Storia della schiavitù
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La storia della schiavitù si inserì come istituto formale in molte culture, nazionalità e religioni, dai tempi antichi fino ai giorni nostri. Tuttavia le posizioni socio-economiche, lo status giuridico e le funzioni a cui erano preposti gli schiavi – esseri umani privati del diritto di proprietà su se stessi – risultarono anche essere notevolmente differenti e variabili all'interno dei diversi sistemi di schiavitù, in funzione sia dei tempi che dei luoghi presi in esame[2].
«"E queste cose vengono commesse e sono giustificate da uomini che professano di amare il loro prossimo come se stessi, che credono in Dio e pregano che la sua volontà sia fatta sulla Terra! Fa bollire il sangue e tremare il cuore pensare che noi inglesi e i nostri discendenti americani con il loro millantato grido di libertà, siamo stati e continuiamo ad essere tanto colpevoli"»
(Charles Darwin, Viaggio di un naturalista intorno al mondo (1839)[1].)
La schiavitù può essere ricondotta ai primi documenti legali scritti, fra tutti il babilonese Codice di Hammurabi (1860 a.C.), il quale si riferisce ad essa come ad un'istituzione consolidata e del tutto comune tra i popoli dell'antichità[3]. Se si parla dello stato di schiavitù nelle prime civiltà dotate di scrittura le condizioni della sua nascita sono, in assenza di fonti, impossibili da determinare con precisione. Le fonti, le giustificazioni, le posizioni e le attività materiali attribuite agli schiavi oltre che le condizioni per la loro liberazione contribuiscono a dare una sua specificità ad ogni configurazione storica.
La schiavitù fu rara tra le popolazioni di cacciatori-raccoglitori preistorici, poiché essa iniziò a svilupparsi come un sistema di stratificazione sociale. Conosciuta tra le prime civiltà, come quella dei Sumeri in Mesopotamia risalente al 3.500 a.C., quasi ogni altra civiltà dell'epoca la praticò. La schiavitù divenne comune in gran parte del continente europeo durante i secoli bui e continuò per tutto il corso del Medioevo, anche a causa delle guerre bizantino-ottomane (1265-1479, parte delle guerre ottomane in Europa) le quali portarono alla cattura di un gran numero di schiavi cristiani.
Commercianti ed avventurieri francesi, spagnoli, portoghesi, inglesi, arabi ed un certo numero di regni autoctoni dell'Africa occidentale svolsero un ruolo di primo piano nella tratta atlantica degli schiavi africani, soprattutto dopo il 1600. L'autore David P. Forsythe[4] ha scritto che "la pratica proseguì fino all'inizio del XIX secolo circa, quando i 3/4 di tutti gli esseri umani viventi vennero intrappolati in una qualche forma di schiavitù o di servitù della gleba contro la loro volontà"[5]. Il regno di Danimarca-Norvegia divenne il primo paese europeo a proibire il commercio degli schiavi nel 1802.
Anche se la schiavitù non è più ufficialmente legale in nessuna nazione del pianeta[6] il traffico di esseri umani rimane un grave problema internazionale; si stima che tra i 25 e i 40 milioni di persone si trovino attualmente ancora in uno stato di effettiva schiavitù[7]. Durante la seconda guerra civile in Sudan (1983-2005) i prigionieri di entrambe le parti vennero ridotti in schiavitù[8]. Inoltre, anche se la schiavitù in Mauritania è stata criminalizzata nell'agosto del 2007[9] si stima che fino a 600.000 persone (il 20% dell'intera popolazione) siano oggi schiavi, molti dei quali utilizzati nel lavoro forzato a seguito di una servitù debitoria[10].
Evidenze emersero alla fine degli anni novanta nei riguardi di una schiavitù sistematica tramite il lavoro minorile attuata nelle piantagioni di cacao dei paesi africani occidentali[11]. La schiavitù richiede tipicamente una mancanza di manodopera e un surplus di terra per poter essere vitale.