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Agrigento (città antica)

città della Sicilia antica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

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Agrigento (in greco antico: Ἀκράγας?, Akragas) fu un importante polis greca situata sulla costa meridionale della Sicilia, nel territorio corrispondente all'odierna città di Agrigento.

Disambiguazione – "Akragas" rimanda qui. Se stai cercando la società calcistica, vedi Akragas 2018.
Dati rapidi Nome originale, Cronologia ...
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Storia

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La fondazione

La storia della città greca di Agrigento ebbe inizio intorno al 581 a.C., anno in cui venne fondata la polis di Akragas.

La nascita della città è strettamente legata allo sviluppo di Gela, da cui provenivano i coloni fondatori. Gela stessa era stata costituita da coloni rodii e cretesi, e i suoi abitanti, circa cinquant'anni dopo la fondazione della colonia megarese di Selinunte, avvertirono la necessità di limitare l'espansione di quest'ultima verso oriente. Per questo motivo decisero di fondare una nuova città tra i fiumi Imera e Alico, in una posizione strategica, e le attribuirono il nome del vicino fiume Akragas, che ne bagnava il territorio.

Secondo Polibio, la collocazione del nuovo centro urbano, a circa quattro chilometri dal mare e tra due corsi d'acqua, le conferiva «tutti i vantaggi di una città marittima».

La fondazione di Akragas, su una costa meno frequentata dai Greci rispetto a quella orientale della Sicilia, presuppone comunque una notevole presenza di navigatori egei nella regione e una disposizione favorevole dei Sicani autoctoni verso i nuovi arrivati.

Lo sviluppo di Gela e di Akragas – entrambe colonie di Greci con lunga esperienza marittima – si basò soprattutto sulla ricchezza agricola del territorio circostante, particolarmente fertile nella produzione cerealicola e adatto anche all'allevamento dei cavalli. Non a caso, la cavalleria costituiva la principale forza militare delle due città, come era tipico delle aristocrazie greche.

Infine, la vicinanza alle grandi rotte marittime rappresentava per queste colonie un fattore vitale: la navigazione garantiva i contatti con la madrepatria, favoriva gli scambi commerciali e permetteva di bilanciare la sproporzione numerica tra i coloni e le popolazioni indigene in mezzo alle quali essi si insediarono.

L'apogeo

Il periodo greco di Akragas si protrasse per circa 370 anni, durante i quali la città raggiunse un livello di potenza e splendore tali da essere definita da Pindaro «la più bella città dei mortali». A testimoniare la sua antica grandezza rimane oggi la celebre Valle dei Templi, con i suoi monumentali santuari in pietra dorata.

La prima fase della storia akragantina fu segnata dalla tirannide di Falaride (570-554 a.C.), ricordato per la sua politica di espansione verso l'interno, per la costruzione delle mura difensive e per l'abbellimento urbano. Tuttavia, Falaride passò alla storia soprattutto per la sua crudeltà: è infatti legato alla leggenda del toro di bronzo, strumento di tortura da lui impiegato per le vittime sacrificali. Il condannato veniva rinchiuso all'interno del toro cavo, sotto il quale ardeva un fuoco fino a causarne la morte per ustione; le grida, amplificate dal metallo, fuoriuscivano dalla bocca dell'animale come muggiti. L'artefice di tale invenzione, Perillo, fu il primo a subirne gli effetti. Odiato dal popolo, Falaride venne infine lapidato e, poiché amava vestirsi di azzurro, dopo la sua morte fu vietato indossare vesti di quel colore.

Il massimo splendore di Akragas si ebbe sotto la tirannide di Terone (488-471 a.C.). In questo periodo la città contava circa 300 000 abitanti e il suo dominio si estendeva fino alle coste settentrionali della Sicilia. Divenuta una grande potenza militare, Akragas riuscì più volte a sconfiggere Cartagine nella contesa per il controllo del Canale di Sicilia.

Alla morte di Terone seguì un periodo di governo democratico (471-406 a.C.), instaurato sotto l'influenza del filosofo Empedocle, che rifiutò il potere offertogli dal popolo. Durante questa fase la città visse una straordinaria prosperità economica e artistica, testimoniata dall'erezione di numerosi templi e da un'intensa attività edilizia.

Fu in questo contesto di ricchezza e fasto che Empedocle pronunciò la celebre riflessione sul carattere dei suoi concittadini:

«L'opulenza e lo splendore della città sono tali: gli akragantini costruiscono case e templi come se non dovessero morire mai, e mangiano come se dovessero morire l'indomani.»

La decadenza

Nel 406 a.C., l'esercito cartaginese guidato dal generale Imilcone cinse d'assedio Akragas per otto lunghi mesi, al termine dei quali la città venne conquistata e quasi completamente distrutta.[1]

Dopo circa settant'anni, nel 339 a.C., il condottiero corinzio Timoleonte riuscì a liberare Akragas dal dominio cartaginese, ponendola sotto l'influenza di Siracusa. Egli fece ricostruire la cinta muraria distrutta e ripopolò la città con nuovi coloni provenienti da Elea, restituendole parte dell'antico splendore.[1][2]

Nel 310 a.C., approfittando della spedizione di Agatocle contro Cartagine, Akragas tentò di affrancarsi dalla tutela siracusana, ma venne sconfitta nel 306 a.C.[1] Pochi decenni dopo, nel 282 a.C., il tiranno Finzia (Phintias) approfittò dell'attacco dei Mamertini contro Gela per distrusse definitivamente la città e deportarne la popolazione a Licata, che egli fece ricostruire in stile greco, dotandola di mura, agorà e templi.

Due anni più tardi, Siracusa attaccò e sconfisse nuovamente Akragas. Nel 287 a.C. la città si alleò con Pirro, re dell'Epiro, giunto in Sicilia per combattere i Cartaginesi.

Durante la prima guerra punica, Akragas si schierò con Cartagine, attirandosi così la reazione di Roma: i Romani la assediarono e saccheggiarono due volte, nel 261 e nel 255 a.C.[1]

Infine, dopo un terzo assedio nel 210 a.C., durante la seconda guerra punica, ad opera del console Marco Valerio Levino, Akragas passò definitivamente sotto il dominio di Roma. Da allora la città assunse il nome latinizzato di Agrigentum, derivato dalla corruzione fonetica del genitivo greco Ἀκράγαντος (Akragantos).[1]

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Monumenti

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Scoperte recenti

Nel 2025 è stata riportata alla luce l'aula magna di età ellenistica del liceo-ginnasio cittadino, un importante ritrovamento che arricchisce ulteriormente il patrimonio archeologico di Agrigento.[3]

Architetture religiose

Templi

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Tempio di Hera

Agrigento conserva uno straordinario complesso templare che costituisce uno dei più alti esempi dell'architettura sacra greca in Occidente. I principali edifici sacri, situati nella celebre Valle dei Templi, sono:

Santuari

Oltre ai grandi templi dorici, il territorio agrigentino ospita diversi santuari minori di grande interesse archeologico e religioso:

  • Santuario delle divinità ctonie, situato presso il Tempio di Zeus, dedicato alle divinità infernali Demetra e Persefone;
  • Santuario rupestre di San Biagio, antichissimo luogo di culto scavato nella roccia, testimonianza della continuità tra la religiosità greca e quella cristiana;
  • Santuario di Esculapio, già menzionato da Polibio, frequentato per scopi terapeutici e votivi.
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Società

Lingue

La lingua principale parlata ad Akragas era il greco antico, nella sua variante dorica, ampiamente diffusa nelle colonie greche della Sicilia e dell'Italia meridionale. Tale dialetto, importato dai coloni provenienti da Rodi e da Creta, influenzò profondamente la cultura, le iscrizioni e la vita pubblica della città, mantenendosi come lingua ufficiale per tutto il periodo greco.

Topografia e urbanistica

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Lo stesso argomento in dettaglio: Valle dei Templi.
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Pianta di Akragas.
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Ricostruzione in 3D dell'antica Akragas con la veduta dei principali templi.

La città di Akragas sorgeva sulla sommità di due colline strette e allungate, disposte approssimativamente in direzione est-ovest: il colle di Girgenti, a occidente, e la Rupe Atenea, a oriente, unite da un istmo naturale. A sud di queste alture si estende un ampio altopiano situato a un livello inferiore, compreso fra i 120 e i 170 metri sul mare, mentre le colline principali raggiungono quote comprese fra i 300 e i 350 metri.

Le pendici meridionali, scoscese e dominate dalla cosiddetta Collina dei Templi, si affacciano su una vasta valle pianeggiante – la celebre Valle dei Templi – che offriva ampio spazio per uno sviluppo urbano regolare. A nord e a ovest le alture erano delimitate da due corsi d'acqua: l'Akragas (oggi fiume San Biagio), che scorreva a nord e a est, e l'Hypsas (odierno Santa Anna), a ovest. I due fiumi si congiungevano a sud della città, proseguendo verso il mare in un unico alveo, identificabile con l'attuale fiume San Leone, presso la cui foce sorgeva l'emporion, il porto antico di Agrigento.

L'area urbana complessiva copriva circa 450 ettari, una superficie eccezionalmente ampia, concepita per includere l'intero sistema collinare – colle di Girgenti, Rupe Atenea e Collina dei Templi – all'interno di un unico complesso difensivo.

L'impianto urbano

Gli scavi archeologici e le fotografie aeree hanno permesso di ricostruire l'impianto urbano, databile alla metà del VI secolo a.C., rivelando una struttura regolare di tipo ippodameo. La città era organizzata almeno su sei plateiai (grandi strade est-ovest), la più ampia delle quali, la quinta da nord, raggiungeva una larghezza di dodici metri, e su una fitta rete di strade ortogonali nord-sud, che formavano isolati di larghezza costante e lunghezza variabile.

Si distinguono due principali griglie urbanistiche:

  • una, situata all'estremità nord-occidentale della valle, orientata in senso nord-ovest/sud-est, compresa fra le mura e la seconda plateia;
  • l'altra, più estesa, nella zona centro-meridionale, tra la seconda e la terza plateia.

Le strade trasversali avevano larghezze variabili tra 4 e 5,5 metri, mentre gli isolati raggiungevano 33 o 40 metri di larghezza e talvolta oltre 300 metri di lunghezza. Le differenze di orientamento e dimensioni non sono ancora del tutto chiarite: potrebbero riflettere fasi edilizie differenti, condizioni topografiche o esigenze legate alle porte urbiche.

Il punto di raccordo tra i due sistemi, situato nei pressi della chiesa di San Nicola (attuale Museo Archeologico Regionale), è identificato con l'antico agorà e i complessi pubblici, come dimostrano i resti dell'ekklesiasterion.

Le mura e le difese

Le mura difensive, descritte con ammirazione da Polibio (IX, 29), circondavano l'intero complesso collinare:

«La città di Akragas differisce dalla maggior parte delle città non solo per le cose già dette, ma anche per la sua fortezza e soprattutto per la sua struttura. Sorge infatti a 18 stadi dal mare, così che nessuno viene privato dei vantaggi che questo offre. La cinta muraria è solidissima sia per natura che per arte, giacché le mura poggiano su roccia naturalmente o artificialmente alta e scoscesa, e dei fiumi la circondano [...]. Sulla vetta sono i templi di Atena e di Zeus Atabyrios, come a Rodi: poiché Akragas è una fondazione rodia, è logico che il dio abbia lo stesso epiteto che ha a Rodi. La città è abbellita in maniera superba da templi e da portici. Il tempio di Zeus Olimpio, pur non essendo compiuto, non è secondo a nessun altro tempio greco per concezione e per grandezza.»

Il circuito murario, dotato di almeno nove porte e privo di torri salvo in corrispondenza di alcune di esse, è generalmente datato al VI secolo a.C., sebbene abbia subito numerosi restauri nel corso della lunga storia greca e romana della città. Mancano tuttavia indagini stratigrafiche sistematiche che permettano di definirne la cronologia più precisa o di individuare eventuali tratti più antichi.

Necropoli e prime fasi abitative

Le necropoli note si trovano principalmente:

  • a nord del vallone sotto la Rupe Atenea;
  • a est, tra la Rupe Atenea e la Collina dei Templi;
  • ai piedi del colle di Girgenti.

Necropoli extraurbane, particolarmente ricche, si estendono invece presso il mare, in località Montelusa, e in contrada Mosè, lungo la strada per Gela.

La fase più antica di Akragas, ancora poco documentata, è attestata soprattutto da materiali tombali risalenti al primo e secondo quarto del VI secolo a.C. Le grandi opere edilizie attribuite dalle fonti a Falaride non trovano al momento riscontro certo nei dati archeologici; l'attribuzione alla sua epoca della prima cerchia di mura resta quindi ipotetica.

Si datano invece all'età arcaica alcune strutture dei santuari delle divinità ctonie, piccoli sacelli sotto il cosiddetto Tempio di Vulcano, nei pressi dell'Olympeion e dell'ekklesiasterion, oltre alla frequentazione della fonte di San Biagio. Questi edifici, di forme semplici, ricordano gli antichi templi arcaici della madrepatria ghelòa, testimoniando la continuità religiosa e culturale tra Gela e la sua colonia Akragas.

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Architettura e arte

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Il primo dei grandi templi canonici di Akragas è il cosiddetto Tempio di Ercole, generalmente datato agli ultimi anni del VI secolo a.C., ma che alcuni studiosi collocano già nell'età della tirannide di Terone. Alla stessa fase è stato talvolta attribuito anche il progetto originario del vicino Olympeion, benché manchino dati archeologici sufficienti a confermare questa ipotesi.

La vittoria di Himera (480 a.C.), con l'afflusso di ricchezze e manodopera servile attestato dalle fonti antiche, consentì al tiranno Terone e successivamente alla democrazia restaurata di intraprendere un ambizioso programma di lavori pubblici, incentrato sulla costruzione dei templi e di grandi opere infrastrutturali. Tra queste spicca la Kolymbethra, una monumentale peschiera extraurbana – descritta da Diodoro Siculo (XI, 25, 4; XIII, 82, 5) – con un perimetro di sette stadi e una profondità di venti cubiti, popolata da pesci e uccelli acquatici e alimentata dalle sorgenti e dall'acquedotto di Feace.

Questa intensa attività edilizia, proseguita per tutto il V secolo a.C. fino alla conquista cartaginese del 406 a.C., lasciò testimonianze di straordinaria monumentalità nei grandi templi che cingono la città:

Questo periodo di eccezionale fervore artistico e architettonico coincise con l'apogeo culturale di Akragas, che accolse poeti come Pindaro e Simonide e produsse raffinati capolavori di scultura, come il celebre Efebo di Agrigento.[4] Oltre ai grandi complessi sacri e pubblici, dovevano sorgere anche residenze private di notevole lusso, come lasciano intuire le descrizioni delle ricchezze saccheggiate dai Cartaginesi nel 406 a.C. Tuttavia, l'edilizia domestica classica di Akragas rimane tuttora sconosciuta dal punto di vista archeologico.

L'età ellenistica e la transizione romana

Il periodo ellenistico antico, compreso tra l'opera di Timoleonte e la conquista romana, è documentato soprattutto dall'architettura privata, come dimostrano le abitazioni del quartiere ellenistico-romano e la cosiddetta Tomba di Terone.

A questa fase – o forse già a un'epoca arcaica o classica, come suggeriscono confronti con Metaponto e Paestum – si può attribuire anche la costruzione dell'ekklesiasterion, probabilmente connessa alla rifondazione della città e alle riforme costituzionali di Timoleonte.

Sebbene il monumento non sia stato ancora oggetto di una pubblicazione completa, si ritiene suggestiva l'ipotesi di collegare a questa stessa epoca anche il grande portico ionico quadrangolare scoperto tra Agrigento e Porto Empedocle, in località Villa Seta, verosimilmente parte di un santuario extraurbano.

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Età romana

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Età repubblicana

La documentazione archeologica diventa più ampia e significativa per l'età romano-repubblicana, durante la quale Agrigento conobbe una nuova fase di prosperità. Numerose case di epoca ellenistica furono ristrutturate e decorate con pitture di primo stile, testimonianza di una florida economia agrigentina, fondata sullo sfruttamento schiavistico delle terre agricole. Proprio da queste condizioni economiche derivarono le due grandi rivolte servili di Sicilia, la prima (139-132 a.C.) e la seconda (104-99 a.C.), che ebbero origine nel contesto agrario delle grandi proprietà.

In questo periodo Agrigentum rappresentava l'unico grande centro superstite della Sicilia meridionale, in una regione un tempo popolata da città fiorenti come Selinunte, Gela e Camarina, ormai distrutte. È verosimile che nella città confluissero ingenti surplus agricoli, paragonabili a quelli che avevano alimentato la prosperità di tali polis, e che ora servivano ad approvvigionare l'economia della penisola italiana, divenuta nel frattempo sempre più specializzatas in colture di pregio.

La prosperità agrigentina può essere messa in relazione con quella di altri centri urbani dell'isola, come Centuripe, Iaitas e, sul versante costiero, Panormos (Palermo), Solunto, Tyndaris (Tindari), Messana (Messina), Tauromenion (Taormina) e Syrakousai (Siracusa): tutti poli di raccolta e redistribuzione del surplus agricolo.

Le testimonianze di questa vitalità economica si riflettono anche nell'architettura pubblica, con edifici costruiti o ristrutturati tra la prima metà del II e la metà del I secolo a.C. Tra questi si ricordano il ginnasio, identificabile con il cosiddetto "portico ellenistico" a nord-est dell'Olympeion, e l'"oratorio di Falaride", piccolo tempio romano del II secolo a.C. eretto sopra i resti dell'ekklesiasterion.

Età imperiale

Durante l'età imperiale, con il progressivo spopolamento dell'isola e l'accentuarsi dello squilibrio tra città e campagne, Agrigento continuò a mostrare segni di vita urbana. Le abitazioni furono frequentemente restaurate e abbellite con mosaici pavimentali di grande qualità, in uso fino al IV secolo d.C., segno della persistenza – seppur ridotta – di un ceto di possessores ancora attivo, ma impoverito rispetto all'età repubblicana.

  • quello attico con il mito di Fedra (II secolo d.C.);
  • quello romana delle Coronarie (III secolo d.C.);
  • e un sarcofago urbano con scene della vita di un fanciullo (II secolo d.C.).

Non sono tuttavia documentate grandi opere edilizie pubbliche: si segnalano solo restauri di templi e modesti interventi urbani, mentre mancano gli impianti termali, i teatri e gli anfiteatri tipici delle città romane d'età imperiale.

La crescente concentrazione dei latifondi nelle mani di grandi proprietari senatorii assenteisti spostò il fulcro della vita economica nelle ville rurali, fastosamente decorate come quella di Eloro. Nelle città, di tale ricchezza restano solo riflessi attenuati, visibili nei mosaici domestici e in alcune tombe monumentali del III secolo d.C., come la cosiddetta basilicula romana del vallone di San Biagio.

Età tardoantica e altomedievale

La presenza di ceti più modesti in età medio- e tardo-imperiale è attestata dalla grande quantità di sepolture, arcosoli e fosse rinvenute nella necropoli Gimberroni e nelle catacombe di Villa Aurea.

Questa continuità di popolamento proseguì anche in età altomedievale, come dimostrano le numerose tombe terragne scavate lungo il versante meridionale della Collina dei Templi e, soprattutto, la trasformazione del Tempio della Concordia in basilica cristiana, situata nel cuore di questa vasta area funeraria.

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Note

Bibliografia

Voci correlate

Altri progetti

Collegamenti esterni

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