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I cinici (dal greco κύων, "cane", soprannome di uno dei loro esponenti maggiori, Diogene) sono i seguaci della scuola filosofica di Antistene, una delle scuole socratiche minori, così chiamate per essere in qualche modo ispirate alla filosofia di Socrate. Il loro esponente più importante è Diogene di Sinope. Il nome sembra derivare o dal Cinosarge, l'edificio ateniese che fu la prima sede della scuola, o dalla parola greca per "cane", appellativo che fu dato in senso dispregiativo ai cinici dalle correnti filosofiche avversarie.
I cinici professavano una vita randagia e autonoma, indifferente ai bisogni e fedele al rigore morale. Dopo un periodo di declino per la scuola cinica, essa ebbe una ripresa in concomitanza alla corruzione del potere imperiale: si fece appello allora alla libertà interiore e all'austerità dei costumi.
L'interesse della scuola fu prevalentemente etico, e il concetto di "virtù" assunse un nuovo significato in una vita vissuta secondo natura; l'ideale era divenuto l'autosufficienza (l'autosufficienza del saggio, condotta fino all'assoluta indipendenza dal mondo esterno, secondo il termine greco autàrkeia, ovvero autarchia, capacità di detenere il totale controllo su se stesso), portando alle estreme conseguenze il pensiero individualistico e utilitaristico proprio della sofistica.
La tesi fondamentale di questa corrente di pensiero è la ricerca della felicità come unico fine dell'uomo. Una felicità che è una virtù e al di fuori di essa sussiste un disprezzo per ogni cosa che richiama comodità e agi. Comunemente il termine "cinismo" è stato associato in termini di sinonimia alla sfacciataggine, all'indifferenza.