Livorno
comune italiano, capoluogo dell'omonima provincia in Toscana Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Livorno (AFI: /liˈvorno/[7], ) è un comune italiano di 153 025 abitanti[3], capoluogo dell'omonima provincia in Toscana.
Livorno comune | |
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Veduta aerea del centro | |
Localizzazione | |
Stato | Italia |
Regione | Toscana |
Provincia | Livorno |
Amministrazione | |
Sindaco | Luca Salvetti (indipendente di centro-sinistra[1][2]) dall'11-6-2019 (2º mandato dal 13-6-2024) |
Territorio | |
Coordinate | 43°33′N 10°19′E |
Altitudine | 3 m s.l.m. |
Superficie | 104,71 km² |
Abitanti | 153 025[3] (31-5-2024) |
Densità | 1 461,42 ab./km² |
Frazioni | Castellaccio, Gorgona, Limoncino, Quercianella, Valle Benedetta |
Comuni confinanti | Collesalvetti, Pisa (PI), Rosignano Marittimo |
Altre informazioni | |
Cod. postale | 57121–57128 |
Prefisso | 0586 |
Fuso orario | UTC+1 |
Codice ISTAT | 049009 |
Cod. catastale | E625 |
Targa | LI |
Cl. sismica | zona 3 (sismicità bassa)[4] |
Cl. climatica | zona D, 1 408 GG[5] |
Nome abitanti | livornese, livornesi[6]; labronico, labronici[6] |
Patrono | Giulia di Corsica |
Giorno festivo | 22 maggio |
Cartografia | |
Posizione del comune di Livorno all'interno della stessa provincia | |
Sito istituzionale | |
Terza[8] città della regione per popolazione (dopo Firenze e Prato), ospita da sola quasi la metà degli abitanti della propria provincia; con i comuni limitrofi di Pisa e Collesalvetti costituisce, inoltre, un vertice di un "triangolo industriale"[9].
È situata lungo la costa del Mar Ligure[10] ed è uno dei più importanti porti italiani, sia come scalo commerciale sia come scalo turistico. Centro industriale di rilevanza nazionale, è però da tempo in declino[11][12], tanto da essere riconosciuta nel 2015 come "area di crisi industriale complessa"[13].
Tra tutte le città toscane è solitamente ritenuta la più moderna[14][15], sebbene nel suo territorio siano presenti diverse testimonianze storiche, artistiche e architettoniche sopravvissute ai massicci bombardamenti della seconda guerra mondiale e alla successiva ricostruzione.
La città, notevolmente sviluppatasi dalla seconda metà del XVI secolo per volontà dei Medici prima e dei Lorena in seguito, fu un importante porto franco frequentato da numerosi mercanti stranieri, sede di consolati[16] e compagnie di navigazione. Ciò contribuì ad affermare, sin dalla fine del Cinquecento, i caratteri di città multietnica e multiculturale per eccellenza, dei quali sopravvivono importanti vestigia, quali chiese e cimiteri nazionali, palazzi, ville e opere di pubblica utilità indissolubilmente legate ai nomi delle importanti comunità straniere che frequentarono il porto franco fino alla seconda metà dell'Ottocento. La vocazione internazionale portò a identificare la città come Leghorn nel Regno Unito e negli Stati Uniti, Livourne in Francia, Liorna in Spagna, ecc., analogamente alle più importanti capitali di Stato dell'epoca[17].
Tra il XIX secolo e i primi anni del Novecento, parallelamente all'avvio del processo di industrializzazione, Livorno fu anche una meta turistica di rilevanza internazionale per la presenza di rinomati stabilimenti balneari e termali, che conferirono alla città l'appellativo di Montecatini al mare[18].
Livorno è sede dell'Accademia navale della Marina Militare, del comando e di due reggimenti della Brigata paracadutisti "Folgore" dell'Esercito Italiano, del 1º Reggimento carabinieri paracadutisti "Tuscania", del 9º Reggimento d'assalto paracadutisti "Col Moschin" inquadrato nelle forze speciali dell'Esercito Italiano e del Gruppo di intervento speciale dei Carabinieri; inoltre, è sede di direzione marittima del Corpo delle capitanerie di porto - Guardia costiera.
Il comune di Livorno ha una superficie di 104,79 km²[19].
La città si trova a tre metri sul livello del mare (quota in piazza del Municipio). Non vi sono corsi d'acqua rilevanti, a parte alcuni piccoli torrenti (Chioma, Rio Ardenza, Rio Cigna, Rio Maggiore, Torrente Ugione). Il terreno è generalmente pianeggiante, salvo elevarsi a est e a sud, dove ha inizio il sistema della Colline Livornesi (quota massima 462 metri sul livello del mare presso il Poggio Lecceta)[19]. Conseguentemente anche la costa, che da Marina di Carrara a Piombino è sempre bassa, si alza quasi a picco sul mare, nella zona detta del Romito.
Il territorio comunale di Livorno comprende anche l'isola di Gorgona e le Secche della Meloria, facenti parte del Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano.
L'isola di Gorgona ha una superficie di 220 ettari e si trova a 37 chilometri dalla costa labronica.
Dal punto di vista geologico il territorio livornese e i suoi dintorni sono caratterizzati da numerosi materiali come le arenarie e i gabbri[20]; in particolare, le colline alle spalle della città presentano terre dalla intensa tonalità rossa; più in basso, la panchina livornese è formata da calcarenite color ocra. La parte settentrionale del comune fa invece parte della pianura alluvionale dell'Arno.
Il comune è classificato, allo stesso modo della maggior parte dei comuni toscani, con grado di sismicità 9 (categoria 2), con il territorio comunale che è stato anche l'epicentro di alcuni terremoti. Il 5 aprile 1646 l'evento sismico raggiunse la magnitudo 5,17 della scala Richter e il VII grado della scala Mercalli; il 27 gennaio 1742 il sisma ebbe una magnitudo di 5,15 della Scala Richter e il VI-VII grado della scala Mercalli; l'8 gennaio 1771 il terremoto raggiunse la magnitudo 5,03 della Scala Richter e il VI-VII grado della scala Mercalli; il 3 aprile 1814 si ebbe la magnitudo di 5,22 della scala Richter e il VI-VII grado della scala Mercalli[21].
Il clima della città è di tipo mediterraneo, con estati mitigate dalla brezza marina (massima assoluta di +38,5 °C registrata dal Lamma nel luglio 1986) e inverni non freddi (minima storica di −7 °C registrata dal Lamma nel gennaio 1985). Le precipitazioni sono concentrate principalmente in primavera (massimo secondario) e autunno[24]. Tuttavia sono presenti differenze: sulla zona costiera, le precipitazioni annuali medie rilevate dal Mareografo si aggirano sui 700 mm, mentre la stazione della Valle Benedetta (300 metri sul livello del mare) in collina, rileva una media che oscilla tra gli 800 e i 1 000 millimetri annui[25].
Rare le nevicate, in pochissimi casi anche copiose (nel 2012 raggiunti quasi i 30 cm); tuttavia in alcuni casi durante irruzioni artiche nei mesi più freddi, non sono rare leggere nevicate miste a pioggia nelle zone collinari o più interne, con piccoli o assenti accumuli. Sulle Colline Livornesi, in particolare Gabbro (Rosignano Marittimo) e Valle Benedetta, solitamente almeno una volta all'anno si verificano precipitazioni nevose con modesti accumuli.
Le origini di Livorno sono ignote e si perdono nelle leggende e nella mitologia, ma certamente il sito era frequentato sin dall'epoca preistorica, come documentato da numerosi reperti archeologici, quali cuspidi di freccia, lamine usate come coltelli, raschiatoi e punteruoli. Nelle campagne intorno alla città furono rinvenuti anche oggetti d'epoca etrusca e romana, a testimoniare la frequentazione del sito.[26] Già nel I secolo a.C. Cicerone nella lettera al fratello Quinto («…ut aut Labrone aut Pisis conscenderet. Tu, mi frater, simul et ille venerit, primam navigationem…»)[27] cita il nome di Labrone, a testimonianza che il territorio era abitato stabilmente sin dai tempi antichi. L'aggettivo labronico è tutt'oggi comunemente utilizzato come sinonimo di livornese[28].
Il toponimo Livorna, originaria variante di quello che già a partire dal XIV secolo[29] diventerà "Livorno", appare per la prima volta in un documento risalente al 13 novembre 1017[30], nel quale il vescovo di Pisa dette in livello alla famiglia degli Orlandi, il castello di Livorno ed un piccolo agglomerato di abitazioni poste sulla costa dell'odierno Mar Ligure, in una cala naturale, a pochi chilometri a sud della foce dell'Arno e di Pisa[31]. All'epoca Livorno collaborava con il vicino Porto Pisano, il grande scalo marittimo della Repubblica di Pisa[32], ma il progressivo interramento di quest'ultimo favorì lo sviluppo del piccolo borgo labronico, che tra il XIII e il XIV secolo fu dotato di un sistema di fortificazioni e di un maestoso faro, noto con il nome di Fanale.
Tramontata la Repubblica Livorno passò ai Visconti di Milano, successivamente, nel 1407, ai genovesi e infine nel 1421 ai fiorentini in cambio di 100 000 fiorini d'oro. Nel XVI secolo i Medici, granduchi di Toscana, contribuirono in maniera determinante allo sviluppo di Livorno e del suo sistema portuale con l'intento di farne il principale sbocco a mare del Granducato. Bernardo Buontalenti fu pertanto incaricato di progettare una nuova città fortificata intorno al nucleo originario dell'abitato labronico, con un imponente sistema di fossati e bastioni (si veda la voce Fosso Reale).
Al popolamento della nuova città contribuì l'emanazione, tra il 1591 e il 1593, delle cosiddette "Leggi Livornine", che richiamarono a Livorno mercanti di qualsivoglia natione, garantendo agli abitanti libertà di culto e di professione religiosa (seppur con forti limitazioni per i protestanti), nonché l'annullamento di condanne penali (con l'eccezione delle condanne per assassinio e "falsa moneta"). Questi privilegi erano diretti soprattutto agli ebrei sefarditi scacciati dalla penisola iberica. Arrivarono in molti, soprattutto commercianti, e costituirono una florida e operosa comunità ebraica di lingua spagnola e portoghese. Gli ebrei vivevano liberi a Livorno, non rinchiusi in un ghetto, come invece avveniva nelle altre città d'Italia fino all'epoca dell'Unità d'Italia. Nel tempo la comunità ebraica divenne tra le più importanti d'Italia, come testimoniato dai nomi illustri di molti suoi membri, tra i quali spiccano il pittore Amedeo Modigliani, il filantropo Moses Montefiore e i rabbini Elia Benamozegh ed Elio Toaff. Il porto e la città furono anche soggiorno di numerose altre comunità straniere, organizzate in "Nazioni", i cui membri, a differenza degli ebrei, non erano ritenuti sudditi toscani (inglesi, olandesi, francesi, corsi, ragusei, greci, armeni, spagnoli, portoghesi, sardi, svedesi, danesi, austriaci, prussiani, ecc.) ed erano rappresentati da propri consoli, disponendo anche di specifici luoghi di culto e di sepoltura.
Dal punto di vista economico l'istituzione del porto franco favorì il proliferare di attività commerciali strettamente legate alle intense attività portuali[33], tanto da divenire il modello per analoghe iniziative nel resto d'Europa, come nel caso della cittadina svedese di Marstrand[34].
Nel XVIII secolo la fine della dinastia medicea e l'avvento dei Lorena non ostacolarono l'espansione cittadina, con la formazione di grandi sobborghi suburbani a ridosso delle fortificazioni buontalentiane. Anche dal punto di vista culturale il Settecento portò a un proliferare delle arti in genere e in particolare dell'editoria; qui vennero pubblicati Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria (nel 1764, in forma anonima) e, nel 1770, la terza edizione dell'Encyclopédie ou Dictionnaire raisonnè des Sciences, des Arts et des Métiers di Diderot e D'Alembert, nella stamperia Coltellini ricavata nel vecchio Bagno dei forzati[35].
Tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento la città subì l'assedio delle truppe francesi, capeggiate da Napoleone Bonaparte, degli spagnoli e degli inglesi. Durante l'occupazione francese, alcune opere d'arte presero la via della Francia[36] a causa delle spoliazioni napoleoniche. Secondo il catalogo pubblicato nel Bulletin de la Société de l'art français del 1936[37], da Livorno i francesi prelevarono una sola opera d'arte per inviarla in Francia nel luglio 1796, ma questa non fece mai ritorno in Italia dopo il Congresso di Vienna.
La Restaurazione e il ritorno al potere dei Lorena con Ferdinando III e poi Leopoldo II, permise la realizzazione di grandi opere pubbliche, come il completamento dell'acquedotto di Colognole, mentre le fortificazioni medicee furono in gran parte smantellate per far posto a eleganti palazzi della borghesia livornese. All'epoca, l'importanza internazionale del suo porto si rilevava anche dalle numerose rappresentanze diplomatiche e consolari in città, qualificate da importanti personaggi non estranei alla storia livornese: per esempio Grabau per Hannover, Anversa, Brema e Lubecca, Binda per gli Stati Uniti, Tausch per l'Austria, Gebhard per la Baviera, Mac Bean per la Gran Bretagna, Tossizza per la Grecia, Appelius per la Prussia, De Yough per i Paesi Bassi, Stub per la Svezia e Norvegia, Feher per la Svizzera[38].
I moti rivoluzionari del 1849 precedettero di pochi anni la definitiva annessione del Granducato di Toscana al Regno d'Italia. Nel 1868, con l'unità d'Italia, furono abolite le franchigie doganali di Livorno, che porteranno a un drastico calo delle attività commerciali e dei traffici marittimi, ma la successiva fondazione del Cantiere navale Orlando diede avvio a un esteso processo di industrializzazione[39]. Sul finire del medesimo secolo, il prestigio della città, ormai prossima ai 100 000 abitanti, fu sancito dall'istituzione della celebre Accademia navale, che andò a occupare l'area del Lazzaretto di San Jacopo, estendendosi in seguito anche sull'adiacente Lazzaretto di San Leopoldo.
Livorno fu spesso all'avanguardia nella realizzazione di nuove tecnologie, come per esempio l'inaugurazione nel 1844 di una delle prime ferrovie italiane (la linea Leopolda che collegava la città a Pisa e Firenze in poco più di tre ore), nel 1847 l'installazione della prima linea telegrafica che la collegava con Pisa, la linea telefonica attivata nel 1881; inoltre nel 1888 fu aperta, in via Paolo Emilio Demi, la centrale elettrica (la quarta in Italia, poi di fatto sostituita dalla Centrale termoelettrica Marzocco, aperta nel 1907), nel 1889 i primi lampioni pubblici elettrici, nell'estate del 1896 si proiettò uno dei primi spettacoli cinematografici italiani all'"Eden" (attuale Terrazza Mascagni), nel 1899 entrò in funzione presso gli Spedali di Sant'Antonio il primo apparecchio a raggi X, nel 1903 l'illuminazione pubblica a incandescenza elettrica e infine dal 1906 la pavimentazione bituminosa per le strade[40].
Gli inizi del XX secolo portarono a un fiorire di numerosi progetti architettonici e urbanistici: dagli stabilimenti termali e balneari, che avevano fatto di Livorno una delle mete turistiche più note sin dalla prima metà dell'Ottocento, alla nuova stazione ferroviaria della linea Livorno - Cecina sino ai piani di risanamento del centro. Poco prima dell'avvento del fascismo Livorno fu teatro della fondazione del Partito Comunista Italiano (1921), a seguito della scissione della corrente di estrema sinistra dal PSI al suo XVII Congresso.
L'affermazione del fascismo e l'ascesa politica di Costanzo Ciano portarono alla realizzazione di grandi opere pubbliche e industriali (nuovo ospedale, impianti Stanic, Terrazza del lungomare, ecc.), all'ampliamento dei confini provinciali e, al contempo, all'ideazione di massicci piani di sventramento per la città, che mutarono parte dell'antico assetto urbanistico, e alla proliferazione di quartieri dormitorio[41].
Lo scoppio della seconda guerra mondiale e i successivi bombardamenti alleati causarono la distruzione di gran parte della città storica e la morte di numerosi civili: ingenti danni si registrarono anche nelle aree industriali e portuali, che furono tra i principali obiettivi delle incursioni aeree. La città subì circa novanta incursioni aeree con conseguenti bombardamenti, tra questi quelli più gravi per danni provocati alla popolazione, edifici e impianti industriali furono: 28 maggio 1943 (distruzioni del porto industriale e Stazione Marittima, area Stanic, quartiere Venezia, aree limitrofe al Voltone, fortezze), 28 giugno 1943 (stessi obiettivi e Stazione, lungomare e Accademia navale), 25 luglio 1943 (Voltone, quartiere industriale di Torretta), 14 aprile 1944 (Stazione e quartiere circostante, linea ferroviaria), 19 maggio 1944 (completa distruzione del centro storico), 7 giugno 1944 (completa distruzione dell'area industriale). La città fu liberata dall'occupazione tedesca dagli americani che vi entrarono tra il 18 e il 19 luglio 1944.
La ricostruzione postbellica durò molti anni: lo sminamento di alcune zone del centro cittadino terminò solo negli anni cinquanta, mentre la cinquecentesca Fortezza Nuova ospitò baracche di sfollati fino agli anni sessanta. Livorno acquistò il volto di una città moderna e fortemente industrializzata, tuttavia il successivo disimpegno della partecipazione pubblica nei grandi centri industriali ha portato a uno spostamento del baricentro economico dall'industria pesante alle piccole e medie imprese e al terziario.
Lo stemma del Comune di Livorno si rifà a uno più antico mostrante una torre in mezzo al mare e sormontato dalla lettera capitale latina "L". Nel 1605 il granduca di Toscana Ferdinando I de' Medici concesse lo stemma attuale (riconosciuto poi con decreto del capo del governo del 19 settembre 1929)[42], mentre il 19 marzo 1606 la elevò al rango di città.[43]
La "liburna" dei Romani, dalla quale potrebbe derivare il nome della città, era un'imbarcazione (brigantino o feluca): alcuni asseriscono che il primitivo stemma della città mostrava detta imbarcazione in luogo della fortezza.
La parola "FIDES" pare una concessione della Repubblica fiorentina a ricordo della fedeltà di Livorno contro l'armata che l'assediò nel 1496 guidata dall'imperatore Massimiliano con Venezia e Genova alleate.
Il gonfalone è un drappo di rosso.
La città di Livorno è la XIX tra le XXVII città decorate con Medaglia d'Oro come "Benemerite del Risorgimento nazionale" per le azioni altamente patriottiche compiute dalla città nel periodo del Risorgimento. Periodo, definito dalla Casa Savoia, compreso tra i moti insurrezionali del 1848 e la fine della prima guerra mondiale nel 1918.
Dopo le distruzioni subite nel corso della seconda guerra mondiale e le successive mutilazioni inflitte alla città con la ricostruzione, Livorno ha perso gran parte del suo retaggio storico, anche se resistono vestigia delle sue varie fasi, soprattutto del periodo tardobarocco e neoclassico.
Il complesso nel quale è sostanzialmente racchiusa la storia della città è la cinquecentesca Fortezza Vecchia, al cui interno sono ancora individuabili insediamenti risalenti al passaggio dall'Età del bronzo all'Età del ferro, reperti di epoca etrusca e romana[46], nonché consistenti testimonianze del periodo medievale, come il torrione cilindrico e i resti delle fortificazioni pisane. Nell'area portuale non mancano poi vestigia dell'antico Porto Pisano, un tempo caratterizzato da numerosi torri, come il Fanale e quella, ormai ridotta a un rudere, della Maltarchiata. In ogni caso, impianti medievali si riscontrano anche nella cappella di Santo Stefano ai Lupi, nella chiesa di San Martino di Salviano e nella Pieve di Sant'Andrea a Limone.
Il Quattrocento, che segnò l'inizio del dominio fiorentino, coincise con la costruzione della Torre del Marzocco, nella cui architettura è possibile cogliere un riferimento alla Torre dei Venti di Atene. Tuttavia, fu solo sul finire del XVI secolo che il modesto insediamento livornese fu trasformato, per volere dei Medici, in una dinamica città portuale, caratterizzata da un impianto urbanistico regolare, chiuso entro un pentagono fortificato. Ai primi interventi tardorinascimentali, come il Palazzo Mediceo, si affiancarono edifici improntati alla ricerca di un'estrema funzionalità. La fitta maglia viaria si apriva in corrispondenza della centralissima piazza Grande, la quale ispirò l'architetto Inigo Jones nella concezione del Covent Garden di Londra. A margine della piazza, contornato dai portici speculari del Pieroni, fu costruito il duomo, a navata unica, con soffitto ligneo ornato con tele del Possagnano e Jacopo Chimenti.
La città medicea, disegnata da Bernardo Buontalenti, era caratterizzata da imponenti fortificazioni delimitate da un fosso circondario; a nord della città, partendo dalla preesistente Fortezza Vecchia, le mura si estendevano fino alla possente Fortezza Nuova, che costituisce ancora oggi uno dei complessi architettonici di maggior interesse di Livorno. All'esterno della cortina muraria, dinnanzi al porto mediceo, all'inizio del Seicento fu innalzato il Monumento dei Quattro mori, una notevole opera di Giovanni Bandini e Pietro Tacca destinata a omaggiare il granduca Ferdinando I de' Medici.
Al contempo la promulgazione delle Leggi Livornine favorì il sorgere di numerosi luoghi di culto e cimiteri nazionali. Durante il periodo mediceo si ricordano, per esempio, la Sinagoga, tra le maggiori d'Europa, la chiesa dei Greci Uniti, caratterizzata da una notevole iconostasi, la chiesa della Madonna, con gli altari di quattro gruppi nazionali, nonché quella armena, con cupola rivestita in lamine di piombo. Tra i cimiteri merita di essere ricordato il cimitero degli inglesi di via Verdi, che risulta il più antico cimitero acattolico-protestante d'Italia e il più antico, ancora esistente, nel bacino del Mediterraneo[47].
In architettura i semplici modelli architettonici del XVI secolo sopravvissero per tutto il Seicento. Solo nel Settecento si affermarono i gusti tardobarocchi, riscontrabili nel Santuario di Montenero e nel quartiere della Venezia Nuova, dove sorsero la chiesa a pianta longitudinale di San Ferdinando (che ospita sculture di Giovanni Baratta) e quella centralizzata di Santa Caterina (dove in seguito fu collocata una pala del Vasari); tra gli edifici residenziali sono da segnalare il Palazzo Huigens e il vicino Palazzo delle Colonne di marmo, entrambi posti lungo la direttrice della via Borra. Particolarmente attivo all'inizio del secolo fu l'architetto e scultore Giovan Battista Foggini, artefice non solo di interventi in diverse fabbriche civili, religiose e militari, ma anche autore dello scenografico monumento funebre a Marco Alessandro del Borro all'interno del duomo.
La politica illuminata dei granduchi di Toscana e il clima di reciproca tolleranza tra le varie comunità nazionali presenti all'interno del porto franco, gettarono le basi per la costruzione della prima chiesa acattolica di tutta la Toscana (la chiesa greco-ortodossa della Santissima Trinità, distrutta)[48], nonché per l'apertura di importanti librerie, tipografie e prestigiosi teatri; qui per esempio fu pubblicata la terza edizione dell'Encyclopédie, mentre numerosi letterati, come Tobias Smollett o Carlo Goldoni, soggiornarono nelle ville sorte nelle amene località intorno a Livorno.
L'Ottocento vide l'affermazione del neoclassicismo: uno dei primi esempi, in architettura, fu il Teatro San Marco (1806, con pitture di Luigi Ademollo), al quale fece seguito una serie di spazi teatrali e arene per spettacoli diurni; tra questi spicca il Teatro Goldoni, dove architettura e ingegneria si fusero per dar vita a una caratteristica e funzionale copertura vetrata della sala. Nella prima metà del medesimo secolo architetti quali Alessandro Gherardesca, Luigi de Cambray Digny, Pasquale Poccianti, Gaetano Gherardi, Giuseppe Cappellini, Angiolo della Valle e Luigi Bettarini contribuirono all'edificazione di acquedotti, chiese, palazzi, piazze di stampo neoclassico o neorinascimentale, che, nel contesto della cosiddetta Livorno polytéchnique[49], mutarono completamente l'aspetto dell'antica città buontalentiana e dei suoi sobborghi. Tra le opere innalzate si ricordano, per esempio, l'imponente chiesa del Soccorso, i Bagnetti della Puzzolente, la Pia Casa di Lavoro, il nucleo originario della Stazione di Livorno San Marco, la sistemazione dell'odierna piazza Cavour, il Palazzo de Larderel e la nuova cinta daziaria, di Alessandro Manetti e Carlo Reishammer, che delimitava l'area soggetta a porto franco. In ogni caso l'edificio che meglio rappresenta l'Ottocento livornese è il Cisternone, che Pasquale Poccianti completò tra il 1829 e il 1842 con chiari riferimenti all'architettura termale romana, al Pantheon e all'architettura rivoluzionaria di Étienne-Louis Boullée e Claude-Nicolas Ledoux. Tra le piazze l'intervento di maggior rilievo è la copertura del Fosso Reale con la creazione della piazza dei Granduchi (oggi piazza della Repubblica), dove furono erette le statue dei granduchi lorenesi; tra esse pregevole era il monumento a Leopoldo II, di Paolo Emilio Demi, che tuttavia fu danneggiato nel 1849 e sostituito con una seconda statua eseguita da Emilio Santarelli alcuni anni più tardi.
Con l'unità d'Italia alcune delle principali piazze della città furono quindi adornate con grandi statue raffiguranti i principali artefici del Risorgimento: Vincenzo Cerri realizzò il monumento a Cavour, mentre il più noto Augusto Rivalta fu incaricato di eseguire la statua marmorea di Garibaldi e il monumento equestre a Vittorio Emanuele II in piazza Grande. Tra le prime architetture di rilievo dopo l'unificazione, occorre ricordare il neogotico Tempio della Congregazione olandese alemanna, di fronte al quale, alcuni anni dopo, sorse il grande Mercato delle vettovaglie. Al turismo balneare ottocentesco è invece legata la costruzione dell'Hotel Palazzo e la costruzione di una serie di infrastrutture per la villeggiatura in cui ancor oggi si avvertono gli echi di una lontana Belle Époque.
Il XX secolo, aperto con le opere vagamente Liberty di Angiolo Badaloni (come lo Stabilimento termale Acque della Salute, vicino al quale nel 1910 fu inaugurata l'elegante Stazione Centrale, pure con influenze floreali) e altri progettisti minori (autori di numerosi villini nei dintorni della città), si indirizzò, negli anni che precedettero la seconda guerra mondiale, sulla costruzione di strutture eclettiche (per esempio il Palazzo della Galleria e, per certi versi, anche il nuovo complesso degli Spedali Riuniti) e di stampo più razionalista (come il Palazzo del Governo), ma il faraonico Mausoleo della famiglia Ciano, che avrebbe dovuto dominare Livorno dal colle Monteburrone, non fu mai portato a termine.
Gli eventi bellici causarono ingenti danni al centro cittadino; la ricostruzione, ispirata alle proposte urbanistiche presentate già prima della guerra, portò a un parziale stravolgimento dell'assetto della città e alla costruzione del controverso Palazzo Grande, opera di Luigi Vagnetti. Nei successivi anni sessanta si registra la costruzione di due importanti edifici: la nuova Sinagoga e il Grattacielo di piazza Matteotti, opera rispettivamente di Angelo Di Castro e di Giovanni Michelucci.
Livorno, che alla fine del XIX secolo contava circa 100 000 abitanti ed era l'undicesima città d'Italia e la seconda della Toscana per popolazione[52], negli ultimi decenni, dopo aver oltrepassato la soglia dei 175 000 abitanti, è andata incontro a un sensibile decremento del numero di abitanti, scendendo sotto le 160 000 unità.
Abitanti censiti[53]
Secondo i dati ISTAT al 31 dicembre 2020 la popolazione di Livorno è per circa il 92,3% di cittadinanza italiana. La popolazione straniera residente ammontava a 12 329 persone, pari al 7,7% del totale dei residenti. In analogia con il dato medio toscano prevalevano i cittadini dei Paesi dell'Europa orientale. Di seguito sono riportati i dieci gruppi più consistenti:[54]
Storicamente il cosmopolitismo ha rappresentato una caratteristica importante della società livornese. La Costituzione Livornina del 1593 incoraggiò l'afflusso in città di «Levantini, Ponentini, Spagnuoli, Portoghesi, Greci, Todeschi, ed Italiani, Hebrei, Turchi, Mori, Armeni, Persiani, et altri Stati»[55], caratterizzando fortemente l'immagine di quella che è stata spesso definita la "Livorno delle Nazioni". Nel corso dei secoli infatti queste leggi, insieme con la crescente importanza del suo porto, conferirono a Livorno le caratteristiche di città multirazziale e multireligiosa, favorendo la costituzione in città di numerose "Nazioni" di mercanti e operatori economici stabilmente residenti. Il termine "Nazioni" ha incluso nel tempo anche le diverse comunità religiose.
Nel 1601 gli ebrei erano 114; mezzo secolo dopo ammontavano già a 3.300 e nel 1808 erano quasi 5.000, tanto che Johann Caspar, padre del celebre Johann Wolfgang von Goethe, definì Livorno il Paradiso degli ebrei[56]. A differenza delle altre comunità, gli ebrei erano riconosciuti sudditi toscani, sia pure con leggi e giurisdizione a parte (legge talmudica), particolarmente tutelati rispetto alle altre comunità. La loro presenza non portò alla formazione di un ghetto separato dal resto della città. La comunità, che oggi si attesta su settecento persone, lasciò segni importanti della propria presenza a partire dalla grande Sinagoga; disponevano inoltre di numerosi cimiteri e istituirono il primo monte di pietà.
Sul finire del XVI secolo comunità greco-cattoliche (di rito bizantino) dai Balcani, prettamente albanesi[57], fondarono un primo nucleo nei pressi della chiesa di San Jacopo in Acquaviva. Erano specializzati nella marineria e tra il 1601 e il 1606 costruirono la loro chiesa greco-cattolica della Santissima Annunziata. Dal Settecento giunsero a Livorno altri albanesi "graeci ritus" dell'Epiro e dalla Morea, così come in diversa misura slavi e greci di varia provenienza, che però si differenziarono dai precedenti connazionali cristiano-orientali edificando la chiesa ortodossa della Santissima Trinità di rito ortodosso non unito. Gli ortodossi, circa 200 persone, esclusero dalla comunità tutti coloro che avevano mogli o figli non ortodossi, ma la misura non impedì una lenta integrazione con gli italiani[58]. La comunità, riunita dall'aspetto religioso ma non da quello linguistico di origine perché di varia provenienza balcanica[59], fu a lungo chiamata e definita "greca" fino ai tempi recenti, in virtù appunto del rito religioso orientale professato nella koinè, in contrapposizione della comunità locale italiana "latina" di rito romano-cattolico.
Sin dal XVII secolo, con l'affermazione di Livorno (Leghorn, nome con il quale viene indicata occasionalmente, ancor oggi, la città in lingua inglese) quale emporio del Mediterraneo, notevole fu l'affluenza britannica. Nel Seicento Livorno era già la principale base commerciale inglese nel Mediterraneo occidentale[60], nonché punto di riferimento per la flotta da guerra, attiva sia in scorta alle navi mercantili sia nelle spedizioni contro i pirati barbareschi[61]. Un secolo più tardi, intorno al 1750, la comunità contava circa 500 persone che costituivano di fatto una British Factory dalle molteplici funzioni; la British Factory in particolare costituiva una sorta di Camera di Commercio del consolato, un gruppo religioso tenuto insieme dalla comune fede protestante, una società di assistenza e beneficenza e molto altro[62]. La comunità era la più numerosa e attiva dopo quella ebraica, dando un grosso contributo all'economia cittadina. Lo stesso Consiglio di Reggenza fiorentino chiedeva ai consoli britannici consigli e pareri sull'economia marittima della città. La ricchezza dei suoi mercanti è testimoniata dalle numerose e sontuose ville suburbane: è il caso di Villa Gower, situata nella frazione di Castellaccio, di Villa Henderson, Villa Jermy[63], e altre. Senza trascurare la presenza di eminenti personalità della cultura britannica del tempo come Tobias Smollett, Percy Bysshe Shelley e George Gordon Byron. Nell'Ottocento gli inglesi (ma più in generale gli acattolici di varie nazionalità, compresi gli statunitensi) avevano due cimiteri (il vecchio cimitero inglese di via Verdi, chiuso ufficialmente alla fine del 1839, e il nuovo di via Pera) e una chiesa anglicana, mentre gli scozzesi, che ebbero la loro figura di riferimento in Robert Walter Stewart[64], innalzarono la loro chiesa presbiteriana (ora dei valdesi) e successivamente il Seamen's Institute (distrutto durante la seconda guerra mondiale).
Al Seicento risale anche il primo statuto della Nazione Olandese-Alemanna, successivamente nota come Congregazione Olandese-Alemanna, i cui membri erano presenti a Livorno soprattutto per il fiorente dinamismo commerciale della città. La comunità era inizialmente cattolica, ma nel tempo la componente protestante aumentò sensibilmente anche per l'ingresso di tedeschi e svizzeri. Nel 1832 la "Nazione Olandese-Alemanna" contava 25 membri, con due soli olandesi, mentre il resto era formato soprattutto da svizzeri e bavaresi. I principali segni della loro presenza sono il cimitero di via Mastacchi, costruito in sostituzione di una precedente area cimiteriale oggi scomparsa, e il neogotico Tempio della Congregazione olandese alemanna, oggi in completa rovina[65]. Ancora oggi vi sono numerosi discendenti dalle famiglie di tale comunità (Mayer, Kotzian, Dalgas, Dieterich, Heusch e altri).
Non mancavano poi i francesi, la cui presenza però era meno avvertita in quanto essi erano di religione cattolica. Infatti, il principale punto di riferimento della comunità divenne la chiesa della Madonna, dove era presente un altare intitolato a San Luigi. Flussi francesi si ebbero anche all'epoca della Rivoluzione francese; personalità di spicco fu François Jacques de Larderel, imprenditore originario di Vienne, che avviò lo sfruttamento industriale dei soffioni boraciferi delle Colline Metallifere[66].
I portoghesi giunti in città disponevano di un altare nella chiesa della Madonna, dove fu posta una statua lignea della Madonna sottratta ai pirati saraceni (ora collocata presso l'altare maggiore) che in seguito fu però sostituita da quella di Sant'Antonio di Padova. Da questo altare, ogni 13 giugno, ricorrenza di sant'Antonio, i membri della comunità portavano in processione la statua per le vie del centro[67].
La maggior parte degli armeni, che nel 1689 erano circa 70[68] e vestivano con caratteristici turbanti, era cattolica; nel 1701 ebbero il permesso di edificare la propria chiesa nazionale, oggi trasformata in un centro interculturale dopo le distruzioni subite nel corso della seconda guerra mondiale. I resti mortali recuperati nelle tombe della distrutta chiesa furono inumati presso il cimitero della Misericordia[69]. Disponevano anche di un cimitero, del quale non restano più tracce.
Altre presenze importanti furono quelle dei maroniti, che dal 1888 ebbero una cappella in via Mangini, e dei turchi. I maroniti e i cattolici orientali di lingua araba, prima di trasferirsi in via Mangini, parteciparono alla costruzione della prima cappella a destra dell'ingresso della chiesa di Santa Caterina dei Domenicani. Era dedicata con l'altare a San Tommaso d'Aquino il cui trionfo fu dipinto in alto. Con approvazione sovrana del 1755 fu autorizzata per le loro celebrazioni. Invece gli ottomani, catturati durante le battaglie navali, erano detenuti nel Bagno dei forzati. All'interno del Bagno avevano una stanza adibita a piccola moschea sotto la direzione del loro ministro detto "Coggia". Nel 1689 erano 845, avevano diritto a un vestito nuovo all'anno, "tre pani al giorno con sue minestre", e, in caso di gravi malattie, di essere curati all'ospedale del Bagno. Avevano inoltre una serie di botteghe fuori dal Bagno e potevano vendere l'acqua o prestare la loro attività in qualità di facchini. Successivamente affluirono a Livorno numerosi mercanti ottomani che ebbero l'autorizzazione ad aprire un proprio cimitero all'attuale largo Bellavista, dal 1780 circondato da un caratteristico muro merlato e dipinto di rosso, fino alla sua soppressione con la costruzione del nuovo lungomare. La presenza della comunità musulmana è ancora oggi attestata da alcune lapidi sepolcrali sormontate da una mezzaluna nel cimitero comunale dei Lupi[70].
Livorno vanta una lunga e forte relazione con la nazione corsa: basti pensare al fatto che la santa patrona della città, Santa Giulia, è corsa. I primi documenti di una loro presenza nella città portuale medicea risalgono ai primi anni del Seicento. Tuttavia, essendo sudditi di Genova non potevano essere riconosciuti formalmente come effettiva nazione. La loro presenza è testimoniata dall'erezione dell'altare di San Giovanni Evangelista (1630) nella chiesa della Madonna con una tela commissionata al Curradi. Nel 1766 un loro membro, il capitano Santi Mattei, in occasione della rivolta isolana contro Genova, chiese al governo toscano il riconoscimento ufficiale della nazione corsa, rivendicando la sua funzione di console. Molte famiglie discendono da tale comunità (Lorenzi, Mattei, D'Angelo, Manfredini, Di Santi, Morazzani, Cardi, Franceschi)[71].
I rapporti della repubblica di Ragusa con Pisa e la Toscana sono antichissimi. Così anche a Livorno si costituisce una propria comunità a tutela dei propri interessi commerciali. Ne è documentato il suo primo console nel 1517. Grazie alla sua neutralità e alla sua sudditanza dell'Impero ottomano, le sue navi erano esenti dagli attacchi delle varie potenze belligeranti che si contendevano il primato nel Mediterraneo. I Ragusei da Livorno, aprirono nuove rotte commerciali per l'Inghilterra e il Nord America, dando a nolo le proprie navi ai commercianti livornesi, toscani ed ebrei, specie per il commercio con il Levante.[72] Tra le famiglie legate alla comunità ragusea merita di essere ricordata la famiglia Mimbelli, originaria di Sabbioncello (oggi Orebic), che nella seconda metà dell'Ottocento fece erigere una villa alle porte meridionali della città[73].
A cavallo tra i secoli XVIII e XIX gli idiomi parlati a Livorno erano i seguenti: latino (lingua rituale della chiesa cattolica romana e in parte ancora lingua di cultura), italiano, napoletano e siciliano (parlati dai pescatori), dialetti lombardi (bergamasco, valtellinese e ticinese: parlati dai membri della Compagnia dei Facchini della Dogana), gerghi professionali (pescatori, barcaioli, facchini), corso, francese, portoghese (parlato sia da cattolici sia da ebrei), ebraico (lingua rituale della comunità ebraica), giudeo-portoghese e giudeo-spagnolo, ladino (un giudeo-spagnolo calcato sull'ebraico), bagitto (il gergo giudeo-livornese), lingua franca, greco antico (già lingua rituale della comunità greco-cattolica e ortodossa), albanese (lingua madre di buona parte della ex-comunità greco-cattolica, arabo (parlato dai cattolici melchiti, dai cristiani maroniti e da arabi musulmani), siriaco, armeno, russo, inglese, tedesco, olandese, turco, romeno[74].
Il vernacolo livornese è fondamentalmente una variante del toscano parlato nelle province di Pisa e Livorno, che si discosta dal resto dei dialetti toscani per certi tratti tipici della pronuncia, i più appariscenti dei quali sono alcune realizzazioni molto aperte delle vocali medie e la /k/ scempia intervocalica che viene completamente omessa (e non soltanto aspirata, come accade nella maggior parte delle parlate toscane), mentre quella doppia rimane tale. Per esempio la frase "la mia casa" è pronunciata in livornese [lami'aːsa], mentre invece la frase "vado a casa" rimane tale perché nella pronuncia livornese, come in italiano, è presente il raddoppiamento fonosintattico [ˌvɔakˈkaːsa]; anche in una frase come "Il cane abbaia" la /k/ conserva la realizzazione occlusiva [k] perché non è intervocalica[75].
Del tutto peculiare è anche la frequente interiezione dé, da non confondere con il "deh" esortativo italiano, ormai desueto. Al contrario, il "dé" livornese è praticamente onnipresente, e può assumere un vasto spettro di significati, spesso decodificabili solo mediante l'intonazione. Può assumere il significato di rafforzativo di un concetto, oppure semplicemente di risposta affermativa a domanda retorica. Assieme al "dé" spesso troviamo il termine "boia", che viene usato come esclamazione ("Boiadé")[76].
Inoltre, il lessico contiene tracce (vocaboli e locuzioni) di alcune delle numerose lingue parlate dalle comunità ospitate da Livorno attraverso i secoli: per esempio talvolta i piedi vengono detti "le fétte" parafrasando alla buona il vocabolo inglese "feet", tale interpretazione deriva dal periodo della seconda guerra mondiale, in quanto i soldati americani presenti a Livorno utilizzavano l'inglese per parlare con i livornesi, conoscendo solo poche parole di italiano. Ad esempio, per dire "Hai i piedi grandi" si può sentir dire "Ciai dù fètte paiono zattere". E a tal proposito la grafìa livornese corretta "ci hai" e "ci hanno" sarà sempre "ciai" (pron. ciài) e "cianno" (pron. ciànno), mai "c'hai", che equivale foneticamente a "kai". Altro esempio di storpiatura postbellica rimasta nel livornese è quella dei cartelli con su scritto "no trespassing" (non oltrepassare) ad argine delle zone minate del centro. Ancora ai giorni nostri si usa la locuzione "lèvati da tre passi" per invitare qualcuno ad andare a quel paese o più semplicemente a spostarsi. Qualcuno richiama anche l'espressione angloamericana "Oh, boy", indicante stupore, come origine della livornese "O boia", analoga alla celebre "Boiadé". Dallo spagnolo "rosco" (rotondo) proviene la denominazione delle "roschette", sorta di taralli preparati con acqua, farina, olio (talvolta burro) e sale, chiamate così per via della loro forma circolare. Va anche notata la presenza, in seno alla numerosa presenza ebraica, del bagitto, ormai però relegato ai pochi che ne conservano ricordo. Uno dei vocaboli più usati, ricollegabile a tale matrice, è la parola "gadollo", a indicare persona grassa od obesa.
Altra particolarità, stavolta retorica, è l'uso di una forma di ironia che consiste nell'uso di locuzioni iperboliche con una determinata intonazione, per significare l'esatto opposto: per esempio "e sei parigino!", per intendere che l'interlocutore è tutt'altro che proveniente da Parigi (città dell'eleganza e del buon gusto per antonomasia). Inoltre la lettera "l" in molti casi viene pronunciata "r", per esempio al (ar), nel (ner), il (ir), del (der) oppure albero (arbero), soldi (sordi), dolce (dorce), anche per i nomi e cognomi vige la stessa regola, esempio: Silvio (Sirvio), Alfio (Arfio), Alfano (Arfano) ecc.
Grande rappresentanza del vernacolo livornese viene data anche dal Vernacoliere, mensile di satira politica/sociale diretto da Mario Cardinali, che include varie rubriche di attualità, vignette, fumetti, posta dei lettori tutte (o quasi) rigorosamente in vernacolo livornese. Il mensile non solo è apprezzato e diffuso a livello locale, ma è seguito da appassionati del genere in tutta Italia[77].
Livorno, città di antiche tradizioni nell'ambito della stampa e dell'editoria, ospita una grande biblioteca pubblica in cui sono conservati volumi di notevole importanza, come l'edizione livornese dell'Encyclopédie e alcuni manoscritti di Ugo Foscolo; inoltre, presso il fondo Bastogi, sono conservati 60.000 autografi di personalità di rilievo, quali Giacomo Leopardi e Galileo Galilei.[78] La Biblioteca Labronica è suddivisa in diverse sedi:
Sono inoltre presenti biblioteche presso le strutture museali (per esempio nel Museo di storia naturale del Mediterraneo), nella sede della fondazione L.E.M. (Livorno Euro Mediterranea), nel Seminario Gavi, in alcune circoscrizioni cittadine (in particolare la Biblioteca Igiene e Sanità pubblica della Circoscrizione IV), nell'Archivio di Stato e in alcuni istituti scolastici.[79]
A Livorno ha sede il Centro Interuniversitario di Biologia Marina ed Ecologia Applicata "Guido Bacci", un consorzio fondato nel 1967 dal Comune di Livorno e dalle Università degli Studi di Bologna, Firenze, Modena, Pisa, Siena e Torino. Il Centro svolge attività scientifica e di ricerca nel settore delle scienze marine e ambientali.[80]
Dal 2009 i locali dello Scoglio della Regina ospitano il Centro di Ricerca sulle Tecnologie per il mare e la Robotica Marina, emanazione dei laboratori di robotica avanzata e di micro e nanoingegneria della Scuola Superiore Sant'Anna nel Polo Sant'Anna Valdera di Pontedera. Questo settore della biorobotica è una nuova area scientifico-tecnologica di cui i ricercatori della Scuola Sant'Anna sono stati fra i fondatori a livello internazionale.[81]
Tra le scuole superiori cittadine si ricordano lo storico liceo classico Niccolini Guerrazzi (successivamente Istituto Statale di Istruzione Superiore Niccolini-Palli), in cui hanno insegnato, tra gli altri, il poeta Giovanni Pascoli e il Presidente emerito della Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi, il polo liceale Francesco Cecioni e il liceo scientifico statale Federigo Enriques. Per quanto concerne l'istruzione tecnica e professionale, accanto all'Istituto Tecnico Industriale, a quello Tecnico settore Economico, a quello Tecnico settore Tecnologico e a quello per Industria e Artigianato, da segnalare la presenza di un istituto nautico, che sottolinea la tradizione marinara della città.
La principale istituzione universitaria presente a Livorno è l'Accademia navale, un ente universitario militare che si occupa della formazione tecnica e della preparazione militare degli Ufficiali della Marina Militare.
Inoltre, l'Università di Pisa organizza presso la sede distaccata di Livorno il corso di laurea triennale in "Economia e legislazione dei sistemi logistici".
A Livorno è presente infine l'Istituto Superiore di Studi Musicali Pietro Mascagni, già pareggiato ai conservatori di Stato ed entrato nel settore dell'alta formazione artistica e musicale (AFAM) in base alla legge 508 del 1999.
«Il libeccio soffia impetuoso travolgendo tutto ciò che incontra; il mare azzurro in tempesta, gli esili tronchi degli arbusti impotenti davanti a cotanta potenza della natura e là, tra le fredde tonalità che saltano dall'azzurro al giallo chiaro, la tamerice resiste impavida, piegata, quasi spezzata dalle raffiche di vento.»
Con questa immagine Livorno è nota attraverso l'opera di uno dei più importanti pittori dell'Ottocento italiano: Giovanni Fattori, maestro della corrente "verista" dei Macchiaioli nata a Firenze intorno agli anni sessanta dell'Ottocento e sviluppatasi sulla costa labronica proprio nel periodo in cui nacque un altro livornese, fuggito poi a Parigi, destinato a sconvolgere l'arte europea: Amedeo Modigliani. Ne La libecciata (1880-1885), ma già ne La Rotonda dei bagni Palmieri (1866), così come in molti altri dipinti macchiaioli, Livorno è ritratta con la sua luce accecante resa visivamente, secondo le teorie della macchia, con un contrasto di macchie di colore e chiaroscuro ottenute attraverso la cosiddetta "tecnica dello specchio nero".
Ma la Livorno artistica non è soltanto Ottocento, Macchiaioli e Modigliani. Essendo una città portuale, ricca a partire dal XVI secolo sia di scambi commerciali sia culturali, è stata per centinaia di anni il crocevia di opere d'arte e il luogo dove molti artisti, non soltanto labronici, hanno operato chiamati a corte prima dai Medici e poi dai Lorena. Le più antiche tracce di arte pittorica ancora esistenti appartengono al Basso Medioevo e in particolare agli inizi del XIV secolo, periodo al quale risalgono sia i due santi agostiniani della chiesa di San Jacopo in Acquaviva (attribuiti, se non a Giotto stesso, quasi sicuramente alla sua bottega, oggi nel Museo diocesano Leonello Barsotti), sia la Pala di Santa Giulia presente in un'antica pieve di Livorno e oggi collocata nella Confraternita omonima.
Del secolo successivo troviamo invece il Cristo coronato di spine del Beato Angelico (proprietà della parrocchia di Santa Maria del Soccorso e oggi esposto nel Duomo), la Madonna Dantesca del Maestro della Natività di Castello (scuola di Filippo Lippi), oggi al Museo civico Giovanni Fattori, e la Pala con Santa Lucia collocata in San Giovanni.
Ma, come detto, è a partire dal finire del Cinquecento, con la nascita medicea di Livorno città-porto del Granducato di Toscana, che l'arte labronica comincia a muoversi e ad animarsi. Il Seicento vede operare importanti pittori fiorentini e toscani come Matteo Rosselli, Domenico Cresti detto Il Passignano (alla cui scuola è attribuito il dipinto della Sacra Famiglia, oggi nella chiesa di Santa Caterina, e di parte delle tele sul soffitto del Duomo insieme con Jacopo Chimenti) e il pisano Pietro Ciafferi, autore con Filippo Franchini (probabilmente livornese) e il perugino Agostino Tassi di alcuni degli affreschi che ornavano le facciate dei palazzi dell'attuale via Grande. Si ricorda anche Filippo Maria Galletti per i lavori nel Santuario di Montenero.
Nel Settecento la Livorno dell'Illuminismo annovera la presenza non soltanto di molti importanti artisti europei come Alessandro e Tommaso Gherardini e il francese François Riviere attivo nella chiesa degli Armeni, ma anche di alcuni celebri scultori e architetti nati in città o trapiantati a Livorno, tra cui Giovanni del Fantasia (autore per esempio della chiesa del Luogo Pio), Giovanni Baratta (scultore in varie chiese della città tra cui San Ferdinando), e Antonio Corazzi (architetto in Polonia, ricordato per alcuni edifici pubblici).
Un discorso a parte va fatto per Giuseppe Maria Terreni, nato a Livorno nel 1739, celebre pittore attivo principalmente in Toscana e autore di molte vedute di città del Granducato e di alcuni affreschi nel Santuario di Montenero e in altre chiese cittadine. Un dipinto a lui attribuito, Festa al Santuario di Montenero (1770), si trova oggi alla Albright-Knox Art Gallery di Buffalo probabilmente esportato nel Nuovo Mondo attraverso uno dei tanti scambi commerciali che il porto di Livorno intraprendeva tra Sette e Ottocento con gli Stati Uniti d'America.
Nella pittura uno dei principali artisti dell'Ottocento livornese fu Enrico Pollastrini, di cui si ricorda l'Immacolata Concezione nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo. I nomi citati sono soltanto alcuni dei molti artisti che hanno avuto contatti, diretti o indiretti, con la città labronica e la cui storia serve per dimostrare che l'arte livornese ha una tradizione radicata sin dal Cinquecento e un'eredità importante che prosegue per tutto il Novecento (Gruppo Labronico) e va oltre i Macchiaioli, con i Postmacchiaioli, tra cui Giovanni Bartolena e Ulvi Liegi (quest'ultimo vicino all'espressionismo Fauves), il Divisionismo di Plinio Nomellini, e molti altri artisti come Giulio Allori, Renato Natali e Mario Madiai che fanno della luce e dell'ispirazione labronica uno strumento di raffinatezza pittorica.
Grande importanza hanno avuto le avanguardie artistiche, che sorsero numerose nel secondo dopoguerra, tra cui si cita l'Eaismo, ideato da Voltolino Fontani. Nel dopoguerra si misero in luce artisti come Gianfranco Ferroni, Mario Nigro, Ferdinando Chevrier, Renato Spagnoli e Gianfranco Baruchello.
Prima delle distruzioni belliche del 1943 Livorno ha ospitato una decina di teatri e arene, nonché una serie di spazi teatrali minori[85]. La seconda guerra mondiale ha cancellato gran parte di questo patrimonio: infatti, i bombardamenti colpirono inesorabilmente il Teatro San Marco, il Rossini e il Teatro degli Avvalorati, mentre nei decenni successivi fu raso al suolo il grande Politeama. Oggi, dell'antico patrimonio teatrale resta solo il Goldoni, riportato agli antichi splendori dopo un lungo restauro conclusosi nel 2004.
Nel secondo dopoguerra furono tuttavia innalzate nuove strutture, come il Cinema Teatro Grande, la Gran Guardia e il Cinema Odeon, delle quali solo la prima risulta ancora in attività, sebbene sia stata riconvertita in una multisala.
Elenco teatri di Livorno:
Cinema storici chiusi a partire dagli anni Duemila:
Livorno fu scelta dai fratelli Lumière durante la loro prima tournée transalpina il 30 giugno 1896[86].
Ai primi decenni del Novecento risalgono i primi generi cinematografici narrativi e Livorno fu scelta quale sede dell'anteprima del primo film di finzione italiano: La presa di Roma, di Filoteo Alberini (1905)[87]; la città fu scelta per il consistente numero di sale cinematografiche: al 1907 se ne contavano quindici, con una media di una sala ogni 7.163 abitanti[88].
In città fu girato il filmato che documentava il varo della corazzata Varese nel 1897, e nel 1926 Fred Niblo