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Il Governo "Commissariale" Bellazzi è stato in carica dal 14 settembre 1943 al 23 settembre 1943 (N.d.R.: ci sono atti firmati dai Commissari ancora il 19.10.1943) per un totale di 10 giorni.
Il Generale di divisione, Comandante della Città Aperta di Roma, Conte Giorgio Carlo Calvi di Bergolo, genero del Re d'Italia Vittorio Emanuele III di Savoia avendone sposata la primogenita Iolanda Margherita di Savoia, con propria Ordinanza n° 3 del 14 settembre 1943 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n° 223 del 24 settembre 1943)[1][2][3], "tenuto conto che: la presente situazione militare non consente il normale svolgimento dell'attività politica da parte dei Ministri e richiede l'immediato intervento dell'Autorità militare onde assicurare, nell'interesse del Paese, la prosecuzione dell'attività tecnica e amministrativa dei Ministeri", nomina per ciascun Ministero i seguenti Commissari che "esercitano, nell'ambito delle leggi vigenti, tutte le funzioni tecniche, amministrative, regolamentari, disciplinari devolute ai Ministri e li sostituiscono a tutti gli effetti, assumendo in proprio la responsabilità della condotta dei rispettivi Ministeri":
Con successiva Ordinanza n° 6 del 16 settembre 1943 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n° 223 del 24 settembre 1943)[4], nomina, inoltre, i seguenti Commissari:
Tale Governo "Commissariale" fu spodestato il 23 settembre 1943 dal Governo Fascista Repubblicano nella sua prima seduta[5] del 23 settembre 1943.
Elio Lodolini, "Roma 1943: una strana "città aperta"", in "Strenna dei Romanisti" - Natale di Roma - 2011 - Ab Urbe condita MMDCCLXIV, Vol. LXXII - 2011, Gruppo dei Romanisti, Roma Amor, Roma, 2011, Pagg. 407-421, Link: http://www.gruppodeiromanisti.it/wp-content/uploads/2014/10/2011.pdf (*)
(*) Per più ampie notizie sullo stesso tema ed altri connessi rinvio a: Elio LODOLINI, Dal Governo Badoglio alla Repubblica italiana. Saggio di storia costituzionale del "quinquennio rivoluzionario" 25 luglio 1943 - 1° gennaio 1948, Genova, Associazione culturale Italia, 2010, pp. 286, che esamina le vicende di quel tormentato periodo sotto l'aspetto del diritto costituzionale.
Nella seconda guerra mondiale, dopo i grandi bombardamenti aerei angloamericani su Roma, che avevano provocato gravi distruzioni di edifici, specialmente nel quartiere di San Lorenzo, e migliaia di morti fra gli abitanti, nell'agosto 1943 l'Urbe fu dichiarata "città aperta", cioè fu comunicato al nemico che si trattava di una città priva di uffici e apprestamenti militari, e che quindi, in base al diritto internazionale, non doveva costituire un obiettivo bellico.
La dichiarazione fu effettuata dal Governo Badoglio, un governo illegittimo, semplice "governo di fatto", nato con il colpo di Stato attuato da Vittorio Emanuele III il 25 luglio 1943, inviolazione delle norme costituzionali allora vigenti e con la successiva soppressione, con semplici regi decreti anch'essi assolutamente illegittimi, di tutti gli organi costituzionali e l'instaurazione di una dittatura militare. Sulla spietata durezza di quella dittatura militare, basterà citare la circolare 26 luglio 1943, a firma del Capo del Governo, Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio, che comminava l'immediata fucilazione senza processo ai cittadini "colpevoli" di avvicinarsi ad un reparto militare o di "vilipendere le istituzioni" (1).
L'affermazione che Roma fosse improvvisamente divenuta una "città aperta", cioè che Governo, comandi, uffici e reparti militari se ne fossero subitaneamente allontanati, era assolutamente falsa, oltre che poco credibile, dato che un simile trasferimento mai avrebbe essere effettuato dall'oggi al domani e senza che lasciasse tracce visibilissime. Comandi e uffici, viceversa, rimasero sempre a Roma e furono mascherati in maniera a dir poco ridicola - se non fosse per la gravità del momento -, e cioè... tenendo chiuse le persiane degli edifici in cui essi si trovavano. Il personale continuò a rimanere e ad operare dove si trovava prima, non più alla luce del sole, ma tenendo le luci elettriche accese nelle stanze e le finestre schermate anche a mezzogiorno.
Una simile superficialità potrebbe sembrare incredibile, se non ci fosse già stata l'altrettanto assurda superficialità con la quale il Governo Badoglio aveva condotto le trattative non per far uscire l'Italia dalla guerra, ma per continuare la guerra dalla parte del nemico (2). Migliaia furono le persone obbligate a partecipare a questa mascherata e più ancora quelle che ne furono a conoscenza, fra personale militare, impiegati civili dei dicasteri militari e relative famiglie. Fra di essi posso ricordarne uno appartenente alla mia famiglia, e precisamente mio Padre, il romanista Armando Lodolini, ufficiale di complemento, volontario di guerra (3) nella seconda guerra mondiale - come già nella prima, nella quale aveva ricevuto ben cinque decorazioni al valor militare -, che nel R. Esercito rivestiva il grado di Tenente Colonnello di Fanteria in Servizio di Stato Maggiore e prestava servizio nel Comando Supremo, SIM, che si trovava e continuò a trovarsi e ad operare in via XX Settembre.
Naturalmente anche il nemico ne era perfettamente informato, tanto che gli angloamericani continuarono ad effettuare su Roma bombardamenti e mitragliamenti, sia pur di minore intensità. Frequenti furono, in particolare, i mitragliamenti dei tram, sempre affollatissimi di civili (4).
Più tardi con quello che fu denominato "armistizio", e che fu invece un "documento di resa incondizionata" ("Instrument of surrender of Italy" è il titolo del documento ufficiale o "armistizio lungo", in cui è precisato che era stato accettato "senza condizioni" dal Governo Badoglio: si trattava, appunto, di una "resa incondizionata", che trasferiva tutti i poteri al nemico (5)), del settembre 1943, si verificò a Roma una situazione ulteriormente anomala. Partiti per Brindisi, per la via Tiburtina sino alla costa adriatica poi a bordo della corvetta "Baionetta", il Re, Badoglio ed i Ministri della Guerra e della Marina, scomparsi gli altri Ministri, la città, come l'intera Nazione italiana, rimase priva di capi responsabili. Il militare più elevato in grado presente in Roma era il vecchio Maresciallo d'Italia Enrico Caviglia, che, nato a Finalmarina (Genova) nel 1862, nel 1943 aveva ottantun anni. Toccò quindi a lui assumere il comando della città, in quanto, essendo stata instaurata una dittatura militare, l'incarico spettava automaticamente a lui (e non ad un civile) in ragione del grado militare rivestito
Secondo il lavoro di Tamaro sopra citato, di poco successivo agli avvenimenti in esso descritti, sarebbe stato Caviglia a sollecitare dal Sovrano il conferimento dei poteri necessari a "far funzionare il Governo durante l'assenza del Presidente del Consiglio". Il Re avrebbe risposto con due telegrammi, inviandogli con l'uno un saluto e conferendogli con l'altro il "potere mantenere funzionamento Governo durante temporanea assenza Presidente Consiglio che si trova con Ministri militari", ma i telegrammi non sarebbero giunti a Caviglia: "si ritiene generalmente - scrive Tamaro - che li abbia trattenuti Badoglio, timoroso e geloso che l'aborrito Caviglia si creasse una posizione di comando a Roma" (6). Invece, secondo quanto hanno scritto di recente Patrizio Rapalino e Giuseppe Schivardi, l'incarico sarebbe pervenuto a Caviglia: "Il maresciallo Caviglia aveva chiesto e ricevuto dal re che era ancora in navigazione sul Baionetta, tramite la radio dell'incrociatore Scipione, l'incarico di mantenere il funzionamento del governo a Roma durante l'assenza del maresciallo Badoglio e dei ministri militari" (7): la formula è identica a quella riportata da Tamaro.
L'investitura di Caviglia da parte del Re avrebbe avuto quindi addirittura la natura di una nomina a facente funzione di Capo del Governo per Roma e per i territori non occupati dagli angloamericani, mentre Vittorio Emanuele, Badoglio e due Ministri militari si trasferirono in quelli sotto occupazione nemica.
In ogni caso, Caviglia (8) assunse tutti i poteri e intraprese trattative con il Comando germanico, a seguito delle quali fu nominato Comandante della "città aperta" il generale di divisione conte Carlo Calvi di Bèrgolo (genero di Vittorio Emanuele III, in quanto ne aveva sposato una delle figlie, Jolanda), "che avrà alle sue dipendenze una Divisione di Fanteria per il mantenimento dell'ordine pubblico, oltre a tutte le Forze di Polizia". Un comunicato ufficiale, diramato alle ore 16 del 10 settembre 1943, affermava: "I Ministri rimangono in carica per il normale funzionamento dei rispettivi dicasteri", cosa che risultò quasi subito non vera.
In realtà, l'incarico di Calvi di Bergolo durò appena una dozzina di giorni, dallo stesso 10 al 22 settembre 1943. Cessò il 23 settembre, con la costituzione del "Governo fascista repubblicano" (9), poi Governo della Repubblica Sociale Italiana.
Subito dopo, l'11 settembre, Calvi di Bèrgolo indisse una riunione dei Ministri del Governo Badoglio rimasti in Roma, ma non sappiamo quanti abbiano risposto alla chiamata. Qualcuno, comunque, si presentò, se l'Agenzia giornalistica Stefani poté diramare la notizia che l'11 settembre si erano riuniti "i membri del Governo, sotto la presidenza del più anziano dei Ministri" presenti alla riunione, senza specificare chi fosse. Essi constatarono che "la situazione" era "affidata all'Autorità militare" e presero accordi "per il normale funzionamento" dei Ministeri cui erano stati preposti. "L'Autorità militare, da parte sua, sta adottando, d'intesa con tutti i Dicasteri competenti, i provvedimenti indispensabili per la normalizzazione dei servizi pubblici ed in particolare modo del servizio della alimentazione": (10). Si considerarono poi tutti dimissionari e abbandonarono i rispettivi uffici.
Pochi giorni dopo, con "Ordinanza n. 3" del 14 settembre, e "Ordinanza n. 6" del 16 settembre 1943, entrambe pubblicate nella "Gazzetta ufficiale" del 24 settembre, n. 233, Calvi di Bergolo nominò un "Commissario" per ciascun ministero, considerando decaduti tutti i Ministri del Governo Badoglio, ivi compresi quelli della Marina e dell'Aeronautica, gli unici due che avessero seguito a Brindisi il Re e Badoglio.
Commissari furono:
Inoltre, con Ordinanza n. 2 del 14 settembre, il Comandante della "Città aperta" decretò la immediata consegna alla Polizia delle armi, allora possedute da gran parte delle famiglie in quanto portate a casa come cimelio da moltissimi reduci della prima guerra mondiale. L'ordinanza stabiliva che dopo le ore 24 del giorno seguente, 15 settembre, chiunque fosse stato trovato in possesso di armi sarebbe stato "giudicato e fucilato per giudizio sommario".
Con la costituzione del Governo della Repubblica Sociale Italiana - un Governo di fatto, ma indipendente e sovrano - le sedi ministeriali, nonché quelle centrali di enti pubblici nazionali, lasciarono Roma e si trasferirono nell'Italia settentrionale, in città diverse, sia per attuare realmente la natura di "città aperta" di Roma, sia nella previsione di un'avanzata nemica che avrebbe potuto investire la stessa Capitale (cosa, questa, che si verificò soltanto il 4 giugno 1944).
In alcuni casi, invece, prevedendosi l'interruzione delle comunicazioni, fu effettuato uno sdoppiamento delle istituzioni.
Così avvenne, ad esempio, per la Corte di Cassazione. In base ad un accordo fra il Ministro della Giustizia della Repubblica, Piero Pisenti, ed il Primo Presidente e il Procuratore generale della Corte - rispettivamente, Francesco Messina e Carlo Saltelli -, la sede principale della Cassazione rimase a Roma e funzionò con lo stesso personale sia nella Repubblica Sociale Italiana che, dopo il passaggio del fronte, durante il "Governo regio" (ormai divenuto luogotenenziale); ma fu inoltre istituita una Sezione di essa nell'Italia settentrionale. Il caso opposto si verificò per il Consiglio di Stato: la sede centrale del Consiglio di Stato si trasferì nell'Italia settentrionale, ma una delle sue Sezioni giurisdizionali fu mantenuta nella sede di Roma per Decreto del Duce della Repubblica Sociale Italiana del 5 dicembre 1943-XXII, "Mantenimento in Roma di una Sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato" pubblicato nella "Gazzetta ufficiale d'Italia", anno 84°, n. 302, del 29 dicembre 1943-XXII.
Norme cogenti furono emanate dai Commissari dei Ministeri in Roma, sotto la denominazione di "determinazioni" o "decreti". Essi furono sovente adottati "udito il Consiglio di Stato", "registrati dalla Corte dei Conti", muniti del sigillo dello Stato, muniti del "visto" del Commissario per il Ministero di Grazia e giustizia, inseriti nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti, pubblicati nella "Gazzetta ufficiale". Quantunque fossero stati nominati da un'autorità di carattere locale, il Comandante della Città aperta di Roma, adottarono provvedimenti relativi anche a tutto il territorio nazionale o, comunque, a località lontane dalla Capitale.
La circostanza più singolare, però, fu la permanenza, anche dopo la nascita della Repubblica Sociale Italiana, dei Commissari ai Ministeri nominati dal Comandante della "Città aperta" di Roma e contemporaneamente all'esistenza dei Ministri della stessa Repubblica.
I Commissari rimasero difatti in carica ed esercitarono le loro funzioni per varie settimane, contemporaneamente ai Ministri del Governo della R.S.I..
Il Governo repubblicano non solo riconobbe i Commissari, ma addirittura mantenne la separata gestione commissariale per i dicasteri militari, evidentemente per il solo funzionamento della sede romana dei Ministeri, mentre nello stesso Governo repubblicano i tre dicasteri militari furono unificati in un unico Ministero delle Forze Armate, di cui fu titolare il Maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani. E non solo: due dei Commissari titolari dei dicasteri militari furono sostituiti con altri dalla Repubblica sociale, confermando quindi e mantenendo, cioè, l'istituzione: con Ordinanza n. 12 del 10 ottobre 1943 di un "Commissario superiore dei Ministeri militari", pubblicata nella "Gazzetta ufficiale" del 25 ottobre 1943, n. 249, furono nominati Commissari:
I decreti della Repubblica Sociale Italiana continuarono la numerazione non solo di quelli dei precedenti Governi, ma anche di quelli dei Commissari ai Ministeri, ed anzi talvolta con essi si intersecarono, nel senso che addirittura per alcuni mesi, sino alla fine del 1943, vi furono decreti della R.S.I. successivi a quelli dei Commissari ai Ministeri, ma anche decreti dei Commissari ai Ministeri successivi - quanto meno nella numerazione e nella data di pubblicazione - a quelli della R.S.I. (11).
I decreti dei Commissari e quelli dei Ministri della R.S.I. furono ugualmente registrati dalla Corte dei Conti, tanto che potrebbe quasi parlarsi di un passaggio di consegne fra i Commissari ed i Ministri della R.S.I..
Il "Governo" regio del Sud, invece, non riconobbe né l'operato del Comandante della "Città aperta" di Roma, quale, ad esempio, la sostituzione, con Commissari, dei Ministri della Guerra e della Marina che avevano seguito Vittorio Emanuele III e Badoglio a Brindisi, né la nomina degli stessi Commissari e le norme da essi emanate (12).
Il riconoscimento, da parte del Governo della Repubblica Sociale Italiana e il mancato riconoscimento da parte del "Governo" del così detto "Regno del Sud", dei Commissari ai Ministeri romani, nominati da un'autorità riconducibile al Governo regio anteriore all'8 settembre 1943, è un ulteriore paradosso di questa strana "città aperta" di Roma.
Post scriptum - Dopo la correzione delle bozze di questo articolo, molti, fra i decreti dei Ministri della Repubblica Sociale Italiana e fra le determinazioni dei Commissari della "Città aperta" di Roma del 1943, sono stati compresi fra le "disposizioni regolamentari che sono o restano abrogate" dal Decreto del Presidente della Repubblica 13 dicembre 2010, n. 248, "Regolamento recante abrogazione espressa delle norme regolamentari vigenti che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete, a norma dell'articolo 17, comma 4-ter, della legge 23 agosto 1988, n. 400". Quel D.P.R. è stato pubblicato in un supplemento ordinario alla "Gazzetta ufficiale" n. 20, del 26 gennaio 2011, in tre grossi volumi di 3.087 pagine complessive, e comprende 132.393 norme, dal 21 aprile 1861 al 13 giugno 1986. È entrato in vigore, in base alla normale vacatio legis, il 10 febbraio 2011.
Ne diamo qualche esempio. La determinazione del Commissario al Ministero per le finanze n. 151 del 29 settembre 1943, sopra citata alla nota 11, che si riferiva a "Modalità di pagamento da parte delle Amministrazioni dello Stato" è fra le disposizioni che "sono o restano abrogate" dal 10 febbraio 2011, al n. 50.510.
La determinazione del Commissario al Ministero per l'Agricoltura e per le Foreste del 29 settembre 1943, senza numero, "Norme per l'attuazione dell'ammasso dell'olio di oliva nella campagna 1943-44" è fra le disposizioni che "sono o restano abrogate" come sopra, al n. 50.508.
Il decreto del Ministro delle Finanze della R.S.I. 5 ottobre 1943, "Proroga dei termini di prescrizione e di decadenza in materia finanziaria" è fra le disposizioni che "sono o restano abrogate" come sopra, al n. 54.524.
Il decreto del Commissario al Ministero delle Comunicazioni del 13 ottobre 1943-XXI, registrato alla Corte dei Conti il 27 ottobre 1943-XXI, reg. 19, Uff. Rise. Poste, foglio 332, "Nuovi prezzi di vendita ai correntisti dei moduli del servizio dei conti correnti postali" è fra le disposizioni che "sono o restano abrogate" come sopra, al n. 50.544.
Da rilevare che fra le disposizioni abrogate sono elencate, frammiste fra loro in ordine cronologico e senza alcuna specificazione, sia disposizioni della Repubblica Sociale Italiana che disposizioni del così detto "Regno del Sud". Per esempio, al n. 50.562 figura il decreto del Duce del 27 ottobre 1943 "Legge fondamentale sulle Forze Armate" (ovviamente, della R.S.I.) e al n. 50.563 il precedente decreto del Duce della stessa data "Scioglimento delle Forze Armate regie e costituzione delle Forze Armate repubblicane", mentre al n. 50.573 figura il Regio decreto del 30 ottobre 1943, n. 1 (di una nuova numerazione adottata dal Governo di Brindisi), "Apposizione del visto alle leggi e ai decreti durante l'assenza del Ministro Guardasigilli per le contingenze di guerra" e al n. 50.574 il Regio decreto dello stesso 30 ottobre 1943, n. 3, "Pubblicazione di una serie speciale della Gazzetta ufficiale del Regno" (a Brindisi, con la numerazione da l/B).
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