Sottomarino
mezzo navale progettato per operare principalmente in immersione / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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Il sottomarino è un mezzo navale progettato per operare principalmente in immersione e questa caratteristica lo distingue dal sommergibile di cui costituisce un'evoluzione. Un sottomarino può essere impiegato per scopi militari, scientifici e di soccorso, i diversi ambiti d'impiego ne determinano le caratteristiche.[1]
Lo sviluppo del mezzo subacqueo ha avuto impulso a partire dal 1850 in conseguenza dell'interesse militare per le sue potenzialità belliche[2] ed ha portato il sommergibile a divenire un importante strumento della guerra marittima nel XX secolo. Dalle 200 tonnellate di dislocamento dei sommergibili realizzati nei primi anni di quel secolo[3], si è passati alle 1 800 tonnellate (in immersione) dei sottomarini tedeschi U-Boot Tipo XXI del 1944[4] per arrivare ai moderni sottomarini nucleari lanciamissili balistici che possono superare le 20 000 tonnellate ed ospitare equipaggi di oltre 170 persone.[5]
Il progresso tecnologico nell'ingegneria navale ha avuto un ruolo fondamentale nel successo del sottomarino persino superiore a quello rappresentato dallo sviluppo di sistemi d'arma (come il siluro ed i missili a cambiamento d'ambiente) e di sensori (soprattutto il sonar) sempre più efficienti.[6]
Nel linguaggio marinaresco i termini "sottomarino" e "sommergibile" individuano due differenti tipologie di unità. La distinzione esiste anche in altre lingue: ad esempio in inglese si usano i termini Submarine e Submersible, in tedesco U-Boot e Tauchboot.[7][8]
Il termine "sottomarino" si riferisce propriamente alle unità ottimizzate a navigare e combattere in immersione piuttosto che in superficie e si applica a tutte le unità moderne. Lo spartiacque tra sommergibili e sottomarini è rappresentato dagli U-Boot Tipo XXI del 1944 (ma già la Classe R britannica della prima guerra mondiale presentava una velocità in immersione superiore a quella in superficie[9]). Tuttavia spesso i termini sommergibile e sottomarini sono usati genericamente, come sinonimi, come testimonia lo stesso sito della Marina Militare[10] (la quale peraltro identifica l'unità sottomarina con il termine battello, in contrapposizione con la generica unità di superficie denominata nave) oppure si attribuisce la definizione di sottomarino ai soli battelli a propulsione nucleare[11].
Il termine "sommergibile" si riferisce invece a mezzi navali che presentano prestazioni in immersione (in particolare la velocità) inferiori rispetto a quelle in emersione. A questa categoria appartengono le unità progettate fino alla fine della seconda guerra mondiale, per lo più dotate di armamento cannoniero sul ponte proprio perché ottimizzate a combattere in superficie piuttosto che in immersione.
Gli inizi
Lo sviluppo tecnologico dei battelli subacquei presenta varie similitudini con quello che molto più tardi avrebbe interessato gli aeroplani. I primi studi teorici sulla costruzione di un sommergibile risalgono al 1680, quando Giovanni Alfonso Borelli nella sua opera De motu animalium, illustrò per la prima volta la possibilità della costruzione di un veicolo che potesse esplorare gli abissi marini.[12] Sulla costruzione di un primo sommergibile le fonti storiche si dividono e non possono pertanto essere ritenute attendibili.
Da Drebbel al Turtle
Il primo a percorrere un breve tratto in immersione fu probabilmente l'olandese Cornelius van Drebbel.[13][14] Tra il 1620 e il 1626 van Drebbel mise a punto un battello subacqueo con il quale percorse, immerso a una profondità di 3-4 metri, un breve tratto del Tamigi alla presenza del re Giacomo I d'Inghilterra.[15] Il primo tentativo di immersione con un mezzo subacqueo abbastanza simile al concetto di sommergibile, di cui si hanno testimonianze storiche certe, fu quello dell'inglese John Day, che il 20 giugno del 1774 si immerse nelle acque del porto di Plymouth a bordo di un rudimentale battello battezzato Maria, pesante alcune tonnellate e lungo circa 15 metri. L'impresa fallì tragicamente: il battello si inabissò a una profondità di oltre 50 metri senza più riemergere e Day divenne la prima vittima a bordo di un sommergibile.[16][17] Più fortunato fu invece l'americano David Bushnell che progettò e costruì un piccolo sommergibile, il Turtle, lungo appena 2 metri e armato con una carica esplosiva, con la quale il sergente Ezra Lee tentò nel 1776 di affondare la nave ammiraglia della flotta inglese, ancorata nel porto di New York. L'attacco fallì ma Lee riuscì ad allontanarsi incolume con il sommergibile.[17][18][19]
L'adunanza dell'Accademia del cimento avvenuta il 16 marzo 1801[20] dà conto poi dell'invenzione di un battello sottomarino utilizzabile per operazioni di guerra e attacchi militari, la cui paternità era da ascrivere all'ingegnere Giovanni Antonio Ciaschi.
Il Brandtaucher
Il primo ad utilizzare in modo efficace un sottomarino come arma, in particolare contro un blocco navale della marina danese, fu il tedesco Wilhelm Bauer, che nel 1850 costruì un sommergibile con scafo in acciaio, lungo oltre 8 metri e pesante circa 39 tonnellate, destinato ad attaccare le navi danesi che bloccavano il porto di Kiel.[18] Fonti dell'epoca riportano che le sole attività di collaudo del sommergibile bastarono ad allarmare i danesi, al punto da convincerli ad allontanare le navi dalla costa, allentando così il blocco. In seguito Bauer divenne famoso, non tanto per la sua storica impresa, quanto per essere stato uno dei primi tre marinai a salvarsi da un sottomarino affondato. Quando durante un'immersione di prova il 1º febbraio 1851 si aprì una falla nello scafo e l'imbarcazione colò a picco, intrappolando Bauer e i suoi due marinai di equipaggio a bordo del loro sottomarino a 18 metri di profondità, Bauer intuì che per aprire la botola che avrebbe consentito di abbandonare il sommergibile era necessario compensare la pressione esterna dell'acqua e fece pertanto allagare lo scafo. I tre riuscirono così ad aprire la botola e a raggiungere la superficie. Il Brandtaucher venne recuperato nel 1887 e oggi è il più antico sommergibile conservato in un museo.[21][22][23]
Il primo attacco riuscito: il CSS Hunley
Il sommergibile più famoso del XIX secolo fu il battello confederato CSS Hunley, che il 17 febbraio 1864[24] affondò, con una carica esplosiva innestata sulla prua, la USS Housatonic, una pirofregata nordista[25]. L'Hunley affondò a sua volta mentre rientrava alla propria base, portando con sé l'intero equipaggio di nove persone[26]. Nonostante lo sviluppo travagliato (durante le prove di immersione era affondato tre volte con la perdita di 23 uomini) e il mancato rientro dalla sua unica missione operativa, l'impresa dell'Hunley dimostrò l'efficacia bellica dei sommergibili che da quel momento entrarono a pieno titolo negli arsenali militari[27].
I primi veri sottomarini
Se pure la costruzione di Bauer e il successo del CSS Hunley avessero dimostrato l'efficienza dei sottomarini come arma, rimanevano ancora numerosi problemi da risolvere. Oltre alla mancanza di un'arma da utilizzare in modo efficace (le cariche esplosive, per quanto poste all'estremità di un'asta come nel caso dell'Hunley, si erano dimostrate estremamente pericolose anche per il sottomarino stesso) il problema principale era dato dalla totale assenza di un motore. Infatti sia il CSS Hunley che il rudimentale sottomarino di Bauer navigavano a propulsione manuale, limitando quindi fortemente autonomia e raggio d'azione.
Il primo Nautilus
Il primo a prendere in considerazione un sottomarino dotato di un apparato motore fu l'americano Robert Fulton, che considerò la possibilità di sfruttare il brevetto del francese Claude de Jouffroy d'Abbans per progettare un sottomarino dotato di motore. Fulton presentò nel 1801 in Francia il Nautilus, ma le difficoltà tecniche incontrate in fase progettuale avevano costretto il tenace inventore americano a rinunciare all'installazione di un motore a vapore sul battello[28]. Lungo 6 metri e largo 1,80 metri, il Nautilus poteva contenere fino a 8 persone e disponeva di un'elica che veniva messa in moto manualmente dall'equipaggio, inoltre poteva sia navigare in superficie grazie all'ausilio di una vela retrattile, che in immersione. Lo stesso anno Napoleone Bonaparte, a quel tempo primo console, si mostrò inizialmente entusiasta del progetto e decise di finanziarlo. Una commissione della marina francese assistette a una dimostrazione del nuovo mezzo, il quale riuscì ad affondare una nave bersaglio nel porto di Brest. Il successo della prova sostenuta dal sommergibile di Fulton venne però inficiato della scarsa governabilità del mezzo e della modesta profondità raggiunta, elementi che portarono la marina francese a esprimere un giudizio negativo. Fulton provò allora a proporre il Nautilus alla marina inglese, ma anche in questo caso a una dimostrazione positiva sostenuta nel 1805 non seguirono finanziamenti.[2] Questi fallimenti posero di fatto fine alle speranze di Fulton di costruire un sommergibile dotato di motore, in quanto anche il congresso statunitense, pur avendo inizialmente approvato il suo progetto, in seguito alle valutazioni negative delle marine francese e inglese, esitò a più riprese a mettere a disposizione le risorse economiche necessarie; l'inventore morì prima di riuscire a completare la costruzione del sommergibile Mute, più grande del Nautilus e propulso da motore[2].
L'evoluzione dei motori
Bisognerà quindi aspettare il 1888 prima che qualcuno tenti nuovamente di progettare un sottomarino dotato di un apparato motore. Nel frattempo, il 2 ottobre 1864 fu presentato da Narcís Monturiol il primo sommergibile dotato di una qualche forma di propulsione. Il mezzo, battezzato Ictíneo II dal suo costruttore, era composto da uno scafo in legno rinforzato e disponeva di un motore chimico che per un breve lasso di tempo produceva energia elettrica grazie appunto a una reazione chimica. Pur rappresentando un passo in avanti rispetto ai mezzi precedenti, la soluzione era ancora insoddisfacente. Il salto di qualità giunse nel 1888 grazie allo spagnolo Isaac Peral che provò ad utilizzare motori elettrici e costruì finalmente un sottomarino realmente efficiente, lungo più di 22 metri e capace di raggiungere una velocità di 10,9 nodi in superficie e di 6 in immersione.[29] La soluzione trovata da Peral, pur risolvendo quasi tutti i problemi tecnici emersi fino ad allora, trascurava però la possibilità di ricaricare le batterie in mare. Sprovvisto di un motore a vapore o a scoppio, il sottomarino era in grado di percorrere solo brevi tratti ed era quindi in grado di operare solamente sotto costa.
Fu quindi il momento dell'irlandese John Philip Holland, che in seguito a un concorso indetto dal Governo degli Stati Uniti per la costruzione di un sottomarino, ricevette l'incarico di progettare il primo battello dotato di motore. Il suo primo progetto, che avrebbe dovuto portare il nome di Plunger e che era dotato di un motore a vapore, fu però un totale fallimento[30], tanto che ancora in fase di costruzione si decise di abbandonarlo. Ciò nonostante, il tanto testardo quanto tenace irlandese non si perse d'animo e di propria iniziativa fece costruire un nuovo prototipo che chiamò Holland VI. Dotato di un motore a benzina per la navigazione in superficie e di un modernissimo (per l'epoca) motore elettrico della Electro Dynamic Company[31], l'Holland VI fu un successo senza precedenti. Capace di immergersi fino a una profondità di 23 metri il piccolo battello entusiasmò tanto i vertici della marina statunitense, che fu acquistato e messo in servizio con la sigla SS-1.[32]
Il siluro e la diffusione del mezzo presso altre marine
Nel frattempo l'invenzione del siluro e alcune migliorie permisero che anche un piccolo battello come l'SS-1, la cui stazza non superava le 163 tonnellate, potesse essere dotato di un armamento proprio che era composto da tre siluri da 45 cm e successivamente da un piccolo cannone a prua. Quest'ultimo venne però rimosso dopo un breve periodo. In seguito anche altre marine, come quella inglese e giapponese, si doteranno di sottomarini simili, perlopiù evoluzioni dello stesso progetto di Holland lievemente modificate.[33] Altri progetti sicuramente altrettanto riusciti ma che non godettero della stessa notorietà, furono il francese Narval[34], lo svedese Hajen[35], e il Delfino[36], prima unità ad essere realizzata in Italia. Tutti costruiti a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, furono gli unici progetti alternativi al progetto di Holland che riuscirono ad avere successo. Nonostante molte delle marine iniziassero a dotarsi di sottomarini, il ruolo e l'importanza di queste unità era ancora molto discussa e molte marine, quali quella italiana ma anche quella tedesca, nonostante avessero progetti a disposizione, preferirono non realizzare nessuna unità e introdussero i loro primi sommergibili solo un decennio più tardi, quando la prima guerra mondiale era ormai imminente.
Il periodo prima della Grande Guerra
A partire dal 1900 si ebbe un'evoluzione rapidissima della tecnologia e ben presto unità come i battelli della classe Holland furono superati. Lo scafo goffo di questi battelli venne ben presto sostituito da scafi lunghi e idrodinamicamente più avanzati. Con le maggiori dimensioni dei nuovi scafi apparve anche un nuovo tipo di armamento. Le nuove unità non furono armate solo con i costosi siluri ma ricevettero anche un cannone che poteva essere utilizzato per attaccare il naviglio mercantile o navi con un armamento modesto.
Sommergibili come la Classe L statunitense così come la Classe Golland russa ne sono un esempio. Particolarmente interessante è l'evoluzione dei battelli tedeschi. La Germania, che di seguito diverrà una delle maggiori nazioni costruttrici di sottomarini si dotò relativamente tardi di queste unità. Nonostante avesse già costruito sommergibili posamine per la Russia (Classe Karp)[37], la Kaiserliche Marine mise in servizio il suo primo battello, l'Unterseeboot 1 anche noto con il suo abbreviativo di U-1, solo nel 1906[38], quando le marine militari di altri paesi stavano già mettendo in servizio i loro sommergibili di seconda generazione. L'U-1 che per l'epoca era di concezione modernissima fu dotato, contrariamente a quanto avvenne per la maggior parte delle unità di quel periodo, di un motore a gasolio pesante, ritenuto più affidabile rispetto ai motori a benzina.[39]
Nuovo per l'epoca fu anche il concetto di far operare queste unità in squadre anziché individualmente. Questa tattica fu studiata per rimediare alle deficienze dei sottomarini rispetto alle unità navali di superficie, ma la tecnologia non era ancora matura per attuarla in modo efficace e bisognerà aspettare la seconda guerra mondiale per vedere più sottomarini attaccare in modo coordinato un bersaglio.
La Grande Guerra
Lo sviluppo dei sottomarini nel corso dell'ultimo decennio aveva spinto molte marine militari a dotarsene, tanto che nella prima guerra mondiale quest'arma ebbe un impiego fondamentale. I sottomarini ebbero un ruolo importante nel tentativo da parte della Germania, e in modo più limitato anche dell'Austria, di porre rimedio al blocco navale alleato imposto dalla supremazia navale di Gran Bretagna e Stati Uniti, e in definitiva furono una causa determinante per l'ingresso degli Stati Uniti nella guerra.
Emblema dell'evoluzione tecnica fu la Classe U-31 composta da 11 battelli[40], che affondò durante l'intero conflitto oltre 1 917 146 BRT[41] di mercantili nemici.[42] Questa classe vide anche l'introduzione del doppio scafo, che verrà applicato poi a tutti i sottomarini introdotti a partire dalla seconda guerra mondiale.
Con il blocco navale apparvero però anche nuovi tipi di unità che avevano come compito principale quello di aggirare la morsa alleata e rifornire Germania e Austria con materie prime provenienti dalle colonie di oltremare.[43] Sottomarini come l'U-151, dotati di due grandi cannoni[44], furono utilizzati nei primi anni della grande guerra come sottomarini mercantili. Fino agli anni trenta venne comunque perseguito l'obiettivo di costruire battelli che fossero in grado di coniugare i compiti di trasporto con quelli di attacco.
I sottomarini d'attacco (definiti nella moderna terminologia anglosassone hunter-killer) vennero sviluppati però in funzione sia della scarsa velocità in immersione di un sommergibile rispetto a quella delle navi da attaccare, sia dei tempi necessari a ricaricare i tubi lancia siluri, rispetto a quello necessario a ricaricare il cannone, il cui uso venne ampiamente privilegiato.[45]
Ciò nonostante, alcuni affondamenti fatti tramite l'ausilio del siluro divennero storicamente rilevanti, come quello dell'esploratore britannico Pathfinder (prima nave ad essere affondata durante il conflitto) e quello del transatlantico britannico Lusitania carico di civili statunitensi che condizionò l'opinione pubblica americana in favore dell'entrata in guerra degli Stati Uniti contro la Germania, due anni dopo.
Durante la prima guerra mondiale i sommergibili (soprattutto, ma non solo tedeschi) furono responsabili dell'affondamento di qualsiasi tipo di naviglio, dal piccolo mercantile a vela (nel 1914 ancora una parte importante del commercio mondiale era trasportata da imbarcazioni a vela, alcune di appena 30-50 tonnellate, fino ai clipper da 1500-2000 tonnellate) fino alle corazzate e agli incrociatori. Furono però le imbarcazioni più lente, e quindi soprattutto i mercantili, quelle che subirono le maggiori perdite, anche per scelta deliberata delle strategie navali tedesche di lotta al traffico. Colpirono in tutti i teatri europei, raramente fuori dalle acque europee e al di fuori del nord-atlantico furono molto poco impiegati.
I sommergibili della marina italiana durante la prima guerra mondiale
La natura prevalentemente terrestre dell'impegno bellico italiano contro l'Austria e la notevole supremazia navale delle potenze dell'Intesa limitarono le occasioni di impiego dei sommergibili della regia marina italiana, che pure poteva contare su valenti progettisti come Cesare Laurenti. I sommergibili dell'epoca erano idonei alla guerra navale offensiva contro il naviglio militare e mercantile avversario (la cui consistenza, nel caso della Germania e dell'Austria, non era motivo di particolare preoccupazione per l'Intesa). Ciononostante anche l'Italia impiegò un certo numero di sommergibili di medie dimensioni, la Classe Medusa[46], composta da otto sommergibili costruiti tra il 1913 ed il 1914. Ad essi si affiancarono, a partire dal 1916, le più moderne unità della Classe F[47], evoluzione della classe Medusa. I sommergibili della classe Medusa restarono comunque le unità principalmente impiegate durante l'intero periodo del conflitto. I sommergibili di questa classe non ebbero l'occasione di portare a termine operazioni rilevanti come quelle che resero famosi i battelli tedeschi della classe U-31, ma diedero buona prova di sé, al punto che varie marine militari, tra le quali anche quelle inglese e giapponese, ne acquisirono alcuni esemplari. Furono inoltre importati alcuni battelli classe H (tipo Holland americano, costruiti per conto dell'Italia a Montréal a partire dal 1916 in 8 esemplari), che diedero buona prova di se, e rimasero una delle più affidabili classi per l'addestramento dei sommergibilisti fino alla seconda guerra mondiale. Questo permise l'introduzione di alcune nuove tecnologie (furono il primo battello italiano su cui si installò un primitivo e inaffidabile ecoscandaglio)
Il periodo tra le due guerre
Al termine della prima guerra mondiale, non appena la maggior parte delle nazioni iniziò a riprendersi dalle conseguenze della guerra, si riavviò la progettazione e costruzione di nuovi sottomarini. Di conseguenza, visto il numero costantemente crescente di unità che erano state messe in servizio fino ad allora, la Conferenza navale di Washington pose alcuni limiti sulle dimensioni e sul numero delle unità che ogni paese poteva mettere in servizio[48]. Nonostante queste apparenti limitazioni il periodo tra il 1920 ed il 1939 fu certamente un periodo che vide un intenso sviluppo in questo settore. Numerose furono le soluzioni che si provarono ad adottare e una delle idee più diffuse nelle diverse marine militari fu quella di produrre sommergibili in grado di competere con le unità di superficie. Questi battelli erano dotati, oltre dei tubi lancia siluri, anche di enormi obici posizionati sul ponte e talvolta persino di hangar per ospitare un velivolo, finendo per assomigliare più a unità di superficie che a sottomarini. Le dimensioni imponenti pregiudicavano la manovrabilità e l'autonomia in immersione. Tra le unità più note di questo periodo spiccano l'USS Argonaut[49] americano, l'X-1[50] inglese, le unità della Classe M[51] sempre di fabbricazione inglese ed infine il Surcouf[52] francese il quale andò distrutto nel corso della seconda guerra mondiale. Nonostante l'apparente fervore con il quale ci si dedicò alla progettazione di nuove unità il numero dei sottomarini messi in servizio rimase modesto fino alla metà degli anni trenta, quando lentamente aumentò il numero di unità in servizio attivo. Sebbene fosse stato proibito alla Germania di dotarsi di unità sottomarine, durante tutto il periodo compreso tra gli anni venti e la metà degli anni trenta il lavoro concettuale di sviluppo fu portato avanti, tanto che, quando a partire dal 1935 il regime nazista iniziò a commissionare le prime unità di sottomarini violando di fatto le decisioni prese nella conferenza di Washington, il gap accumulato dalla Germania nei confronti di altre nazioni risultava pressoché irrilevante. Il rinnovo della marina sottomarina tedesca fu affidato all'allora capitano di vascello Karl Dönitz, che finirà per scontrarsi più volte con il grandammiraglio Raeder e con Hermann Göring.
La seconda guerra mondiale
Allo scoppiare della seconda guerra mondiale il numero delle marine che disponeva di sommergibili era notevolmente aumentato. Ciò nonostante la maggior parte delle unità era rimasta sostanzialmente uguale a quelle che operarono alla fine della grande guerra. Sebbene gli anni venti e trenta avessero visto un intenso sviluppo delle unità sottomarine, i concetti e i propositi che si era posta la maggior parte dei progettisti si rivelarono errati. Le grandi unità sottomarine costruite durante i due decenni precedenti rivelarono scarse capacità di operare in immersione. Decisamente troppo ingombranti e prive di prestazioni che permettessero loro di competere con le unità di superficie, esse risultarono ben presto obsolete. Come già nella prima guerra mondiale il compito dei sottomarini tedeschi fu quello di contrastare il traffico di merci nell'Atlantico, ma rispetto alla prima guerra mondiale le aree nelle quali operarono si estesero anche al Mediterraneo e successivamente, con l'entrata in guerra degli Stati Uniti dopo l'attacco di Pearl Harbor, anche all'oceano Pacifico. Ben presto molti paesi realizzarono quindi che il successo dei sottomarini dipendeva principalmente dalla velocità e autonomia in immersione. Specialmente la marina militare tedesca comprese molto presto che i sottomarini che navigavano in emersione erano bersagli facili nei confronti degli aerei da ricognizione e dei pattugliatori navali e che la navigazione con lo Snorkel poteva comunque compromettere l'occultamento dell'unità. Moltissimi furono quindi gli sforzi che la Kriegsmarine fece per migliorare le proprie unità. A partire dal 1942 in poi si iniziò a ridurre gradualmente l'armamento in coperta. Correttamente si era notato che cannone e mitragliatrici aumentavano la resistenza idrodinamica dei sottomarini riducendo velocità di punta ed autonomia in immersione.
Il progressivo smantellamento dell'armamento si spinse di conseguenza fino al punto che le nuovissime unità della Classe XXI erano completamente sprovviste di un cannone ed erano dotate solamente di 4 mitragliatrici da 20 mm installate in torretta.[53] In compenso queste unità potevano vantare in immersione una velocità continuativa di ben 17 nodi e un'autonomia di 350 miglia a 5 nodi. Stranamente però non tutte le marine seguirono l'esempio di quella tedesca. Il Giappone ad esempio, nonostante avesse testato già nel corso dei primi anni trenta unità idrodinamicamente efficienti come i battelli della Classe Nr.71[54] capaci di percorrere in immersione 230 miglia alla velocità di 7 nodi, si ostinò a costruire durante tutto il periodo della seconda guerra mondiale, fatta eccezione per alcuni minisottomarini dalle linee idrodinamiche, sommergibili di grandi dimensioni e dalle scarse prestazioni che risultarono poco efficienti. Famosi per le loro dimensioni divennero sicuramente i battelli della Classe I-400[55], dotati persino di un piccolo ponte di volo e concepiti per lanciare attacchi aerei dal largo delle coste degli Stati Uniti.
Per quanto riguarda invece la marina militare statunitense, questa utilizzò come cavallo di battaglia le unità delle classi Gato e Balao che non videro però nel corso della guerra sostanziali miglioramenti. Nonostante le loro discrete prestazioni, i sommergibili delle classi Gato e Balao raggiungevano una profondità di immersione modesta rispetto alle unità tedesche, che potevano vantare profondità di immersione che si aggiravano intorno ai 200 metri contro gli 80 metri dei Gato e i 120 metri dei Balao. Molte unità di queste due classi vennero infine ampiamente utilizzate da paesi amici degli Stati Uniti dopo il conflitto, tra cui Italia, Turchia, Argentina, ed uno di essi, l'argentino ARA Santa Fe (S-21) andò perduto in combattimento durante la guerra delle Falkland del 1982[56], risultando quindi l'ultimo sottomarino risalente alla seconda guerra mondiale impegnato in combattimento.
La marina italiana durante il conflitto della seconda guerra mondiale
Nel 1939 la marina militare italiana disponeva della quarta flotta più grande al mondo di sottomarini[57], disponendo complessivamente di 115 unità, 84 delle quali operative come unità di prima linea e trenta unità predisposte per compiti logistici e di trasporto. Le unità italiane operarono principalmente nel Mediterraneo, ma alcune unità furono inviate nell'Atlantico e singole unità furono impiegate anche nel Mar Rosso e nell'Oceano Indiano.
A partire dal 10 ottobre 1940 il regime fascista fece trasferire 3 unità a Bordeaux in Francia, nella base di BETASOM, per partecipare alla battaglia nell'Atlantico. Successivamente il numero delle unità trasferite a Bordeaux fu incrementato fino raggiungere le 27 unità.[58] Due unità furono successivamente anche stazionate nel Mar Baltico. Nonostante il consistente numero di unità inviate in Atlantico in appoggio a quelle tedesche, con un discreto risultato in termini di mercantili nemici affondati, il bilancio dell'operazione fu complessivamente modesto. A partire dal 1942 le unità stazionate a Bordeaux furono ridotte a 11 e al momento dell'armistizio nel 1943 ne restavano solamente 6[59]. La causa dello scarso successo dei sommergibili italiani in Atlantico fu individuata soprattutto nello scenario radicalmente diverso da quello del Mediterraneo per il quale gli equipaggi italiani erano stati preparati[60].
Tra le unità più importanti messe in servizio dalla marina italiana spiccano certamente quelle della Classe Archimede[61] composta da 4[62] sommergibili costruiti tra il 1938 ed il 1939. I battelli, originariamente stazionati nel Mar Rosso, furono trasferiti nel corso della guerra a Bordeaux[63]. Tutti, tranne il Brin, andarono persi durante il conflitto. Al termine del conflitto la marina italiana dovette consegnare tutte le unità ancora operative agli alleati. Dei sommergibili sopravvissuti alla guerra fino al 1943, solo 34 erano riusciti a consegnarsi alle forze alleate dopo l'armistizio, mentre le restanti unità si autoaffondarono o vennero catturate dai tedeschi. Al termine del conflitto mondiale alla marina italiana fu concesso di mantenere in servizio due unità, poi affiancate da una terza. Le altre unità, pur essendo state sequestrate dai vincitori, rimasero in Italia, eccetto due battelli ceduti all'Unione Sovietica e il Brin che fu utilizzato fino al 1949 dalla marina inglese per poi essere restituito all'Italia, e furono infine demolite entro il 1950.
Il dopoguerra ed il periodo della Guerra Fredda
Con la fine della seconda guerra mondiale e con il successivo smantellamento di molti sottomarini, soprattutto dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, ebbe inizio una nuova epoca. Molte delle unità varate nei primi anni di guerra erano ormai obsolete, tanto da renderne necessaria la radiazione. Molte marine militari si ritrovarono con un numero spropositato di battelli il cui mantenimento in servizio comportava costi esorbitanti. Alcuni sommergibili da radiare furono quindi utilizzati come bersagli e affondati. Questa sorte spettò in particolare a molte delle unità catturate durante il conflitto. Altre invece furono sottoposte a modifiche e utilizzate occasionalmente come bersagli mobili in esercitazioni. Tra le unità divenute famose in questo ruolo spiccano certamente lo HMS Scotsman[64] e lo USS Manta[65]. Quest'ultimo ricevette una serie di corazzature aggiuntive montate sullo scafo in modo che fosse possibile sparare contro questa unità siluri privi di una carica esplosiva (deattivati). L'Unione Sovietica invece fece costruire negli anni sessanta una classe appositamente concepita per questo compito, la Classe Bravo che è rimasta in servizio per tutto il periodo della Guerra Fredda.
Gli Stati Uniti
Tra i paesi che durante la guerra avevano messo in servizio un vasto numero di sottomarini tutti derivanti dallo stesso progetto spiccavano certamente, oltre alla Germania, gli Stati Uniti, che durante il periodo del conflitto avevano fatto affidamento sulle unità della classe Gato. All'inizio della seconda guerra mondiale questi battelli potevano definirsi all'avanguardia, ma risultavano obsoleti se paragonati a quelli della classe XXI tedesca, motivo per il quale si rese necessario il loro ammodernamento.
I programmi di aggiornamento GUPPY
Grazie alle informazioni acquisite con i progetti catturati in Germania, ma anche grazie a quelle giunte negli Stati Uniti con l'U 234[66], le unità della classe Gato furono sottoposte ad una serie di ammodernamenti, che furono suddivisi nei programmi BALAO e GUPPY I, II e III. Sebbene si trattasse di unità modificate, molte delle quali costruite intorno al 1943, esse si dimostrarono ancora una volta all'altezza della situazione e rimasero in alcuni casi in servizio fino ai primi anni settanta, quando furono demolite o cedute ad altre nazioni.
Il secondo Nautilus
Nonostante il successo dei sommergibili a propulsione diesel-elettrica, ben presto i vertici della marina statunitense e sovietica compresero che la chiave per disporre di battelli in grado di svolgere al meglio le missioni richieste fosse quella di renderli indipendenti dai tempi tecnici necessari per ricaricare le batterie e che costringevano le unità a riemergere. La soluzione a questo problema fu il ricorso alla propulsione nucleare.
Il primo sottomarino nucleare fu varato nel 1954 con il nome di USS Nautilus (SSN-571) dalla marina degli Stati Uniti[67]. Questo sottomarino dimostrò di avere una grandissima capacità di permanenza sott'acqua compiendo la traversata sotto i ghiacci della calotta artica[68], e fu il primo di un ambizioso programma nucleare legato al nome dell'ammiraglio Hyman Rickover[69]. Tuttavia lo scafo del Nautilus era ancora molto simile a quello delle unità della classe XXI, a dimostrazione del fatto che i profili idrodinamici erano ancora basati sulle conoscenze acquisite durante la seconda guerra mondiale. Il primo sottomarino a disporre di uno scafo cilindrico fu il USS Albacore[70] unico esemplare della sua classe. Pur disponendo di propulsione diesel-elettrica l'Albacore fu un grande passo in avanti, e l'esperienza acquisita con questa unità influenzò in modo decisivo la progettazione delle classi successive.
Evoluzione delle armi
L'avvento delle nuove unità sviluppate a partire dai primi anni cinquanta fu accompagnato da una corrispondente evoluzione del loro armamento. Il cannone, presente su tutti i sottomarini della seconda guerra mondiale, fu rimosso di fatto da tutte le unità in servizio già con i programmi di ammodernamento GUPPY e BALAO, mentre le nuove unità ne erano sprovviste. Ben presto però questo vuoto fu colmato dai missili. La prima unità al mondo ad essere equipaggiata con questo nuovo tipo di arma fu lo USS Cusk[71] che fu armato con un missile Loon, il quale non era altro che una copia del missile V1 tedesco. Il USS Cusk effettuò il primo lancio di un missile il 12 febbraio 1947.[72] L'esito soddisfacente della prova indusse la marina ad avviare ben presto lo sviluppo di nuovi missili da crociera appositamente studiati per questo compito. Tra questi il progetto più riuscito e di maggiore fama fu indubbiamente il Regulus[73], che poteva essere lanciato in emersione. A partire dalla fine degli anni sessanta però lo sviluppo dei missili da crociera fu interrotto a favore dei missili balistici che successivamente andarono ad armare le unità americane della Classe Ethan Allen, della Classe Lafayette ed infine della Classe Ohio. In quella fase iniziale i missili da crociera avevano rappresentato il primo passo in direzione dei più potenti missili balistici, ma tornarono in auge a partire dalla metà degli anni settanta quando si compresero i vantaggi propri di queste armi e si avviò la progettazione dei missili Tomahawk, appositamente progettati per essere lanciati in immersione dai tubi lancia siluri.
L'Unione Sovietica
Nel periodo del dopoguerra fino alla fine della Guerra Fredda i sottomarini costituirono le principali unità della marina sovietica, che arrivò a schierare la più grande flotta subacquea del mondo.[74] Nel citare le varie classi di sottomarini sovietici, ancora oggi viene spesso utilizzata la denominazione assegnata dalla NATO piuttosto che quella utilizzata dalla marina sovietica.
I primi sottomarini nucleari
Nonostante un grande scarto tecnologico iniziale, rapidamente colmato a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta, lo sviluppo dei sottomarini sovietici fu simile a quello delle unità americane sia per qualità che per quantità. Contrariamente alla prassi statunitense, però, la divulgazione di informazioni ed immagini fu estremamente scarna e ancora oggi molte informazioni, anche quelle riguardanti unità ormai radiate da anni, non sono disponibili. Esattamente come i progettisti americani anche quelli sovietici ritennero che lo sviluppo futuro dei sottomarini dipendesse da quello dei missili balistici e da crociera ma l'impulso maggiore venne dall'introduzione della propulsione nucleare. La prima unità dotata di un reattore nucleare ad entrare in servizio fu il K-3 Leninskij Komsomol, un sottomarino della Classe November varato il 7 luglio 1958, cui seguirono ulteriori 13 esemplari costruiti fino al 1963[75]. I November furono affiancati, a partire dal 1965, dalla più perfezionata classe Victor, della quale entrarono in servizio 48 esemplari fino ai primi anni novanta. I Victor furono costruiti in tre versioni, identificati in Occidente con i nomi in codice NATO di Victor I, Victor II e Victor III[76]. Queste unità, dallo scafo idrodinamico, rappresentarono per quasi due decenni la spina dorsale delle forze subacquee sovietiche, e a partire dai primi anni ottanta furono progressivamente sostituite dalle unità delle classi Sierra e Akula. Contrariamente a quanto avveniva nello stesso periodo in occidente, la marina sovietica non volle affidarsi ad un unico progetto per rimpiazzare i Victor, ma ne fece sviluppare due molto simili tra di loro.
Gli SSGN
Una categoria di sottomarini che in Unione Sovietica ebbe ampio sviluppo fu quella degli SSG/SSGN, equipaggiati con missili da crociera o antinave. Questi mezzi erano concepiti principalmente per contrastare le grandi portaerei americane, un tipo di nave la cui costruzione richiede esperienze operative e progettuali che i cantieri sovietici non possedevano[77]. Inizialmente, si decise di modificare mezzi già in uso: infatti, le prime unità ad essere dotate di missili antinave furono quelle della Classe Whiskey, che furono equipaggiati con un numero variabile (da uno a quattro, a seconda della versione) di SS-N-3 Shaddock. Successivamente, si ritenne opportuno costruire unità appositamente progettate per questo compito. Il risultato furono le classi Juliett ed Echo: i primi, a propulsione convenzionale, ideati per attaccare le portaerei; i secondi, a propulsione nucleare, avevano il compito di attaccare obiettivi terrestri[78]. Tuttavia, la grande limitazione di queste unità era che il lancio doveva avvenire necessariamente in emersione, aumentando quindi la vulnerabilità. Per questa ragione, vennero sviluppati i sottomarini della classe Charlie, prime unità sovietiche in grado di lanciare missili antinave restando in immersione.[79] In dettaglio, l'armamento principale era costituito da otto missili SS-N-7 Starbright o SS-N-9 Siren, a seconda della versione. Infine, a partire dagli anni ottanta, sono entrati in servizio i grandi battelli della classe Oscar, armati con 24 missili SS-N-19 Shipwreck e concepiti per lanciare attacchi di saturazione contro i gruppi aeronavali americani.[80] Gli Oscar sono i soli SSGN russi oggi in servizio.
Gli SSBN
L'Unione Sovietica avviò un vasto programma per lo sviluppo di unità SSBN allo scopo di ovviare alla carenza di basi avanzate su cui stazionare i propri missili balistici puntati contro il territorio americano. Il primo missile balistico di produzione sovietica progettato per essere lanciato da un sottomarino era il SS-N-4, una copia migliorata del V-2 tedesco, che veniva stivato nella torre delle unità SSB della Classe Zulu, che poteva ospitarne due[81]. Potenziato e più avanzato era invece l'armamento dei sottomarini Classe Golf che potevano trasportare fino a tre missili del tipo SS-N-5 Serb lanciabili anche in immersione. Nonostante il successo di queste due classi di SSB, il fatto che fossero sprovviste di propulsione nucleare ne limitava il raggio d'azione e l'autonomia in modo considerevole. I primi veri SSBN furono i battelli della Classe Hotel, che come le due classi precedenti stivavano i propri missili nella torre. Per aumentare il numero di missili apparve chiaro che essi dovevano essere stivati nello scafo. Le prime unità ad utilizzare questa soluzione tecnica furono i battelli della Classe Yankee varati a partire dal 1966, che disponevano di una batteria di 16 missili balistici[82]. Successivamente queste unità furono affiancate dagli SSBN della Classe Delta la cui costruzione si protrasse dal 1972 fino al 1992.[83] Le ultime unità a entrare in servizio con la marina sovietica prima del collasso dell'URSS furono quelle della Classe Typhoon che sono a tutt'oggi le più grandi unità subacquee mai varate nel mondo.[84]
Gli SSK
Durante la guerra fredda, la marina sovietica sviluppò numerose classi di sottomarini convenzionali, entrati in servizio in centinaia di esemplari. Queste unità, originariamente costruite a causa delle iniziali difficoltà tecniche incontrate nello sviluppo dei reattori nucleari per sottomarini, continuarono ad essere costruite per tutto il periodo della Guerra Fredda, al contrario di quanto fecero gli americani che rinunciarono ai sottomarini convenzionali alla fine degli anni cinquanta. I motivi di questa scelta furono probabilmente molteplici. I sottomarini diesel erano più economici e anche più efficienti di quelli nucleari in determinate missioni (in immersione, con le eliche ferme o propulse dall'energia degli accumulatori elettrici, i sottomarini convenzionali risultavano più silenziosi di quelli nucleari in cui reattore e pompe di raffreddamento non potevano mai essere arrestati). Un altro motivo fu la difficoltà dell'industria sovietica di produrre un numero di reattori adeguato a equipaggiare una flotta subacquea interamente atomica.[85] Inoltre i vertici della marina sovietica ritennero opportuno mantenere una significativa aliquota di sottomarini convenzionali anche per farvi affidamento nel caso si fossero rilevati difetti o problemi nella costruzione o gestione delle unità a propulsione nucleare.[38] Infine va considerato che tra le nazioni membro del Patto di Varsavia, l'Unione Sovietica era l'unica a produrre sottomarini su larga scala e parte di queste unità era destinata a paesi alleati e amici che non potevano sostenere il costo di unità dotate di propulsione nucleare.
Tra le classi che rientrano in questa categoria spiccano le moderne unità della Classe Kilo, che hanno raccolto l'eredità dei precedenti Romeo, Foxtrot e Tango introdotti dai primi anni sessanta. I Kilo hanno rappresentato lo standard di riferimento nel loro campo per tutti gli anni ottanta fino ai giorni nostri. Ben 15 unità erano operative già nel 1990[86] e ad oggi si contano 30 battelli entrati in servizio. Di grande importanza fu anche la classe Whiskey, che con i suoi 236 esemplari costruiti negli anni cinquanta rappresenta la più numerosa classe di sottomarini mai realizzata da un singolo Paese in tempo di pace.[87]
La marina italiana nel dopoguerra
Alla fine della seconda guerra mondiale alla marina italiana non fu concesso di mantenere unità subacquee in servizio e tutte le unità sopravvissute al conflitto dovettero essere cedute ai vincitori o demolite. Due di esse però, il Giada e il Vortice, assegnate alla Francia che non le aveva mai ritirate, furono reintegrate in servizio dalla nascente Marina militare italiana, convinta della necessità di mantenere esperienze e competenze nel settore sommergibilistico. Le due unità erano ufficialmente inquadrate come pontoni di carica per le batterie ma in realtà, con il tacito assenso degli Alleati, operavano dalla base di Taranto per addestrare gli equipaggi[88]. Le cose cambiarono con l'adesione dell'Italia alla Nato quando si manifestò l'urgente esigenza di disporre di nuove unità. Tale necessità fu soddisfatta inizialmente dalla cessione di 7 sottomarini statunitensi della classe Gato modificati agli standard GUPPY II e III. Ad essi si aggiunsero, nei primi anni settanta, due unità della Classe Tang.[89] A partire dal 1965, però, la marina italiana iniziò a commissionare nuovi progetti ai cantieri nazionali. I primi sottomarini di costruzione nazionale ad entrare in servizio furono le 4 unità della Classe Enrico Toti[90], tutte varate entro il 1970.[90]
Successivamente entrarono in servizio 4 unità della classe Sauro[91], un progetto basato sull'esperienza acquisita con i sottomarini della classe Toti. Nel corso degli anni ottanta e novanta entrarono in servizio ulteriori quattro unità della classe Sauro migliorata, nota come Classe Sauro Pelosi.
Come molte delle marine maggiori anche l'Italia aveva avviato la progettazione per una classe di sottomarini a propulsione nucleare di ridotte dimensioni, la Guglielmo Marconi[92], di cui erano previste due unità da completare con l'aiuto degli Stati Uniti. Il clima di instabilità politica di quel periodo e il timore che i progetti potessero cadere in mano sovietica indussero gli Stati Uniti a interrompere la cooperazione con l'Italia e il progetto fu abbandonato[93][94].
I giorni nostri e il futuro
La fine della Guerra Fredda e la dissoluzione dell'URSS e del Patto di Varsavia hanno portato a una progressiva contrazione delle spese militari e a una significativa riduzione degli arsenali strategici, fattori che hanno interessato anche i sottomarini. Gli elevati costi di sviluppo e di gestione hanno spinto Stati Uniti e Russia a ridurre il numero delle unità in servizio, radiando quelle più anziane e talvolta cancellando l'ultimazione di sottomarini (soprattutto SSN ed SSBN) ancora in fase di costruzione.[95]
Ciò nonostante da qualche anno la Russia ha ridato impulso alle attività di sviluppo e costruzione di sottomarini. A partire dal 2007 è stato varato il primo esemplare di una nuova classe di SSBN, la classe Borei, il cui scafo era stato impostato nel 1996, ma che non fu mai completato negli anni novanta.[96] La nuova classe andrà prima affiancare le tre unità ancora in servizio della classe Typhoon, per poi sostituirle progressivamente. Sono ripresi i lavori per il completamento del primo SSN della classe Severodvinsk, mentre le unità convenzionali della classe Kilo sono state sostituite a partire dal 2012 da sottomarini di nuova concezione della Classe Lada/Amur. Gli Stati Uniti hanno preferito ammodernare gli SSBN della classe Ohio e gli SSN della Los Angeles. Un primo programma per sostituire i Los Angeles fu avviato con la Seawolf nel 1989 ma fu interrotto dopo la realizzazione di tre sole unità[97]. Nel 1998 è stato avviato il programma per una nuova classe di SSN, la Classe Virginia, destinata a sostituire i Los Angeles. L'unità capoclasse, SSN-774 Virginia, è entrata in servizio nel 2004 e si prevede la costruzione di un totale di 30 battelli suddivisi in due sottoclassi[98]. La Gran Bretagna sta introducendo in servizio i primi SSN della nuova classe Astute[99][100], appartenente alla stessa generazione tecnologica dei Seawolf statunitensi e dei Severodvinsk russi. L'interesse per i sottomarini convenzionali è notevolmente cresciuto negli ultimi anni grazie ai progressi tecnologici nel campo della propulsione AIP (Air-independent propulsion) e in particolare delle Pile a combustibile, che consentono di aumentare sensibilmente l'autonomia in immersione dei battelli diesel-elettrici. Tra le unità che fanno ricorso a questi nuovi sistemi spiccano i battelli italo-tedeschi della Classe U-212/U-214, adottati anche dalla Marina Militare Italiana, capaci di restare in immersione profonda fino a tre settimane.[101]
Sottomarini utilizzati per scopi scientifici
Decisamente più modesto è stato il numero di sottomarini impiegati per scopi scientifici. L'importanza del sottomarino come strumento per l'esplorazione degli abissi raggiunse il culmine solo verso la metà degli anni cinquanta del secolo scorso, quando il progresso tecnologico e l'impiego di materiali avanzati permisero la costruzione di sottomarini in grado di raggiungere profondità elevatissime. Grande notorietà ebbe il batiscafo Trieste, che nel 1960 raggiunse una profondità di oltre 10 000 metri con a bordo Auguste Piccard e Donald Walsh.[102]
Non meno famoso fu il batiscafo francese FNRS-2, che per un certo periodo fu in competizione con il Trieste per la conquista degli abissi, anche se non si immerse mai a profondità superiori ai 4 000 metri. Nonostante queste prestazioni eccezionali lo sviluppo di nuovi batiscafi fu abbastanza limitato e con il progredire della tecnica si preferì affidare l'esplorazione degli abissi a mezzi robotizzati o a sommergibili guidati a distanza.
Tra i sottomarini impiegati per scopi scientifici spiccano anche alcune unità della classe XXI tedesca che furono convertite nel dopoguerra in sottomarini di ricerca. Di queste unità la più nota fu quella che portava il nome di Willhelm Bauer, unica della sua classe a essere rimasta in Germania nel dopoguerra, impiegata dalla marina militare tedesca per scopi di ricerca. Altrettanto famoso è stato inoltre il minuscolo sottomarino a propulsione nucleare NR-1 della US Navy[103], unico della sua classe, che veniva utilizzato fino al 2008 per scopi scientifici e ricerche di natura militare e civile[104]. Anche la Russia impiega battelli a fini militari e scientifici, nonché per operazioni speciali e di intelligence[105].
Tra questi, il più avanzato è il Losharik: in grado di spingersi fino a 6 000 metri di profondità, può svolgere ricerche scientifiche e recuperare equipaggi da altri sottomarini danneggiati, oltre ad essere utilizzato per operazioni speciali[106].
Il principio fisico in base al quale un sottomarino effettua le operazioni di emersione e immersione è sostanzialmente il principio di Archimede. Si hanno quindi due tipologie di funzionamento: in assetto neutro (sott'acqua) e in assetto positivo (sulla superficie dell'acqua); l'assetto negativo viene in genere evitato in quanto rappresenta una situazione di pericolo poiché porta il mezzo ad avere una densità media maggiore di quella dell'acqua, generando così una tendenza intrinseca all'affondamento; d'altronde un'eventuale immersione rapida può essere anche effettuata con l'ausilio dei timoni verticali e la spinta del motore.
La struttura del sottomarino è formata da due scafi: lo scafo esterno o scafo leggero, il quale imposta la forma idrodinamica del sommergibile, e lo scafo interno o scafo resistente, il quale deve far fronte appunto alla pressione idrostatica. La parte abitata del sottomarino è totalmente contenuta all'interno dello scafo resistente, mentre la zona tra i due scafi è divisa in sezioni dette casse.
Le casse possono assolvere a diversi compiti: le casse di zavorra sono le casse che, imbarcando acqua, aumenteranno il peso del battello. Col medesimo principio le casse di compensazione servono a compensare la perdita di liquidi o siluri in navigazione, mentre le casse di assetto servono a correggere l'assetto longitudinale o laterale del battello. In ultimo sono presenti casse contenenti combustibili, olii e acqua potabile, le casse di disimpegno e di espulsione.
Funzionamento in assetto neutro
Siccome la struttura del sottomarino ha una densità maggiore di quella dell'acqua, senza alcun accorgimento si avrebbe l'affondamento, per questo all'interno della struttura viene ricavata una camera stagna, contenente una quantità di aria sufficiente a fare in modo che la densità media di tutto il sottomarino sia pari a quella dell'acqua (cioè circa 1000 kg/m³). In queste condizioni si dice che il sottomarino è in assetto neutro, ovvero è sufficiente la sola forza del motore di coda perché il sottomarino si sposti nell'acqua. La direzione dello spostamento viene regolata grazie ad un sistema di piani orizzontali e verticali analoghi a quelli presenti nell'impennaggio degli aerei: al movimento del timone (piano verticale) è associato lo spostamento orizzontale, mentre al movimento di piani orizzontali posti sulla coda del sottomarino è associato lo spostamento verticale.
Funzionamento in assetto positivo
All'inizio della manovra di emersione, il sottomarino, avvicinandosi alla superficie dell'acqua, svuota le casse di zavorra, che in precedenza erano state allagate per immergere il sottomarino. Per fare questo, vengono azionate delle valvole che liberano all'interno delle casse aria compressa in precedenza all'interno di apposite bombole. Quest'aria, non potendo uscire dalle valvole di sfiato montate nella parte superiore dello scafo, forma una bolla che spinge l'acqua verso il basso dove sarà libera di uscire da un'apposita apertura nella parte inferiore, chiamata presa a mare. Per il principio di Archimede, la struttura si trova adesso in condizione di galleggiare in superficie, avendo una densità media minore di quella dell'acqua.
- Sottomarino in assetto positivo (sulla superficie dell'acqua).
- Apertura delle valvole.
- Sottomarino in assetto neutro (sott'acqua).