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MIAR

movimento di architetti italiani Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

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Il Movimento italiano per l'architettura razionale (MIAR) è stato un movimento che comprendeva una cinquantina di architetti, formatosi dopo la I Esposizione italiana di architettura razionale organizzata a Roma nel 1928 da Adalberto Libera e Gaetano Minnucci.[1]

Disambiguazione – Se stai cercando il database bibliografico, vedi MIAR (editoria).

Promotori dell'architettura moderna in Italia, tra i vari architetti che aderirono al MIAR vi furono i membri del collettivo milanese del Gruppo 7, che ne furono i principali artefici, Alberto Sartoris, Pietro Aschieri, Gino Cancellotti, Giuseppe Capponi e Mario Ridolfi della scuola romana, Gino Levi-Montalcini e Umberto Cuzzi della scuola torinese e Mario Labò della scuola genovese.[1]

Nel 1931 venne organizzata da Pietro Maria Bardi la II Esposizione dell'architettura razionale, inaugurata da Mussolini nella sua Galleria d'arte di Roma. Questa seconda esposizione suscitò una vivace polemica con i tradizionalisti: ad alimentare questo scontro contribuì la Tavola degli orrori, fotomontaggio che con sarcasmo rappresentava la "vecchia" Italia, in cui a brani di romanzi e giornali dell'epoca, cartoline e fotografie del 1860, erano accostate le opere architettoniche pseudoclassiche e pseudobarocche di Armando Brasini, Cesare Bazzani, Gustavo Giovannoni, e pseudomoderne di Marcello Piacentini.

Il tentativo di mediazione sulla base del concetto di stile, svuotando il Movimento Moderno dei caratteri di impegno sociale e di trasformazione dell'ambiente costruito, a favore di un esplicito richiamo e identificazione con i principi fascisti, fallì. Il sindacato fascista architetti ritirò l'appoggio alla mostra e contemporaneamente, per agevolare una scissione all'interno del Gruppo, fondò il RAMI (Raggruppamento architetti moderni italiani), in cui confluì parte dei membri del MIAR.[1][2][3]

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