nuovo conflitto.[45] Si racconta, inoltre, che Annibale, prima di partire, era stato condotto al cospetto degli dèi della città dal padre, che gli aveva fatto giurare odio eterno a Roma.[46] Annibale, poco più che bambino, aveva compreso il significato intimo del giuramento. A 26 anni, capo dell'esercito, idolatrato dai suoi uomini, con cui aveva vissuto per anni, condividendo pericoli e disagi, impresse una svolta decisiva alla politica cartaginese in Spagna, ampliandone le conquiste.[47]
- Seconda causa della guerra, sempre secondo Polibio, fu l'aver dovuto sopportare, da parte dei Cartaginesi, la perdita del dominio sulla Sardegna e sulla Corsica con la frode, come ricorda Tito Livio, e il pagamento di ulteriori 1.200 talenti in aggiunta alla somma pattuita in precedenza al termine della prima guerra punica.[20][48]
- Terza e ultima causa fu l'avere conseguito numerosi successi in Iberia da parte delle armate cartaginesi, tanto da destare negli stessi un rinnovato spirito di rivalsa nei confronti dei Romani.[49]
In effetti, Polibio contestava le cause della guerra che lo storico latino Fabio Pittore avrebbe individuato nell'assedio di Sagunto e nel passaggio delle armate cartaginesi del fiume Ebro. Egli riteneva che nei due avvenimenti fosse possibile individuare l'inizio cronologico della guerra, ma che le cause profonde della stessa fossero altre.[50] Il trattato del 226 a.C. fissava nell'Ebro il limite dell'espansione punica, ma alcune città, anche se comprese nel territorio controllato dai Cartaginesi erano alleate di Roma: Emporion, Rhode e la più famosa di tutte, Sagunto. Questa città era situata in posizione munitissima in cima a un'altura; la sua conquista avrebbe permesso ad Annibale di addestrare e temprare il suo esercito migliorandone l'esperienza, la coesione e le capacità belliche. E Sagunto, verosimilmente, fu deliberatamente scelta dal condottiero cartaginese come casus belli.[39][51]
Adducendo la motivazione che Sagunto si trovava a sud dell'Ebro e quindi rientrava nei territori di competenza dei Cartaginesi e non dei Romani, Annibale dichiarò guerra alla città.[39] Sagunto chiese aiuto a Roma che però si limitò a inviare degli ambasciatori che Annibale non ricevette.[52] Sagunto venne attaccata nel marzo del 219 a.C. e sottoposta a un drammatico assedio[51][53] che si protrasse per otto mesi senza che Roma decidesse di intervenire;[54] tristemente famoso l'amaro commento di Livio:
«Mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata»
Alla fine (218 a.C.), la sfortunata città, stremata dopo otto mesi di fame, battaglie, lutti e disperazione, si arrese e venne rasa al suolo.[39][51][55][56] Roma, a questo punto, intervenne e inviò una delegazione a Cartagine, chiedendo la consegna di Annibale. La delegazione era composta da Quinto Fabio, Marco Livio Salinatore, Lucio Emilio Paolo, Gaio Licinio Varo e Quinto Bebio Tamfilo, e intendeva tra le altre cose stabilire se fosse stato Annibale ad aggredire Sagunto o se avesse ricevuto l'ordine dal senato cartaginese.[57]
Le ricchezze che per anni erano giunte dalla Spagna fecero sì che a Cartagine fosse il partito della guerra a prevalere, sebbene Annone si fosse opposto tenacemente alla ripresa delle ostilità, avendo capito che avrebbero portato alla definitiva rovina della potenza cartaginese.[58] La conseguenza ineluttabile fu che Roma inviò a Cartagine un'ambasciata per lamentare queste violazioni[59]. Roma pose un'alternativa: i Cartaginesi dovevano consegnare ai Romani il generale Annibale e tutti i suoi luogotenenti; il rifiuto di questa condizione avrebbe significato la guerra.[60]
I Cartaginesi provarono a difendere il loro operato e quello di Annibale, adducendo come scusa che nel trattato precedente dopo la prima guerra punica non si faceva alcun cenno all'Iberia e quindi all'Ebro,[61][62] ma Sagunto era considerata alleata e amica del popolo romano.[63] La guerra fu inevitabile,[51][64] solo che come scrive Polibio la guerra non si svolse in Iberia [come auspicavano i Romani] ma proprio alle porte di Roma e lungo tutta l'Italia.[65] Era la fine del 219 a.C. e iniziava la seconda guerra punica.[66][67]
Preparativi di Annibale
Nella primavera del 218 a.C., pochi mesi dopo l'espugnazione di Sagunto, Annibale completò la seconda selezione del suo esercito: fece arrivare da Cartagine 15.000 uomini di cui 2.000 cavalieri numidi.[6][66] Secondo quanto racconta Polibio, attuò una politica accorta e saggia, facendo passare i soldati della Libia in Iberia e viceversa, cementando così i vincoli di reciproca fedeltà tra le due province.[68] Lasciò, quindi, in Spagna, sotto il comando del fratello Asdrubale, per tenere a bada le popolazioni locali, una forza navale formata da cinquanta quinqueremi, due quadriremi e cinque triremi; 450 cavalieri tra Libi-Fenici e Libici, 300 Ilergeti e 1.800 tra Numidi, Massili, Mesesuli, Maccei e Marusi; 11.850 fanti libici, 300 Liguri, 500 Balearici e 21 elefanti.[69]
A Cartagine vennero mandati di rinforzo 13.800 fanti e 1.200 cavalieri iberici, oltre a 870 balearici, assieme a 4.000 nobili spagnoli che, apparentemente inviati come "forze scelte", erano in realtà ostaggi presi per assicurarsi la lealtà della Spagna.[70] Contemporaneamente rimase ad aspettare l'arrivo dei messaggeri inviati ai Celti della Gallia Cisalpina, contando sul loro odio nei confronti dei Romani e avendo promesso di tutto ai loro capi.[71]
Annibale ottenne così di bilanciare il controllo delle varie posizioni militarmente o politicamente pericolose con truppe non legate al territorio, che controllavano ostaggi legati a un territorio differente. Alle forze lasciate in Iberia e inviate a Cartagine, andavano, infine, sommate quelle della spedizione vera e propria in Italia, vale a dire 80.000[66]-90.000 fanti[5][6][72] e 10.000[66]-12.000 cavalieri,[5][6][72] oltre a 37 elefanti.[6][66]
Preparativi di Roma
Memore delle battaglie navali della prima guerra punica, Roma allestì una flotta di oltre duecento quinqueremi; la città stessa fornì 24.000 fanti e 1.800 cavalieri (pari a 6 legioni) scelti tra i cittadini romani, oltre a 45.000 fanti[2] e 4.000 cavalieri scelti tra gli auxilia (che secondo Polibio rappresentavano ulteriori 9-10 legioni).[3] I due consoli si suddivisero, come d'uso, i compiti: Publio Cornelio fu posto a capo di 60 navi e inviato in Iberia; Tiberio Sempronio Longo venne mandato in Sicilia[66][73] (a Lilibeo[74]) con due legioni e un cospicuo contingente di alleati, in tutto 24.000 fanti e 2.000/2.400 cavalieri, con l'incarico di sbarcare in Africa, a bordo di 160 quinqueremi e di naviglio leggero, per attaccare direttamente Cartagine.[75]
Negli anni successivi della guerra i Romani furono costretti a mettere in campo un esercito crescente di uomini. Nel 216 a.C. furono schierati ben 80.000 fanti e 9.600 cavalieri,[1][2][3] pari a 16 legioni romane. Nel 211 a.C. il numero delle legioni raggiunse per quell'epoca la cifra record di 23 legioni[76] (o più probabilmente 25, come sostiene parte della critica moderna[77][78][79]), pari a 115.000 fanti e 13.000 cavalieri circa, oltre a 4 flotte di 150 navi.[2][3][4]