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Filosofia del processo
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La filosofia del processo attribuisce realtà metafisica al cambiamento, al movimento e al dinamismo, tenendo quindi nella massima considerazione anche la dimensione storica del tempo.

Quest'approccio si contrappone alle metafisiche di matrice eleatica o parmenidea, quale è ritenuto ad esempio il platonismo, oppure ai modelli creazionisti incentrati su un atto divino definitivo, che pongono una realtà statica e atemporale all'origine degli enti, finendo per negare la processualità e quindi osteggiando tutto ciò che dà valore al divenire.
Nelle filosofie del processo, il cambiamento non è più relegato all'ambito dell'illusione, sebbene anche in ambito neoplatonico si sia cercato di spiegare la mutevolezza dei fenomeni sensibili conciliandoli con l'eternità dei loro principi intellegibili, concepiti come potenza dinamica in azione.
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Storia
Riepilogo
Prospettiva
Tra i maggiori filosofi del processo viene annoverato, nell'età antica, Eraclito, sebbene il suo approccio si collochi ancora al confine tra mito e speculazione. Il suo celebre motto panta rhei («tutto scorre») già affermava il primato del divenire sull'essere statico.
Platone non stimava il divenire, ma quest'ultimo era comunque implicito nel suo dualismo tra mondo delle idee, perfetto ed eterno, e mondo sensibile, soggetto a mutevolezza e perciò ritenuto non del tutto reale rispetto a quei modelli atemporali e incorruttibili, eppure verso i quali era animato da una tensione ideale e partecipativa.[1]
Anche l'aristotelismo presenta una realtà in processo, la cui rivalutazione lo differenzia dalle sue radici platoniche, ravvisando una potenzialità (dynamis), una forza interiore ritenuta immanente (entelechìa o energhèia) che spinge gli organismi ad evolversi per realizzare la loro essenza.
Se tuttavia in Aristotele questo sviluppo consiste in una possibilità passiva puramente logica, che necessita dell'attrazione di un Motore immobile per tradursi in atto, in seguito sarà il neoplatonismo a riprendere il concetto di potenza ma intendendolo come potere dinamico reale insito in Dio stesso,[2] concepito cioè come infinita energia in espansione, trascendente e al contempo immanente nelle ragioni seminali degli organismi, dove vengono veicolati dall'Anima del mondo.[3]
In tal senso l'idealismo platonico, anche per le sue radici pitagoriche, si prestava a descrivere meglio, rispetto al realismo aristotelico, un universo regolato da leggi matematiche basate su relazioni e funzioni dinamiche, anziché su essenze statiche.[4] Questa tendenza, anticipata da Cusano, sarà un tratto peculiare della filosofia rinascimentale nonché di autori come Leonardo da Vinci, Keplero, Giordano Bruno.[5]
Età moderna
In età moderna, attraverso la metafisica neoplatonica portata avanti da Leibniz,[5] che considerava la realtà costituita da sostanze attive e in continuo movimento (le monadi) anziché da materia inerte, la concezione del dinamismo venne fatta propria dai filosofi naturalisti del Romanticismo e dagli idealisti tedeschi che, ispirati dallo sviluppo delle conoscenze chimiche del XVIII secolo, pervennero a una visione organica del mondo fatta di continue trasformazioni.
Tra questi, ad esempio, Friedrich Schlegel considerava il processo come perno centrale della scienza,[6] mentre in particolare Schelling, per il quale processo e organizzazione sono reciprocamente interconnessi,[7] giunse a parlare di «processo assoluto».[8] Egli concepiva una natura dinamica, connotata da gradi o «potenze» progressive di cui ognuna è la ripetizione a un livello superiore di quella sottostante.[9]

La concezione della dialettica di Hegel, infine, non era solo un metodo di pensiero, ma rivendicava esplicitamente una validità ontologica, da lui espressa nella Scienza della Logica, in cui tutta la realtà viene descritta come un vasto processo di sviluppo. Hegel tuttavia immaginava un obiettivo ultimo per questo sviluppo, ossia l'autocoscienza assoluta dello Spirito, il cui raggiungimento, almeno teoricamente, avrebbe posto fine al processo da lui descritto.
Per questo Giovanni Gentile si propose di andare oltre la metafisica hegeliana, affermando che il divenire è eterno, fuori dal tempo, sostenendo cioè un perenne attualismo, in un presente mai concluso, dell'atto spirituale di autocoscienza.[11]
Altri autori hanno affermato una realtà in continuo processo, tra cui Ralph Waldo Emerson, Charles Sanders Peirce, Friedrich Nietzsche, John Dewey, Alfred North Whitehead (autore dell'opera forse più rappresentativa di questo orientamento filosofico: Processo e realtà), Henri Bergson, Charles Hartshorne, Nicholas Rescher, Michel Weber, Gilles Deleuze, John Dewey, William James, Pierre Teilhard de Chardin. Alcuni considerano filosofo del processo anche Arthur Schopenhauer.
Esiste inoltre una teologia del processo, di cui uno dei maggiori rappresentanti è David Ray Griffin.[12]
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Note
Voci correlate
Collegamenti esterni
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