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guerra tra le Tredici colonie americane e il Regno di Gran Bretagna (1775-1783) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La guerra d'indipendenza americana, nota negli Stati Uniti principalmente come guerra rivoluzionaria americana (in inglese: American War of Independence o American Revolutionary War) e in Francia, raramente, come guerra d'America (in francese: guerre d'Amérique), fu il conflitto che, tra il 19 aprile 1775 e il 3 settembre 1783, oppose le Tredici colonie nordamericane, diventate successivamente gli Stati Uniti d'America, alla loro madrepatria, il Regno di Gran Bretagna.
Guerra d'indipendenza americana | |||
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Emanuel Leutze, Washington attraversa il fiume Delaware, 1851, olio su tela | |||
Data | 19 aprile 1775 – 3 settembre 1783 | ||
Luogo | Stati Uniti d'America, Canada, Caraibi, Oceano Atlantico, Oceano Indiano | ||
Casus belli | Boston Tea Party del 1773 e scontri di Lexington e Concord del 1775 | ||
Esito | Vittoria delle tredici colonie nordamericane, della Francia, della Spagna e delle Province Unite | ||
Modifiche territoriali | Indipendenza delle tredici colonie nordamericane e formazione degli Stati Uniti d'America | ||
Schieramenti | |||
Comandanti | |||
Effettivi | |||
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Perdite | |||
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A partire dal 1778 la guerra, iniziata come ribellione indipendentista locale, si trasformò in un conflitto globale tra le grandi potenze europee per il predominio sui mari e nei territori coloniali. La Francia entrò in guerra a fianco degli americani e, in alleanza anche con la Spagna e le Province Unite, cercò di sfidare il predominio britannico e di ottenere la rivincita dopo la sconfitta nella guerra dei sette anni. La Gran Bretagna invece poté rafforzare il suo corpo di spedizione in America reclutando numerosi contingenti di truppe mercenarie tedesche, i cosiddetti Assiani, forniti, dietro compenso in denaro, dall'Assia-Kassel, dall'Elettorato di Hannover e da altri piccoli stati tedeschi.
Dopo alterne vicende, la sconfitta britannica a Yorktown contro le forze franco-americane guidate dal generale George Washington e dal generale Jean-Baptiste de Rochambeau, segnò una svolta decisiva della guerra. Il trattato di Parigi, firmato nel 1783, pose ufficialmente fine al conflitto, già concluso di fatto tra il 1781 e il 1782. Con la pace, gli Stati Uniti furono riconosciuti dal Regno di Gran Bretagna, che dovette cedere alla Francia il Senegal, Saint Lucia e Tobago[5], alla Spagna la Florida e Minorca e alle Province Unite le sue colonie asiatiche. La Francia tuttavia, nonostante alcuni successi, non riuscì a strappare alla Gran Bretagna il dominio dei mari e la corona britannica mantenne il possesso delle Antille e del Canada, mentre buona parte dell'India[5] rimaneva sotto il controllo della Compagnia britannica delle Indie orientali.
Londra esigeva che i sudditi americani contribuissero al pagamento delle spese del vasto "impero" nordamericano. Dopo la guerra dei sette anni, infatti, l'Inghilterra si trovava in serie difficoltà economiche (crisi finanziaria) a cui tentò di porre rimedio con due fondamentali provvedimenti: lo Sugar Act (che imponeva alti dazi sui prodotti di importazione dall'estero, specialmente Caraibi) e lo Stamp Act (che imponeva un bollo sui documenti ufficiali e sui giornali); inoltre la madrepatria ribadiva il proprio monopolio industriale vietando di fatto lo sviluppo autonomo delle colonie, preoccupandosi, com'era ovvio, non tanto dei loro particolari interessi, quanto degli interessi globali dell'impero. Né da una parte né dall'altra esisteva di fatto un'aperta volontà di scontro e le colonie servivano come pura fonte di materie prime utili allo sviluppo inglese.
Se si giunse alla completa rottura fra le colonie e la madrepatria, alla Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America e alla guerra, fu perché agivano ragioni profonde e oggettive da individuare come cause reali della rivoluzione americana: le colonie non si sarebbero potute sviluppare sino a diventare il primo nucleo degli Stati Uniti d'America, se fossero rimaste inquadrate e soffocate nell'organizzazione monarchica inglese.
Fin dal 1743, Benjamin Franklin aveva proposto d'inventariare le risorse agricole, minerali, industriali che la scienza avrebbe permesso di mettere a buon frutto. George Washington, per quanto appartenente a una famiglia di ricchi proprietari di piantagioni della Virginia, aveva esperienza sufficiente per ragionare non nei termini provinciali del profondo Sud, ma secondo prospettive globali di sviluppo.
La guerra dei sette anni aveva posto fine alla dominazione francese sui territori canadesi, cosicché i coloni non avevano più quella necessità di protezione che era stato uno dei principali motivi di attaccamento alla patria di origine. Ciò li rendeva più insofferenti dei privilegi che l'Inghilterra si era riservata, che risultavano tanto più odiosi in quanto la cultura illuministica, diffusasi anche oltreoceano[6], denunciava l'assurdità delle restrizioni frapposte alla libertà di commercio.
La guerra era stata estremamente costosa per la Gran Bretagna che aveva dovuto ulteriormente aumentare il debito pubblico fino a 139 milioni di sterline nel 1760; i britannici ritenevano assolutamente logico che le spese per il mantenimento dell'Impero fossero condivise anche dalle colonie americane che facevano integralmente parte di questa imponente struttura politica enormemente accresciuta dopo la vittoria sulla Francia[7].
La conclusione del conflitto aveva deluso le colonie americane e soprattutto le classi mercantili più ricche che avevano previsto un grande ampliamento delle loro attività economiche dopo la vittoria e l'acquisizione dei territori francesi. Con un apposito proclama reale preparato da Lord Shelburne nel 1763 i territori a ovest dei Monti Allegheny invece erano stati interdetti alla colonizzazione americana[7]. Questa decisione era almeno in parte motivata dalla volontà di evitare uno scontro generale con le popolazioni native, ma aveva provocato la riprovazione di alcune potenti società commerciali come la "Compagnia delle terre del Mississippi" costituita da ricchi piantatori tra cui George Washington, e una società di Filadelfia di cui era partecipe anche Benjamin Franklin[7].
A ciò si aggiunsero molteplici iniziative del Parlamento, intese, come abbiamo detto, a imporre anche ai coloni l'obbligo di contribuire alle spese dell'impero. Si trattava di imposte indirette su generi che avevano un'importanza non trascurabile per gli americani: le tasse doganali percepite dal governo inglese non erano sufficienti a pagare le spese dei corpi militari e dei funzionari stanziati in America.
D'altra parte i coloni erano abituati a pagare soltanto le imposte locali.
Nel 1765 il governo inglese volle estendere alle colonie una tassa del bollo, già in vigore nella madrepatria, per la quale ogni uso della carta, nei giornali, nei documenti commerciali, negli atti legali, eccetera, era sottoposto a un tributo, che veniva pagato mediante l'apposizione di un bollo (questo documento passò alla storia sotto il nome di "Stamp Act"). Gli inglesi giustificarono l'introduzione del tributo, sostenendo che lo stesso era in vigore in madrepatria.
Poiché il consenso dei contribuenti nella determinazione delle imposte era uno dei cardini tradizionali della libertà inglese fin dai tempi della Magna Carta, i coloni si rifiutarono di ottemperare alla legge e posero l'alternativa o di poter inviare i propri rappresentanti in Parlamento, o di essere esonerati da ogni tassa non approvata dai loro rappresentanti, secondo il famoso principio No taxation without representation, (ossia, letteralmente, “niente tassazione senza rappresentanza”), che era diventato uno slogan del partito whig. Dal momento che «La libertà consiste nell'obbedire alle leggi che ci si è date e la servitù nell'essere costretti a sottomettersi ad una volontà estranea» (Robespierre), e «Nulla denota uno schiavo se non la dipendenza dalla volontà di un altro» (Algernon Sydney), essere sottoposti a leggi che non si è contribuito a formare equivaleva per i coloni alla schiavitù; i coloni sentivano cioè di essere trattati dall'Inghilterra come schiavi («miserabilmente oppressi come i nostri neri», per George Washington): «Non vogliamo essere i loro negri!» (John Adams).[8]
Di fronte alla protesta dei coloni, la legge sul bollo fu abrogata ma fu sostituita con una serie di imposte indirette su alcune merci (carta, vernici, piombo, tè), che le colonie importavano dall'Inghilterra. La portata economica di questi provvedimenti era molto limitata, ma con essi il Parlamento intendeva porre una questione di principio, facendo valere concretamente il suo diritto di tassare tutti i sudditi dell'impero. I coloni non accettarono l'impostazione del Parlamento, la questione di principio rimase irrisolta e nel 1770 le imposte indirette furono tutte abolite, salvo quella sul tè.
Nel 1773 la Compagnia britannica delle Indie orientali ottenne dal Parlamento il diritto di vendere in esclusiva, e mediante i suoi stessi agenti, il tè che essa importava dalla Cina, tagliando fuori gli intermediari americani che avevano fino ad allora goduto di un ampio e fruttuoso giro di affari.
I commercianti americani di tè, sostenuti dall'opinione pubblica e dalle organizzazioni popolari dei Figli della libertà (Sons of Liberty), organizzarono di rimando il boicottaggio delle merci inglesi: questa azione culminò in un episodio particolarmente clamoroso, quando alcuni Figli della libertà, travestiti da Indiani, assalirono le navi della Compagnia alla fonda nel porto di Boston e gettarono in mare il carico di tè (episodio noto come Boston Tea Party, del 16 dicembre 1773).[9]
Il re Giorgio III e il governo di Londra reagirono violentemente ai fatti di Boston: nell'aprile 1774 vennero approvate quattro disposizioni legislative che divennero subito famose in America come le "Leggi intollerabili" (Intolerable Acts)[10]. Questi decreti prevedevano in primo luogo la chiusura punitiva del porto di Boston dal 1º giugno 1774 fino al momento in cui non fosse stato risarcito il danno economico della distruzione del tè; oltre ad altre disposizioni sull'amministrazione della giustizia e sull'alloggiamento delle truppe britanniche, venne promulgato soprattutto il Massachusetts Government Act che sottraeva al controllo dei coloni l'elezione dei consigli, assegnando ogni potere amministrativo al governatore inviato da Londra; a maggio 1774 il generale Thomas Gage assunse l'incarico di governatore dello stato del Massachusetts e capo militare con pieni poteri[10].
Nel giugno 1774 ad accrescere ulteriormente il malcontento dei coloni venne promulgata anche la Legge sul Quebec, che assicurava ai sudditi del Canada, di nazionalità francese, di religione cattolica e di recente acquisizione, la più ampia libertà religiosa e civile, e assegnava al Canada tutti i territori a nord del fiume Ohio, nei quali i sudditi delle tredici vecchie colonie aspiravano ad espandersi.
La limitazione della libera espansione territoriale dei coloni, che la Gran Bretagna voleva in sostanza confinare a oriente dei monti Appalachi, in favore dei Nativi che abitavano il resto del territorio, fu percepita come un atto di dispotismo e di inaccettabile limitazione della libertà dei coloni, che pretendevano di impadronirsi dei territori abitati dalle popolazioni indigene e trasformarli in terre fertili coltivate: infatti, non solo gli indigeni erano ritenuti dei selvaggi inferiori, ma la loro terra non era considerata tale perché non lavorata (secondo John Locke la base del diritto naturale alla proprietà è appunto il lavoro).[8]
La madrepatria sembrava privilegiare gli interessi dei nativi, e in seguito quelli degli schiavi, rispetto a quelli dei bianchi, limitando la libertà di questi ultimi di impadronirsi delle terre e di schiacciare ogni opposizione delle popolazioni indiane.[8] Era dunque necessario eliminare il distante governo dispotico britannico, contrario agli interessi delle colonie.[8]
Le «Leggi intollerabili», e il Quebec Act, accelerarono il processo di ribellione ormai in corso. In realtà nella società americana erano presenti forti contrasti sociali e politici; inoltre le colonie erano divise tra loro a causa soprattutto della diversa struttura economica e degli interessi conflittuali delle classi dominanti. Le correnti moderate erano potenti soprattutto negli stati centrali tra i ricchi mercanti e le classi dell'alta borghesia, mentre erano presenti anche conservatori lealisti - specialmente nelle colonie meridionali - alla corona britannica[11].
Le forze rivoluzionarie erano predominanti negli stati del New England soprattutto tra gli operai, i piccoli agricoltori e le classi più disagiate; questi strati popolari erano sostenuti e guidati da intellettuali radicali, avvocati e pastori della chiesa presbiteriana. Le colonie del New England conclusero una sorprendente alleanza rivoluzionaria con i coloni delle regioni di frontiera alla ricerca di terre, irritati per il Quebec Act, e soprattutto con i ricchi piantatori proprietari di schiavi degli stati meridionali, principalmente Virginia, Maryland e Carolina del Nord, che aspiravano alla totale libertà economica[12].
La situazione ebbe una svolta il 17 maggio 1774 quando, in risposta alle dure misure legislative del Parlamento britannico e all'arrivo a Boston del generale Thomas Gage come governatore e nuovo comandante in capo con pieni poteri, il Rhode Island per primo propose alle altre colonie di convocare un "grande congresso di tutte le colonie"[13]. Dopo pochi giorni, il 27 maggio, anche la Virginia affermò la necessità di un congresso generale; il 17 giugno infine i radicali del Massachusetts riuscirono a organizzare, prima dell'intervento delle truppe del generale Gage, una seduta extra-legale a Boston per convocare a loro volta un congresso continentale[13].
Il 5 settembre 1774, si riunì a Filadelfia il cosiddetto primo Congresso continentale, formato da 55 delegati delle colonie americane eletti da organi deliberativi irregolari; dodici colonie inviarono loro rappresentanti, mentre la Georgia, la Nuova Scozia, le due Floride e il Québec non mandarono rappresentanti[14]. Le opinioni tra i delegati non erano concordanti. Erano presenti alcuni conservatori lealisti, guidati da Joseph Galloway della Pennsylvania, che rifiutavano le istanze estremistiche; ma le loro posizioni vennero respinte; i moderati, tra cui John Jay di New York e John Dickinson della Pennsylvania, in generale aderirono alle posizioni dei radicali capeggiati dai delegati della Virginia, George Washington, Patrick Henry e Richard Henry Lee, e del Massachusetts, Samuel Adams e John Adams[15].
Nel Massachusetts e in tutto il New England l'atmosfera tra i coloni era molto bellicosa e a Boston la situazione stava degenerando rapidamente; il 9 settembre 1774 una convenzione di delegati ribelli sconfessò l'operato di un'assemblea sostenuta dal generale Gage ed emanò le cosiddette "risoluzioni di Suffolk" (Suffolk Resolves) che prevedevano l'opposizione anche militare contro ogni "invasione ostile" e consigliavano di fare preparativi per la guerra; queste risoluzioni oltranzistiche furono inviate al Congresso continentale che diede la sua approvazione il giorno seguente[16].
Il Congresso di Filadelfia approvò anche altri documenti che confermarono la risolutezza delle colonie e la loro decisione di opporsi alla madrepatria: venne promulgata una "Dichiarazione dei diritti americani" in cui si affermava che il Parlamento britannico non aveva diritto ad occuparsi delle questioni interne delle colonie; la dichiarazione, redatta principalmente da John Jay, faceva anche appello allo "spirito di giustizia degli inglesi" che erano invitati a riconoscere i pari diritti dei coloni; si auspicava anche una ritrovata amicizia sulla base della comune civiltà e della religione[17] in opposizione al "cattolicesimo papista" che invece era stato autorizzato dalla Gran Bretagna in Canada[18]. Nonostante questa dichiarazione moderata, il Congresso approvò soprattutto la cosiddetta "Continental Association" in cui si disponeva la costituzione di comitati per attivare e rendere efficace su tutto il territorio l'arma del boicottaggio commerciale contro le merci britanniche[19]. Queste misure di guerra economica prevedevano la "non-importazione" e la "non-consumazione" di tutti i prodotti provenienti dalla madrepatria; il Congresso disponeva inoltre misure radicali di intimidazione e punizione contro coloro che non avessero applicato rigorosamente le decisioni della "Association". Queste misure estremistiche furono approvate anche dai delegati moderati come John Jay, i quali speravano che una dimostrazione di risolutezza e di unità delle colonie avrebbe potuto intimidire la Gran Bretagna e indurla a concessioni sostanziali[20].
In Gran Bretagna effettivamente erano in corso tentativi per trovare un accordo ed impedire la rottura irreversibile con le colonie americane; nel Parlamento britannico William Pitt ed Edmund Burke parlarono eloquentemente a favore di misure conciliatorie e presentarono proposte per un compromesso che andasse incontro alle richieste degli americani riguardo al sistema di tassazione[21]. Tra i parlamentari tuttavia predominava l'intransigenza; il 20 gennaio e il 1º febbraio 1775 vennero nettamente respinte le proposte di Pitt che prevedevano il ritiro delle truppe da Boston e la rinuncia alla tassazione delle colonie[22].
Non raggiunsero risultati positivi neppure i colloqui segreti in corso a Londra tra Benjamin Franklin e alcuni emissari del governo North; il rappresentante americano confermò le richieste del Congresso continentale che prevedevano l'abrogazione di tutte le norme legislative degli ultimi anni, il ritiro delle truppe da Boston e soprattutto la rinuncia del Parlamento britannico ad interferire con gli affari interni delle colonie. Le trattative fallirono per il problema cruciale del diritto sovrano del Parlamento britannico di legiferare sugli affari delle colonie su cui i rappresentanti britannici non potevano transigere; i colloqui si interruppero definitivamente il 16 febbraio 1775[23]. Il Parlamento britannico promulgò misure che accrebbero la tensione: lo stato del Massachusetts venne dichiarato "in ribellione" e venne proibita ai coloni del New England la zona di pesca dell'Atlantico settentrionale[24]. Il 27 febbraio 1775 infine Lord North tentò un'ultima mediazione e fece approvare la cosiddetta Conciliatory Resolution che tuttavia conteneva norme sulla tassazione che vennero ritenute assolutamente insufficienti dai rappresentanti del Congresso continentale[25].
In America era ormai in corso un processo di radicalizzazione del confronto; mentre i cosiddetti "comitati di corrispondenza" si impegnavano a diffondere i sentimenti di ribellione e opposizioni in tutte le colonie, aveva avuto inizio la mobilizzazione delle milizie volontarie; soprattutto negli stati del New England si procedeva al reclutamento e addestramento dei miliziani e all'accumulo di polvere da sparo[26]. I sostenitori dei diritti delle colonie, organizzati e aggressivi, iniziarono una attività di intimidazione e rappresaglia contro i lealisti e gli incerti che rifiutavano le misure più radicali o non applicavano rigorosamente il divieto di importazione[25]. John Hancock venne nominato capo di un comitato di sicurezza del Massachusetts con poteri di arruolamento e organizzazione delle milizie della colonia; la milizia del New England, dominata dai capi radicali, migliorò la sua organizzazione, il suo addestramento e il suo armamento; vennero costituite le unità scelte dei cosiddetti Minutemen, pronti ad entrare in azione "in un minuto"[25].
Contemporaneamente in Gran Bretagna gli esponenti politici più intransigenti e i sostenitori rigorosi dei diritti supremi legislativi del Parlamento di Londra stavano guadagnando potere e dominavano all'interno del governo presieduto dal debole Lord North. Il 13 gennaio 1775 il gabinetto decise l'invio di truppe di rinforzo al generale Thomas Gage che venne invitato il 27 gennaio ad essere maggiormente risoluto contro i ribelli del New England; egli ricevette ordini precisi di estendere l'occupazione militare di Boston, arrestare i capi radicali e imporre la legge marziale[27]. I capi politici britannici erano insoddisfatti del comandante in capo d'America; si parlò di sostituirlo con l'esperto generale Jeffrey Amherst; il 2 febbraio venne deciso, dopo il rifiuto di quest'ultimo di assumere il comando, di inviare tre generali, John Burgoyne, Henry Clinton e William Howe, in America per coadiuvare il generale Gage[28].
Il primo scontro tra le truppe regolari britanniche e le milizie del New England avvenne nell'aprile del 1775 nelle cittadine di Lexington e Concord. In quest'ultima cittadina, situata venticinque chilometri a nord-ovest di Boston i due capi radicali John Hancock e Samuel Adams avevano installato i depositi di armi e munizioni e i centri di reclutamento delle milizie[29].
Il generale Gage decise di prendere l'iniziativa e inviò una colonna di truppe a Concord per distruggere i depositi e disperdere i miliziani; i soldati britannici si misero in marcia la sera del 18 aprile 1775[29] I soldati speravano di sorprendere i ribelli ma alcuni patrioti partiti da Boston, tra cui Paul Revere, riuscirono ad avvertire in tempo Adams e Hancock; quindi le milizie poterono organizzare la difesa; mentre i depositi venivano messi al sicuro, i miliziani si schierarono a Lexington decisi ad opporre resistenza[29]
La colonna britannica giunse a Lexington e ordinò ai ribelli di disperdersi ma, nell'atmosfera estremamente tesa, venne esploso un colpo a cui seguì uno scontro a fuoco generale che continuò per venti minuti e si concluse con la temporanea ritirata dei miliziani che subirono qualche perdita.[29] Raggiunta Concord, i britannici bruciarono alcuni depositi e presero la via del ritorno per Boston, ma ben presto la situazione volse a favore delle milizie americane che intercettarono la via di ritirata e passarono al contrattacco. I britannici, a cui si era unita un'altra colonna, si trovarono in grande difficoltà durante il percorso di ritorno e subirono continui attacchi. Il 19 aprile 1775, i soldati britannici riuscirono finalmente a rientrare a Boston dopo aver subito perdite molto più pesanti dei miliziani[29].
Le prime notizie dei combattimenti di Lexington e Concord arrivarono a Londra il 28 maggio 1775 e furono seguite dal messaggio ufficiale del generale Gage che confermava la durezza della resistenza opposta dai miliziani americani e la determinazione e la risolutezza mostrata dai ribelli[30]. Inoltre il generale comunicava che la sua situazione strategica era precaria: i miliziani del New England dopo gli scontri di Lexington e Concord si erano radunati in massa e avevano iniziato un vero assedio delle truppe regolari britanniche bloccate a Boston[30]. Le notizie dei primi scontri avevano suscitato emozione in tutte le colonie, favorendo i radicali: anche New York e la Pennsylvania, che fino a quel momento erano stati tra i possedimenti più moderati, avevano deciso di inviare le loro milizie in aiuto del New England all'assedio di Boston[31].
Alla fine del mese di maggio il generale Gage ricevette alcuni reggimenti di rinforzo e decise di fare un tentativo di rompere il cerchio dei ribelli intorno a Boston conquistando le posizioni strategiche di Bunker Hill e Breeds Hill. I generali britannici erano ottimisti, ritennero che i miliziani non fossero assolutamente in grado di resistere ad un attacco delle truppe regolari e non fecero preparativi accurati senza predisporre forze di riserva[32].
Il generale Gage assegnò il controllo diretto dell'attacco al generale William Howe che il 17 giugno 1775 assaltò le colline con circa 2 500 uomini[33]. Howe sottovalutò gli americani e ritenne di trovarsi di fronte a linee difensive poco fortificate; invece nella notte i ribelli, prevedendo un attacco avversario, avevano concentrato le milizie sulla collina più elevata di Breeds Hill e avevano rinforzato le difese con fortificazioni.[33]
I britannici iniziarono l'attacco alle nove del mattino del 17 giugno: gli attaccanti subirono un intenso e preciso fuoco di fucileria dei miliziani americani guidati dal generale Israel Putnam, e subirono pesanti perdite; i britannici furono respinti nel corpo a corpo. Anche il secondo attacco terminò con un sanguinoso fallimento e solo al terzo tentativo i britannici riuscirono finalmente a conquistare le colline. Le perdite delle truppe del generale Howe furono molto elevate: 1.050 uomini (304 morti, 741 feriti e 5 dispersi), mentre gli americani subirono solo 445 perdite (172 morti e 273 feriti) e poterono ritirarsi ordinatamente attraversando l'istmo tra il fiume Mystic e il fiume Charles, lasciato sguarnito dai britannici[33].
La battaglia di Bunker Hill suscitò grande impressione ed ebbe una profonda influenza dal punto di vista militare e politico; in primo luogo dimostrò che i ribelli erano numerosi, bene organizzati e molto determinati. In precedenza invece tra i militari britannici era diffusa l'illusoria opinione che i coloni fossero imbelli e "inadatti alla guerra"; sulla base delle esperienze durante la guerra Franco-indiana, il generale James Wolfe era giunto al punto di considerarli "i peggiori soldati dell'universo"[34]. Erano valutazioni totalmente errate; a Lexington e Bunker Hill i miliziani mostrarono grande capacità di resistenza e sorprendente tenacia; il generale Gage affermò che i ribelli avevano evidenziato uno "spirito e una disciplina contro di noi che non avevano mai dimostrato contro i francesi"[34]. I britannici avevano raggiunto una inutile vittoria tattica e le perdite erano state estremamente elevate[35]. Con le forze disponibili era chiaramente impossibile per il generale Gage rompere l'assedio di Boston[35].
Il 10 maggio 1775 si era riunito a Filadelfia il Secondo congresso continentale in un'atmosfera eccitata dalle notizie degli scontri a Boston e dei contemporanei combattimenti in corso in Virginia dove il governatore britannico Lord Dunmore due giorni dopo i fatti di Lexington aveva a sua volta attaccato un deposito militare delle milizie[36]. Nonostante l'atmosfera bellicosa e le proteste dei radicali come i virginiani Richard Henry Lee e Patrick Henry, venne deciso, soprattutto su sollecitazione dei rappresentanti moderati come i newyorkesi John Jay e John Dickinson, di presentare un'ultima petizione al re per concludere un accordo di compromesso per "una lieta e permanente riconciliazione". La cosiddetta Olive Branch Petition, "petizione del ramoscello d'ulivo", venne tuttavia duramente respinta da Giorgio III che, infuriato per la resistenza armata delle colonie, rifiutò di leggere il testo proveniente da un "congresso illegale"[37]. Il Congresso di Filadelfia accanto alla petizione al re promulgò anche un secondo documento molto meno conciliante; la Declaration of the Causes and Necessity of Taking Up Arms ("Dichiarazione delle cause e della necessità di prendere le armi") nella quale venivano riassunti i motivi del contrasto con la Gran Bretagna che veniva accusata dell'aggressione a Lexington; i delegati affermavano risolutamente che "la nostra causa è giusta" e confermavano la ferma decisione di difendere con le armi i loro diritti e di non accettare "la schiavitù"[38].
Le notizie provenienti dall'America confermavano l'estensione della ribellione; il 10 maggio 1775, giorno dell'apertura del Secondo congresso continentale, i miliziani Green Mountain Boys comandati da Ethan Allen e dal colonnello Benedict Arnold, attaccarono di sorpresa e conquistarono il Fort Ticonderoga mentre il 12 maggio gli uomini del colonnello Joseph Warren presero il forte Crown Point. La creazione ufficiale dell'Esercito Continentale avvenne il 31 maggio mentre il 15 giugno, due giorni prima della battaglia di Bunker Hill, su consiglio di John Adams, il comando venne affidato al colonnello della milizia virginiana George Washington, esperto militare veterano della Guerra franco-indiana, che venne scelto soprattutto in quanto, come esponente della Virginia, avrebbe potuto assicurare un legame politico più solido tra il New England e le colonie meridionali[39]. Washington, nominato generale, si recò subito a Boston per controllare l'assedio delle truppe del generale Gage.[29]. Il 27 giugno 1775 addirittura il Congresso Continentale autorizzò, partendo dalle posizioni conquistate a Fort Ticonderoga, una vera e propria invasione del Canada ritenuto una pericolosa base di partenza per attacchi britannici[40].
Subito dopo la battaglia di Bunker Hill, il governo di Lord North aveva dovuto finalmente ammettere la gravità della situazione e prendere le decisioni operative concrete; il primo ministro rimaneva scettico sulla possibilità di risolvere la crisi con l'impiego della forza e anche il segretario alle colonie Lord Dartmouth e il segretario alla guerra Lord Barrington erano pessimisti ed evidenziavano la scarsità di truppe disponibili per una guerra così impegnativa a 6 000 chilometri dalle isole britanniche[41]. Il re Giorgio III invece era deciso a punire le colonie ribelli e all'interno del governo Lord Suffolk, un influente esponente delle correnti bellicose, premeva per prendere misure radicali e aveva sollecitato il sostegno dell'energico George Germain[42]. Il 2 agosto 1775 il governo North decise di inviare ulteriori rinforzi a Boston e organizzare un grande corpo di spedizione di 20.000 uomini che sarebbe stato pronto per la primavera 1776 e avrebbe attaccato partendo da New York; il generale Gage inoltre doveva essere sostituito[43].
Il 23 agosto 1775 Giorgio III prese la decisione formale di dichiarare con un apposito proclama lo "stato di ribellione" delle colonie; nel proclama si ordinava alle forze armate britanniche di reprimere con la forza la ribellione e di punire gli insurgents ("insorti"), "autori, esecutori e complici di quei disegni proditori"[37]. Il Parlamento britannico sostenne a grande maggioranza la posizione del re e, nonostante le critiche di Charles James Fox e di pochi altri che avevano paventato l'esplosione di una "guerra ingiusta" che avrebbe accelerato il distacco dell'America, il 22 dicembre 1775 con l'approvazione del Prohibitory Act, venne decretato lo stato di blocco navale delle colonie, attivo a partire dal 1º marzo 1776[44]. In precedenza il 26 ottobre 1775 il governo North aveva ottenuto il sostegno parlamentare alla sua politica che prevedeva il potenziamento dell'esercito e della marina per la guerra contro le colonie, il reclutamento di mercenari stranieri russi o tedeschi, ma anche la costituzione di una "commissione di pace" per accogliere la sottomissione dei ribelli in cambio della clemenza[45]. In realtà il governo, sollecitato dal re, stava attivando le misure per la guerra sotto l'impulso del nuovo ministro delle colonie, George Germain, che il 10 novembre 1775 prese il posto di Lord Dartmouth[46].
Nei mesi seguenti la situazione degenerò definitivamente in guerra aperta. In Virginia il governatore Lord Dunmore abbandonò la colonia, si rifugiò a bordo di una nave britannica, e, dopo aver dichiarato il 7 novembre 1775 la legge marziale, fece intervenire un reggimento di truppe britanniche che attaccò i centri ribelli[47]. Le milizie virginiane, numerose e aggressive, vennero mobilitate dall'energico Patrick Henry ed ebbero rapidamente la meglio. Dopo la disfatta di Great Bridge, il 9 dicembre 1775, Lord Dunmore fece bombardare Norfolk dalle navi per vendetta il 1º gennaio 1776 prima di lasciare definitivamente la Virginia[48].
Quando la guerra scoppiò gli americani disponevano solamente di milizie volontarie reclutate indipendentemente dalle varie colonie; gli elementi più preparati e motivati erano i minutemen del New England[49]. Circa 441 compagnie delle milizie del Massachusetts si radunarono inizialmente intorno a Boston nella primavera 1775; ben presto giunsero anche le milizie degli altri stati del New England; queste truppe erano motivate e aggressive ma mancavano di organizzazione e disciplina; all'interno dei reparti predominava l'individualismo e la democrazia; i soldati eleggevano gli ufficiali tra i ranghi[50]; inoltre i miliziani venivano mobilitati solo per brevi periodi, 30-60 giorni, scaduti i quali i reparti si scioglievano[51]. I miliziani durante le battaglie tendevano a sbandare e non erano truppe completamente affidabili; in alcune occasioni si comportavano in modo brutale verso i prigionieri[52].
Il Congresso decise quindi di costituire l'Esercito Continentale organizzando reggimenti regolari reclutati su base statale e messi a disposizione per il periodo della guerra; in un primo momento i soldati dell'Esercito Continentale erano reclutati su base volontaria per il servizio di un anno, ma nel 1777 si decise di prolungare la ferma a tre anni[53]. Inizialmente anche i "continentals" si dimostrarono poco addestrati e soggetti al panico, ma con il tempo l'organizzazione e le tattiche migliorarono[54]; i soldati americani erano allettati con premi in denaro e con promesse di terra, ma in generale erano anche animati da patriottismo, "ardore implacabile e spirito di vendetta"[52].
Nel 1780 arrivò in America il piccolo ma temibile corpo di spedizione francese che rafforzò in modo decisivo l'Esercito Continentale; l'esercito francese, sottoposto recentemente ad un profondo processo di riforma, era ben addestrato ed equipaggiato[55]. Esso manteneva lo schieramento su tre file per l'azione di fuoco ma impiegava anche l'attacco in colonne per ottenere una maggiore potenza d'urto; inoltre la sua artiglieria, riorganizzata da Jean-Baptiste Vaquette de Gribeauval, era moderna ed efficiente[56].
Il generale George Washington, ricco piantatore virginiano e in precedenza militare comandante delle milizie del suo stato, era il comandante dell'Esercito Continentale; privo di una specifica preparazione ma intelligente e perspicace, Washington si dimostrò fin dall'inizio un comandante autorevole e rigoroso divenendo in breve il principale sostegno dell'esercito[57]. Il generale era anche dotato di una forte determinazione, di una mente fredda e di un carattere solido che lo avrebbero messo in grado di sopportare le enormi difficoltà che nel corso degli anni avrebbe dovuto affrontare; Washington era completamente disinteressato e rifiutò di ricevere uno stipendio per il suo incarico[57][58].
Washington non era dotato di grande abilità tattica ma durante la guerra avrebbe dimostrato una chiara comprensione della strategia più efficace per contrastare le preponderanti forze britanniche; egli era consapevole della debolezza dell'Esercito Continentale a causa delle carenze di disciplina, equipaggiamento e addestramento; il generale tuttavia riteneva possibile contrastare le truppe regolari britanniche, apparentemente molto più efficienti, sfruttando le caratteristiche positive dei suoi soldati: il loro entusiasmo patriottico, il loro spirito d'iniziativa, la loro velocità di movimento, le loro tattiche non convenzionali[33]. Inoltre alcune formazioni di miliziani disponevano anche di ottimi fucili ad avancarica a canna rigata, più lunghi e lenti dei moschetti britannici, ma capaci di colpire a maggiore distanza[33].
La differenza principale che emerse tra le tattiche adottata da Washington e quelle dei generali britannici fu quella della mobilità delle truppe. Le truppe britanniche erano addestrate, tenaci e coraggiose, ma utilizzavano le classiche tattiche della guerra settecentesca, che prevedevano lo spostamento di truppe pesantemente equipaggiate seguite dai carriaggi, l'avvicinamento al nemico e la carica alla baionetta dopo alcune raffiche. I reparti americani regolari, i cosiddetti continentals, invece, non essendo addestrati al combattimento di fila e con la baionetta, utilizzarono tecniche flessibili con rapidi movimenti sul campo di battaglia, mentre i miliziani erano impiegati soprattutto per attaccare i fianchi e le vie di comunicazione del nemico e per compiere imboscate.
In realtà nel corso del tempo l'esercito britannico cercò di adeguare le sue tattiche: vennero potenziate le unità di fanteria leggera, venne adottato lo schieramento su due file secondo il sistema del loose files, venne accresciuta la mobilità; i soldati britannici eseguivano "marce rapide" con il cosiddetto trot sul campo di battaglia[59]. Durante la guerra la Gran Bretagna impiegò circa 30.000 mercenari tedeschi, i cosiddetti "Assiani" (Hessians), provenienti in gran parte dall'Assia-Kassel e dal Ducato di Brunswick, mentre Waldeck, Assia-Hanau, Ansbach e Anhalt-Zerbst inviarono piccoli contingenti. Queste truppe, esercitate e veterane, si dimostrarono efficienti e resistenti; gli assiani in generale impiegavano le tattiche britanniche su due file anche se gli ufficiali tedeschi non adottarono il sistema del loose files e le quick march dei loro alleati[60]. I britannici criticarono anche la lentezza dei reparti tedeschi e l'eccessiva quantità di carriaggi utilizzati[60].
Dopo il richiamo del generale Gage, dall'ottobre 1775 il comandante in capo delle truppe britanniche in America era il generale William Howe che era considerato pienamente in grado di compiere con successo la sua missione e reprimere la ribellione. Howe, brillante veterano della guerra Franco-Indiana dove si era distinto alla battaglia di Québec, era considerato un esperto di tattiche di fanteria leggera e, essendo un moderato non privo di simpatie per le rivendicazioni delle colonie, sembrava indicato per raggiungere un rapido successo militare e favorire la successiva riconciliazione[61]. Egli tuttavia era privo di qualità strategiche e non comprendeva a fondo la situazione politica in America; Howe di fatto alla prova del fuoco si sarebbe dimostrato spesso indeciso, poco risoluto e incapace di sfruttare le situazioni favorevoli[62].
Il 27 giugno 1775 il Congresso continentale, dopo molti dubbi e accese discussioni, aveva autorizzato un'offensiva in Canada dove si riteneva di poter sfruttare il risentimento della popolazione francese verso il recente dominio britannico e accorpare anche quelle province al movimento rivoluzionario[63]. Le difese britanniche nel territorio canadese, affidate all'energico governatore, il generale Guy Carleton, erano estremamente deboli ma la popolazione, rassicurata dal Quebec Act che assicurava la tolleranza religiosa, non sostenne affatto l'invasore e al contrario collaborò nella difesa[64]. Un appello di John Jay indirizzato alla popolazione canadese che veniva invitata con toni enfatici ad "unirsi a noi nella risoluzione di essere liberi", non ottenne alcun risultato[65].
Gli americani decisero ugualmente di sferrare l'offensiva che venne affidata al generale Richard Montgomery che nel settembre 1775 iniziò l'avanzata da Fort Ticonderoga in direzione di Montréal risalendo dal lago Champlain con circa 2 000 uomini; contemporaneamente il generale Benedict Arnold, ambizioso e audace, convinse Washington ad affidargli un secondo corpo di spedizione per sbucare direttamente a Québec passando con una marcia forzata attraverso il selvaggio territorio del Maine [64][66]. Arnold aveva scelto un percorso quasi impraticabile in mezzo a montagne boscose ma riuscì con grande determinazione a continuare la marcia verso Quebec; le sue truppe giunsero tuttavia esauste dopo aver perso molti uomini[66].
Il generale Carleton, che disponeva di meno di mille soldati regolari, decise di concentrare le sue modeste forze contro la colonna principale del generale Montgomery e riuscì in un primo tempo a fermare gli americani davanti al Fort St John, sul fiume Richelieu fino al 2 novembre quando il generale Montgomery conquistò il forte; Montréal dovette essere evacuata[67].
La situazione per i britannici diventò ancor più difficile con l'improvviso arrivo della colonna del generale Arnold davanti a Québec; il generale Carleton riuscì tuttavia ad organizzare rapidamente una forza di difesa al comando del colonnello Maclean che riuscì a fermare gli americani e guadagnare tempo[67]. All'inizio di dicembre arrivò davanti a Québec anche il generale Montgomery con le sue truppe ma la situazione generale degli americani era ora meno favorevole: i reparti erano indeboliti dalle fatiche della campagna e dall'arrivo del clima invernale; molti soldati erano in scadenza di ferma e inoltre si erano verificati casi di vaiolo[64].
Il comando della città di Québec era stato assunto personalmente dal generale Carleton; egli disponeva di potenti artiglierie da fortezza e non temeva un assedio[67]. Il generale Montgomery ritenne impossibile prolungare le operazioni in pieno inverno a causa soprattutto del progressivo indebolimento delle sue forze e prese la rischiosa decisione di sferrare un assalto di sorpresa alla città nella notte del 30 dicembre 1775 durante una violenta tempesta di neve[67]. L'attacco si concluse con un totale fallimento: gli americani furono respinti con pesanti perdite, il generale Montgomery rimase ucciso e Arnold fu seriamente ferito. Dopo questa battaglia le operazioni di assedio intorno a Québec tuttavia continuarono; il generale Arnold, nonostante le ferite, assunse il comando e, avendo ricevuto rinforzi, decise di mantenere le posizioni, ma il suo esercito si stava lentamente disgregando a causa dell'epidemia di vaiolo, delle diserzioni e dell'abbandono dei soldati in scadenza di ferma[68]. La guarnigione britannica di Québec rimase assediata durante l'inverno e l'inizio della primavera 1776 ma i rinforzi inviati dal governo britannico erano in arrivo e il 6 maggio 1776 finalmente le prime navi con le truppe arrivarono alla foce del fiume San Lorenzo in aiuto del governatore Carleton[69]; l'invasione americana del Canada era ormai fallita.
Washington era molto preoccupato e le sorti della guerra sembravano in mano inglese. Un aiuto al generale venne però da un cartolaio e farmacista di Boston: Henry Knox. I coloni avevano trovato al forte Ticonderoga cinquanta cannoni, più di quanti ne avesse l'intero Esercito Continentale, ma erano da fortezza e nessuno sapeva come trasportarli. Knox ci riuscì e, costruendo ponti di fortuna e massicciate e sfruttando tronchi d'albero come rotaia fece arrivare 43 cannoni a Washington, che li dispose subito all'esterno di Boston, pronto per attaccare la città.[64]
Nei primi mesi del 1776 l'Esercito Continentale, nonostante l'impegno di Washington e dei suoi collaboratori, era ancora disorganizzato e male equipaggiato; la disciplina e l'armamento tuttavia erano stati migliorati e soprattutto l'arrivo dei cannoni da fortezza trasferiti nel settore di Boston dal colonnello Henry Knox aveva rafforzato lo schieramento americano intorno alla capitale del Massachusetts[70].
Contemporaneamente erano in corso di applicazione le nuove decisioni strategiche prese dal governo di Lord North dopo le disastrose notizie dell'aperta ribellione delle colonie e dell'estensione del movimento rivoluzionario americano. Nel maggio del 1775 il generale Gage aveva finalmente ricevuto alcuni rinforzi che avevano portato a 6 500 uomini il contingente di Boston. Assieme ai soldati erano giunti anche i generali Clinton, Howe e Burgoyne, inviati da Londra per coadiuvare e sostenere il comandante in capo. Nell'ottobre 1775, dopo l'inizio della campagna canadese, Gage venne richiamato "per consultazioni" e il generale William Howe assunse il comando. Questi aveva provato ad organizzare i lealisti di Boston ed era riuscito a raccogliere 1 600 uomini. Furono mandati ad occupare la Carolina del Nord ma, il 27 febbraio 1776, vennero annientati nella battaglia di Moore's Creek Bridge, nei pressi dell'odierna Wilmington. Da quel momento Howe decise di abbandonare Boston e di trasferirsi in una città più "lealista" e difendibile.[70]
Washington aveva nel frattempo disposto i 43 cannoni di Knox sulle colline dei Dorcester Heights, dopo averle occupate senza subire perdite; da qui teneva sotto tiro il porto. Il generale ordinò di farli sparare ma Howe, che aveva già deciso di abbandonare la città, caricò su centosettanta velieri tutti gli uomini, compresi pochi lealisti locali, e le armi. Avendo visto che il nemico si ritirava Washington ordinò di interrompere l'attacco e non riprese per le successive due settimane, necessarie agli inglesi per imbarcarsi.
Il 17 marzo 1776 gli ultimi soldati inglesi lasciarono Boston ed il generale entrò nella città accolto come un trionfatore. Era una data molto importante: per la prima volta i coloni erano veramente padroni di un territorio senza inglesi in armi. Il successo fu anche psicologico poiché il clima di risveglio patriottico, iniziato a maturare a gennaio con la redazione del Common Sense di Thomas Paine, era ormai radicato e avrebbe portato, di lì a poco, alla Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America.[70]
In questa atmosfera di patriottismo e di crescente idealismo, il Congresso continentale nei primi mesi del 1776 approvò una nuova serie di disposizioni radicali che confermavano lo stato di guerra aperta con l'Impero britannico: il 18 febbraio venne autorizzata l'attività illimitata dei corsari contro il naviglio nemico; pochi giorni dopo venne decretato l'embargo totale delle esportazioni verso la Gran Bretagna; a marzo il Congresso decise misure terroristiche contro i lealisti e infine in aprile decretò in contrasto con le leggi di navigazione, l'apertura dei porti americani alle navi di ogni nazione esclusa la Gran Bretagna[71]. Il Congresso di Filadelfia aveva inoltre deciso per tempo di ricercare l'aiuto delle potenze europee rivali dell'Impero britannico; a Parigi era già attivo Benjamin Franklin che ben presto venne raggiunto dall'inviato speciale Silas Deane in missione segreta in Francia[65].
Nel frattempo in Gran Bretagna il nuovo ministro delle colonie George Germain, fermamente deciso a costringere con la forza i "ribelli" alla sottomissione, aveva energicamente portato avanti i preparativi militari per riprendere possesso delle colonie americane. La zarina di Russia Caterina aveva rifiutato di fornire soldati per la guerra d'America, ma il ministro era riuscito ad ottenere da alcuni stati tedeschi, grazie ai rapporti di parentela nobiliare del re e dietro ingenti compensi in denaro, numerosi contingenti di soldati mercenari, esperti e disciplinati, da inviare in America; in questo modo sarebbe stato quindi possibile costituire un grande corpo di spedizione per riconquistare le colonie. I nuovi piani di guerra, approvati il 5 gennaio 1776, prevedevano di attaccare gli stati centrali, New York, New Jersey e Pennsylvania, per separare territorialmente le colonie del New England a nord, ritenute il focolaio principale della ribellione, dagli stati meridionali, considerati invece in prevalenza lealisti[72]. Questi progetti erano stati concepiti principalmente dal generale William Howe e prevedevano inoltre la collaborazione dal Canada di un secondo corpo di spedizione che sarebbe disceso a sud collegandosi verso Albany con le forze principali e completando l'isolamento del New England[73].
Il generale Howe quindi, dopo aver evacuato Boston nel marzo 1776, trasferì le sue truppe nei primi giorni di aprile ad Halifax, in Canada dove intendeva riorganizzare le forze e attendere i previsti rinforzi dalla madrepatria.[74]. Dall'Europa erano in arrivo 10 000 mercenari tedeschi e 4 500 soldati britannici; i convogli salparono per l'America il 29 aprile 1776, mentre altri 5 000 soldati tedeschi erano già in viaggio verso il Canada dopo essere partiti il 7-8 aprile; nonostante grandi difficoltà logistiche e organizzative, la macchina militare dell'impero britannico si stava mobilitando per la guerra[75].
Mentre il generale Howe preparava il suo corpo di spedizione, nel mese di giugno si concluse definitivamente con un disastro l'invasione americana del Canada; dopo l'arrivo a maggio dei rinforzi per il generale Carleton, le truppe di Arnold iniziarono la ritirata che si svolse in condizioni drammatiche per la mancanza di rifornimenti, per gli attacchi nemici e per il diffondersi del vaiolo. I soldati americani superstiti riuscirono comunque a ripiegare fino alla frontiera dopo aver perso tutto il territorio conquistato[76]. Si concluse invece con un umiliante fallimento per i britannici la spedizione condotta dal generale Henry Clinton negli stati meridionali; i lealisti della Carolina del Sud erano già stati sconfitti dai miliziani e l'attacco sferrato dalla squadra navale britannica il 28 giugno 1776 contro il porto di Charleston venne duramente respinto con pesanti perdite dalle difese americane; il generale Clinton rinunciò ad ulteriori attacchi e ritornò indietro per riunirsi alle forze principali di Howe[77].
Nel frattempo mentre continuavano i combattimenti e i preparativi per la guerra, nel Congresso continentale americano erano in corso aspri e decisivi confronti politici tra i rappresentanti delle colonie che stavano per condurre a decisioni irreversibili di importanza storica mondiale. I radicali all'interno del Congresso divennero sempre più intransigenti; venne deciso di rifiutare ogni contatto con eventuali rappresentanti di una "commissione di pace" britannica; in maggio giunsero dall'Europa le prime notizie, che esacerbarono ulteriormente gli animi, dell'arruolamento in corso di un gran numero di mercenari tedeschi per "sottomettere l'America"[78]. Alcune colonie iniziarono a deliberare audaci iniziative radicali per rompere definitivamente i rapporti con la Gran Bretagna; in aprile 1776 per prima la Carolina del Nord indicò ai propri delegati congressuali di proporre l'indipendenza completa; subito dopo si pronunciò nello stesso senso il Rhode Island, mentre in maggio l'assemblea del Massachusetts interpellò i suoi cittadini prima di deliberare[71]. Il 15 maggio 1776 l'assemblea della Virginia raccomandò ai suoi rappresentanti di richiedere al Congresso di "dichiarare le colonie unite, libere e indipendenti"; quindi il 1º giugno l'assemblea virginiana approvò una fondamentale "Dichiarazione dei diritti"[79]. In questo documento la Virginia per prima affermava che "tutti gli uomini sono nati ugualmente liberi e indipendenti" e proclamava "la libertà civile, politica e di culto"; infine si dichiarava apertamente che Giorgio III era un "detestabile e insopportabile tiranno" e che il legame con la Gran Bretagna doveva essere "interamente sciolto"[80].
Il 7 giugno 1776 il deputato virginiano Richard Henry Lee presentò al Congresso, sulla base del mandato ricevuto dall'assemblea del suo stato, tre "risoluzioni" decisive: le dichiarazioni che le "colonie unite erano stati liberi e indipendenti, che avrebbero potuto stipulare alleanze con stati stranieri e che avrebbero preparato un progetto per organizzare una confederazione tra loro[81]. Le mozioni di Lee suscitarono grande scalpore; Samuel Adams del Massachusetts diede subito il suo consenso ma in alcune colonie, soprattutto la Carolina del Sud e la Pennsylvania, si espressero dubbi e critiche[82]; i delegati di New York richiesero istruzioni al loro congresso provinciale che discusse la cruciale questione il 10 e l'11 giugno senza raggiungere alcuna conclusione; John Jay fece approvare una risoluzione moderata che negava l'autorizzazione a firmare i documenti della Virginia[83]. Il Congresso continentale decise di rinviare la discussione delle mozioni di Lee per tre settimane per dare tempo alle colonie di pronunciarsi ma i radicali riuscirono a far organizzare subito una Commissione di cinque rappresentanti incaricata di redigere senza attendere un documento formale di indipendenza[84].
Nei giorni seguenti, mentre la Commissione elaborava il documento, giunsero al Congresso le deliberazioni delle singole colonie; il 15 giugno il New Hampshire diede il suo consenso all'indipendenza e il 28 giugno anche il Maryland e il New Jersey approvarono a loro volta; tuttavia i contrasti tra i delegati erano ancora presenti: una prima votazione in assemblea ebbe luogo il 1º luglio e, mentre i due rappresentanti del Delaware non votarono uniformemente, i delegati di Pennsylvania e Carolina del Sud votarono addirittura contro l'indipendenza[84]. Nello stato di New York venne eletta una nuova assemblea provinciale dominata dai radicali ma ancora il 2 luglio i delegati al Congresso non avevano ricevuto precise istruzioni sul comportamento da tenere riguardo alla dichiarazione d'indipendenza[85].
La Commissione dei cinque aveva intanto preparato il documento di indipendenza; il rappresentante della Virginia Thomas Jefferson ebbe parte preponderante nell'elaborazione del testo la cui prima bozza venne tuttavia revisionata e modificata dagli altri commissari Benjamin Franklin, John Adams, Roger Sherman e Robert R. Livingston. Il documento, eloquente e suggestivo, criticava il comportamento "tirannico e sanguinario" di Giorgio III e proclamava con grande enfasi i valori di libertà da cui erano peraltro esclusi i "nativi" e gli "schiavi"[86]. Il 2 luglio dopo accese discussioni vennero infine superate le resistenze degli stati incerti: il Delaware votò a favore dopo l'arrivo all'ultimo minuto di un nuovo delegato; la Carolina del Sud cambiò il suo voto e soprattutto la Pennsylvania diede il suo assenso all'indipendenza dopo parziali cambiamenti nella composizione della sua delegazione; i rappresentanti dello stato di New York, sempre senza istruzioni, si astennero fino all'ultimo[87].
Il 4 luglio, a Filadelfia, fu infine promulgato lo storico documento d'indipendenza approvato dai delegati delle Tredici colonie: New Hampshire, Massachusetts, Rhode Island, Connecticut, New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware, Maryland, Virginia, Carolina del Nord, Carolina del Sud e Georgia andarono a costituire un nuovo Stato, gli Stati Uniti d'America. Per festeggiare la nascita fu suonata la Liberty Bell.[74]
Il 30 giugno 1776 il generale William Howe aveva dato inizio alle operazioni offensive sbarcando senza difficoltà una parte del suo corpo di spedizione nell'isola di Staten Island, davanti a New York; nelle settimane seguenti le forze britanniche si rafforzarono costantemente: arrivarono un reggimento di truppe scozzesi, 2 500 uomini del generale Clinton provenienti dalla fallita spedizione di Charleston e soprattutto il 12 agosto sbarcarono oltre 10 000 soldati, tra cui 8 700 mercenari assiani del generale von Heister[88]. Il corpo di spedizione, il più grande che fosse mai stato organizzato e impegnato nella storia britannica, era ora costituito da circa 24 000 uomini guidati dal generale Howe, mentre il fratello, l'ammirag