Loading AI tools
referendum in Italia Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
I referendum abrogativi in Italia del 2009 si tennero il 21 e il 22 giugno, contestualmente ai ballottaggi per le elezioni amministrative, ed ebbero a oggetto tre distinti quesiti, diretti ad abrogare specifiche disposizioni della legge elettorale (contenuta nella legge 21 dicembre 2005, n. 270, recante "Modifiche alle norme per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica")[1].
Referendum abrogativi in Italia del 2009 | |||||||||||
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Stato | Italia | ||||||||||
Data | 21 e 22 giugno 2009 | ||||||||||
Tipo | abrogativi | ||||||||||
Camera dei deputati - Abrogazione della possibilità di collegamento tra liste e di attribuzione del premio di maggioranza ad una coalizione di liste | |||||||||||
| |||||||||||
Quorum | non raggiunto | ||||||||||
Affluenza | 23,49 % | ||||||||||
Senato della Repubblica- Abrogazione della possibilità di collegamento tra liste e di attribuzione del premio di maggioranza ad una coalizione di liste | |||||||||||
| |||||||||||
Quorum | non raggiunto | ||||||||||
Affluenza | 23,52% | ||||||||||
Camera dei deputati - Abrogazione della possibilità per uno stesso candidato di presentare la propria candidatura in più di una circoscrizione | |||||||||||
| |||||||||||
Quorum | non raggiunto | ||||||||||
Affluenza | 24,02% |
Il primo quesito voleva abrogare tutte le norme che prevedono la possibilità per le liste concorrenti alle elezioni della Camera dei deputati di collegarsi tra loro e di essere, di conseguenza, attributarie del premio di maggioranza. Il secondo quesito voleva abrogare tutte le norme che prevedono la possibilità per le liste concorrenti alle elezioni del Senato della Repubblica di collegarsi tra loro e di essere, di conseguenza, attributarie del premio di maggioranza. Il terzo quesito aveva come scopo quello di ottenere l'abrogazione della possibilità per uno stesso candidato di presentare la propria candidatura in più di una circoscrizione alle elezioni della Camera dei deputati.
Gli elettori chiamati al voto erano 47,5 milioni, più 3 milioni di elettori all'estero. Il quorum da raggiungere per la validità della consultazione era del 50% degli aventi diritto più uno (circa 25 milioni).
Vista la bassa affluenza alle urne per tutti e tre i quesiti (attestatisi al 23,31% i primi due, e al 23,84% il terzo), i referendum sono stati dichiarati non validi.
Nel 2007 un gruppo di promotori, tra cui spiccano i nomi di Mario Segni e Giovanni Guzzetta raccolsero le firme necessarie per proporre un referendum, che abrogasse alcune parti della legge elettorale (come già era accaduto in occasione del referendum del 1993, prima del Mattarellum).
Il Comitato referendario era composto da intellettuali (Michele Ainis, poi distaccatosene[2], Augusto Antonio Barbera, Gianfranco Pasquino, Angelo Panebianco) e da politici di entrambi gli schieramenti (Gianni Alemanno, Angelino Alfano, Mercedes Bresso, Riccardo Illy, Renato Brunetta, Antonio Martino, Giovanna Melandri, Arturo Parisi, Daniele Capezzone, Stefania Prestigiacomo, Gaetano Quagliariello, Giorgio Tonini, Salvatore Vassallo).
La raccolta delle firme ha avuto inizio il 24 aprile 2007 ed è terminata il 24 luglio dello stesso anno. A seguito dell'autenticazione delle firme da parte della Corte di cassazione e dell'approvazione dei quesiti da parte della Corte Costituzionale, il referendum è stato inizialmente indetto per il 18 e il 19 maggio 2008; tuttavia, a seguito dello scioglimento delle camere del 6 febbraio 2008, la consultazione è stata rinviata di un anno.
Da calendarizzare, secondo legge, tra il 15 aprile e il 15 giugno, i referendum abrogativi sulla legge Calderoli sono stati infine fissati per il 21-22 giugno, in corrispondenza dei turni di ballottaggio delle amministrative.
In un primo momento, era stato proposto l'accorpamento al turno delle elezioni europee e amministrative del 6-7 giugno. Ciò al fine di risparmiare una consistente somma di denaro necessaria per l'approntamento della consultazione, valutata in almeno 373 milioni di euro (173 milioni di euro, dati Ministero dell'Interno, probabilmente sottostimati, più 200 milioni di euro di costi indiretti)[3] in un momento di crisi economica e in seguito alle risorse resesi necessarie per il terremoto in Abruzzo. Tale proposta trovò tuttavia la ferma opposizione della Lega Nord, contraria ai quesiti referendari, e intenzionata a rimandare la data della consultazione per sfruttare l'effetto astensione sul quorum. Altri invece hanno difeso la scelta di non accorpare il referendum alle altre votazioni, adducendo come motivazione la possibilità di confusione da parte dell'elettore. In alcune grandi città, infatti, l'elettore avrebbe dovuto maneggiare sette schede contemporaneamente.
Per ottenere l'accorpamento con i ballottaggi, è stata quindi necessaria l'approvazione di una legge che consentisse di andare oltre il termine fissato dalla legge per lo svolgimento del referendum, cioè il 15 giugno.
Il primo quesito (scheda di colore viola) voleva abrogare tutte le norme che prevedono la possibilità per le liste concorrenti alle elezioni della Camera dei deputati di collegarsi tra loro e di essere, di conseguenza, attributarie del premio di maggioranza.
Se avesse vinto il no o se il referendum non avesse raggiunto il quorum, non ci sarebbero state modifiche rispetto alla situazione attuale.
Se avesse vinto il sì, le liste concorrenti alle elezioni della Camera dei deputati non avrebbero potuto collegarsi tra loro e, di conseguenza, il premio di maggioranza sarebbe stato assegnato alla singola lista che avesse ottenuto più voti.
Un secondo effetto sarebbe stato quello di abrogare le soglie di sbarramento per i partiti coalizzati, quindi ogni lista avrebbe dovuto superare la soglia di sbarramento prevista per i partiti non coalizzati.
<<Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, nel testo
risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Approvazione del testo unico delle
leggi recanti norme per la elezione della Camera dei Deputati”, limitatamente alle seguenti parti:
art. 14-bis, comma 1: “I partiti o i gruppi politici organizzati possono effettuare il collegamento in una
coalizione delle liste da essi rispettivamente presentate. Le dichiarazioni di collegamento debbono essere
reciproche.”;
art. 14-bis, comma 2: “La dichiarazione di collegamento è effettuata contestualmente al deposito del
contrassegno di cui all’articolo 14. Le dichiarazioni di collegamento hanno effetto per tutte le liste aventi lo
stesso contrassegno.”;
art. 14-bis, comma 3, limitatamente alle parole: “I partiti o i gruppi politici organizzati tra loro collegati in
coalizione che si candidano a governare depositano un unico programma elettorale nel quale dichiarano il
nome e cognome della persona da loro indicata come unico capo della coalizione.”;
art. 14-bis, comma 4, limitatamente alle parole “1, 2 e”;
art. 14-bis, comma 5, limitatamente alle parole: “dei collegamenti ammessi”;
art. 18-bis, comma 2, limitatamente alle parole: “Nessuna sottoscrizione è altresì richiesta per i partiti o
gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento ai sensi dell’art. 14-bis, comma 1, con
almeno due partiti o gruppi politici di cui al primo periodo e abbiano conseguito almeno un seggio in
occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo, con contrassegno identico a quello depositato ai
sensi dell’art. 14.”;
art. 24, numero 2), limitatamente alle parole: “alle coalizioni e”;
art. 24, numero 2), limitatamente alle parole: “non collegate”;
art. 24, numero 2), limitatamente alle parole: “, nonché per ciascuna coalizione, l’ordine dei contrassegni
delle liste della coalizione”;
art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “delle liste collegate appartenenti alla stessa coalizione”;
art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “di seguito, in linea orizzontale, uno accanto all’altro, su un’unica
riga”;
art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “delle coalizioni e”;
art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “non collegate”;
art. 31, comma 2, limitatamente alle parole: “di ciascuna coalizione”;
art. 83, comma 1, numero 2): “2) determina poi la cifra elettorale nazionale di ciascuna coalizione di liste
collegate, data dalla somma delle cifre elettorali nazionali di tutte le liste che compongono la coalizione
stessa, nonché la cifra elettorale nazionale delle liste non collegate ed individua quindi la coalizione di liste o
la lista non collegata che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi;”;
art. 83, comma 1, numero 3), lettera a): “a) le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano nazionale
almeno il 10 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia
conseguito sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi espressi ovvero una lista collegata
rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute, presentata esclusivamente in una delle circoscrizioni
comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che
abbia conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione;”;
art. 83, comma 1, numero 3), lettera b), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “non collegate”;
art. 83, comma 1, numero 3), lettera b), limitatamente alle parole: “, nonché le liste delle coalizioni che non
hanno superato la percentuale di cui alla lettera a) ma che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il
4 per cento dei voti validi espressi ovvero che siano rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute,
presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una
particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi
espressi nella circoscrizione”;
art. 83, comma 1, numero 4), limitatamente alle parole: “le coalizioni di liste di cui al numero 3), lettera a), e”;
art. 83, comma 1, numero 4), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;
art. 83, comma 1, numero 4), limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;
art. 83, comma 1, numero 5), limitatamente alle parole: “la coalizione di liste o”;
art. 83, comma l, numero 6): “6) individua quindi, nell’àmbito di ciascuna coalizione di liste collegate di cui al
numero 3), lettera a), le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi
espressi e le liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una
delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze
linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 per cento dei voti validi espressi nella circoscrizione,
nonché la lista che abbia ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale tra quelle che non hanno conseguito
sul piano nazionale almeno il 2 per cento dei voti validi espressi;”;
art. 83, comma 1, numero 7): “7) qualora la verifica di cui al numero 5) abbia dato esito positivo, procede,
per ciascuna coalizione di liste, al riparto dei seggi in base alla cifra elettorale nazionale di ciascuna lista di
cui al numero 6). A tale fine, per ciascuna coalizione di liste, divide la somma delle cifre elettorali nazionali
delle liste ammesse al riparto di cui al numero 6) per il numero di seggi già individuato ai sensi del numero
4). Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente così ottenuto.
Divide poi la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista ammessa al riparto per tale quoziente. La parte intera
del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che
rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali queste ultime divisioni
hanno dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, alle liste che abbiano conseguito la maggiore cifra
elettorale nazionale; a parità di quest’ultima si procede a sorteggio. A ciascuna lista di cui al numero 3),
lettera b), sono attribuiti i seggi già determinati ai sensi del numero 4);”;
art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole: “varie coalizioni di liste o”;
art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole: “per ciascuna coalizione di liste, divide il totale delle
cifre elettorali circoscrizionali di tutte le liste che la compongono per il quoziente elettorale nazionale di cui al
numero 4), ottenendo così l’indice relativo ai seggi da attribuire nella circoscrizione alle liste della coalizione
medesima. Analogamente,”;
art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;
art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizioni di liste o”;
art. 83, comma 1, numero 8), limitatamente alle parole: “coalizioni o”;
art. 83, comma 1, numero 9): “9) salvo quanto disposto dal comma 2, l’Ufficio procede quindi all’attribuzione
nelle singole circoscrizioni dei seggi spettanti alle liste di ciascuna coalizione. A tale fine, determina il
quoziente circoscrizionale di ciascuna coalizione di liste dividendo il totale delle cifre elettorali circoscrizionali
delle liste di cui al numero 6) per il numero di seggi assegnati alla coalizione nella circoscrizione ai sensi del
numero 8). Nell’effettuare tale divisione non tiene conto dell’eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide
quindi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista della coalizione per tale quoziente circoscrizionale.
La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I
seggi che rimangono ancora da attribuire sono assegnati alle liste seguendo la graduatoria decrescente
delle parti decimali dei quozienti così ottenuti; in caso di parità, sono attribuiti alle liste con la maggiore cifra
elettorale circoscrizionale; a parità di quest’ultima, si procede a sorteggio. Successivamente l’Ufficio accerta
se il numero dei seggi assegnati in tutte le circoscrizioni a ciascuna lista corrisponda al numero dei seggi ad
essa attribuito ai sensi del numero 7). In caso negativo, procede alle seguenti operazioni, iniziando dalla lista
che abbia il maggior numero di seggi eccedenti, e, in caso di parità di seggi eccedenti da parte di più liste,
da quella che abbia ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale, proseguendo poi con le altre liste, in
ordine decrescente di seggi eccedenti: sottrae i seggi eccedenti alla lista in quelle circoscrizioni nelle quali
essa li ha ottenuti con le parti decimali dei quozienti, secondo il loro ordine crescente e nelle quali inoltre le
liste, che non abbiano ottenuto il numero di seggi spettanti, abbiano parti decimali dei quozienti non
utilizzate. Conseguentemente, assegna i seggi a tali liste. Qualora nella medesima circoscrizione due o più
liste abbiano le parti decimali dei quozienti non utilizzate, il seggio è attribuito alla lista con la più alta parte
decimale del quoziente non utilizzata. Nel caso in cui non sia possibile fare riferimento alla medesima
circoscrizione ai fini del completamento delle operazioni precedenti, fino a concorrenza dei seggi ancora da
cedere, alla lista eccedentaria vengono sottratti i seggi in quelle circoscrizioni nelle quali li ha ottenuti con le
minori parti decimali del quoziente di attribuzione e alle liste deficitarie sono conseguentemente attribuiti
seggi in quelle altre circoscrizioni nelle quali abbiano le maggiori parti decimali del quoziente di attribuzione
non utilizzate.”;
art. 83, comma 2, limitatamente alle parole: “la coalizione di liste o”;
art. 83, comma 2, limitatamente alle parole: “coalizione di liste o”;
art. 83, comma 2, limitatamente alle parole: “di tutte le liste della coalizione o”;
art. 83, comma 3, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste e”;
art. 83, comma 3, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: “coalizione di liste o”;
art. 83, comma 3, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;
art. 83, comma 4: “L’Ufficio procede poi, per ciascuna coalizione di liste, al riparto dei seggi ad essa spettanti
tra le relative liste ammesse al riparto. A tale fine procede ai sensi del comma 1, numero 7), periodi secondo,
terzo, quarto, quinto, sesto e settimo.”;
art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “numero 6),”;
art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “e 9)”;
art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “coalizione di liste o”;
art. 83, comma 5, limitatamente alle parole: “coalizioni di liste o”;
art. 84, comma 3: “Qualora al termine delle operazioni di cui al comma 2, residuino ancora seggi da
assegnare alla lista in una circoscrizione, questi sono attribuiti, nell’àmbito della circoscrizione originaria, alla
lista facente parte della medesima coalizione della lista deficitaria che abbia la maggiore parte decimale del
quoziente non utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente. Qualora al termine di detta operazione
residuino ancora seggi da assegnare alla lista, questi sono attribuiti, nelle altre circoscrizioni, alla lista
facente parte della medesima coalizione della lista deficitaria che abbia la maggiore parte decimale del
quoziente già utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente.”;
art. 84, comma 4, limitatamente alle parole: “e 3”;
art. 86, comma 2, limitatamente alle parole: “, 3”?>>.
Il secondo quesito (scheda di colore beige scuro) voleva abrogare tutte le norme che prevedono la possibilità per le liste concorrenti alle elezioni del Senato della Repubblica di collegarsi tra loro e di essere, di conseguenza, attributarie del premio di maggioranza.
Se avesse vinto il no o se il referendum non avesse raggiunto il quorum, non ci sarebbero state modifiche rispetto alla situazione attuale.
Se avesse vinto il sì, le liste concorrenti alle elezioni del Senato della Repubblica non avrebbero potuto collegarsi tra loro e, di conseguenza, il premio di maggioranza regionale sarebbe stato assegnato alla singola lista che avesse ottenuto più voti in ambito circoscrizionale.
Un secondo effetto sarebbe stato quello di abrogare le soglie di sbarramento per i partiti coalizzati, quindi ogni lista avrebbe dovuto superare la soglia di sbarramento prevista per i partiti non coalizzati.
<<Volete voi che sia abrogato il Decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica”, limitatamente alle seguenti parti: art. 1, comma 2, limitatamente alle parole: "di coalizione"; art. 9, comma 3, limitatamente alle parole: "Nessuna sottoscrizione è altresì richiesta per i partiti o gruppi politici che abbiano effettuato le dichiarazioni di collegamento ai sensi dell'art. 14-bis, comma 1, del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, con almeno due partiti o gruppi politici di cui al primo periodo del presente comma e abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo, con contrassegno identico a quello depositato ai sensi dell'art. 14 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957."; art. 11, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: "alle coalizioni e"; art. 11, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: "non collegate"; art. 11, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: ", nonché, per ciascuna coalizione, l'ordine dei contrassegni delle liste della coalizione"; art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: "delle liste collegate appartenenti alla stessa coalizione"; art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: "di seguito, in linea orizzontale, uno accanto all'altro, su un'unica riga"; art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: "delle coalizioni e"; art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: "non collegate"; art. 11, comma 3, limitatamente alle parole: "di ciascuna coalizione"; art. 16, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: ". Determina inoltre la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna coalizione di liste, data dalla somma delle cifre elettorali circoscrizionali di tutte le liste che la compongono"; art. 16, comma 1, lettera b), numero 1): “1) le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano regionale almeno il 20 per cento dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano regionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi;”; art. 16, comma 1, lettera b), numero 2), limitatamente alle parole: "non collegate"; art. 16, comma 1, lettera b), numero 2), limitatamente alle parole: "nonché le liste che, pur appartenendo a coalizioni che non hanno superato la percentuale di cui al numero 1), abbiano conseguito sul piano regionale almeno l'8 per cento dei voti validi espressi"; art. 17, comma 1, limitatamente alle parole: "le coalizioni di liste e"; art. 17, comma 1, limitatamente alle parole: "coalizioni di liste o"; art. 17, comma 1, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: "coalizione di liste o"; art. 17, comma 2, limitatamente alle parole: "la coalizione di liste o"; art. 17, comma 3: “Nel caso in cui la verifica di cui al comma 2 abbia dato esito positivo, l'ufficio elettorale regionale individua, nell'àmbito di ciascuna coalizione di liste collegate di cui all'articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1), le liste che abbiano conseguito sul piano circoscrizionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi. Procede quindi, per ciascuna coalizione di liste, al riparto, tra le liste ammesse, dei seggi determinati ai sensi del comma 1. A tale fine, per ciascuna coalizione di liste, divide la somma delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste ammesse al riparto per il numero di seggi già individuato ai sensi del comma 1, ottenendo così il relativo quoziente elettorale di coalizione. Nell'effettuare tale divisione non tiene conto dell'eventuale parte frazionaria del quoziente. Divide poi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista ammessa al riparto per il quoziente elettorale di coalizione. La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali queste ultime divisioni hanno dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, alle liste che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale circoscrizionale; a parità di quest'ultima si procede a sorteggio. A ciascuna lista di cui all'articolo 16, comma 1, lettera b), numero 2), sono attribuiti i seggi già determinati ai sensi del comma 1.”; art. 17, comma 4, limitatamente alle parole: "alla coalizione di liste o"; art. 17, comma 5, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: "coalizioni di liste o"; art. 17, comma 5, limitatamente alle parole, ovunque ricorrono: "coalizione di liste o"; art. 17, comma 5, limitatamente alle parole: "alle coalizioni di liste e"; art. 17, comma 6: “Per ciascuna coalizione l'ufficio procede al riparto dei seggi ad essa spettanti ai sensi dei commi 4 e 5. A tale fine, per ciascuna coalizione di liste, divide il totale delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste ammesse al riparto ai sensi dell'articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1), per il numero dei seggi ad essa spettanti. Nell'effettuare tale divisione non tiene conto dell'eventuale parte frazionaria del quoziente così ottenuto. Divide poi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista per quest'ultimo quoziente. La parte intera del risultato così ottenuto rappresenta il numero dei seggi da attribuire a ciascuna lista. I seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alla lista per la quale queste ultime divisioni abbiano dato i maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle che abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale circoscrizionale.”; art. 17, comma 8: “Qualora una lista abbia esaurito il numero dei candidati presentati nella circoscrizione regionale e non sia quindi possibile attribuire tutti i seggi ad essa spettanti, l'ufficio elettorale regionale assegna i seggi alla lista facente parte della medesima coalizione della lista deficitaria che abbia la maggiore parte decimale del quoziente non utilizzata, procedendo secondo un ordine decrescente. Qualora due o più liste abbiano una uguale parte decimale del quoziente, si procede mediante sorteggio.”; art. 17-bis, limitatamente alle parole: “e 6”; art. 19, comma 2: “Qualora la lista abbia esaurito il numero dei candidati presentati in una circoscrizione e non sia quindi possibile attribuirle il seggio rimasto vacante, questo è attribuito, nell'àmbito della stessa circoscrizione, ai sensi dell'articolo 17, comma 8."?>>
Il terzo quesito (scheda di colore verde chiaro) riguardava l'abrogazione delle candidature multiple alle elezioni della Camera dei deputati.
Se avesse vinto il no o se il referendum non avesse raggiunto il quorum, non ci sarebbero state modifiche rispetto alla situazione attuale.
Se avesse vinto il sì, i candidati deputati avrebbero potuto presentarsi in una sola circoscrizione elettorale.
Il terzo quesito fu generalmente apprezzato e non attirò particolari critiche, se non da parte di chi fece notare che, comunque, sarebbe restato il meccanismo delle liste bloccate e non ci sarebbe stato il ritorno alla possibilità di esprimere preferenze nominative. Ad esempio, per Marco Pannella: "Resta un parlamento di nominati. [...] Il rapporto parlamentari/elettori è zero".[4]
<<Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, titolato “Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei Deputati”, limitatamente alle seguenti parti: art. 19, limitatamente alle parole: “nella stessa”, art. 85.?>>
Poiché l'eventuale successo dei primi due quesiti del referendum comporterebbe il "premio di maggioranza" per il partito (e non più per la coalizione) in grado di raccogliere la semplice maggioranza relativa dei voti, i partiti minori si sono dichiarati contrari, dando indicazione di non recarsi alle urne o di non ritirare le schede, per evitare che, grazie all'astensionismo, la consultazione raggiungesse il quorum. Secondo Sandro Brusco, la forte opposizione soprattutto della Lega Nord e dell'Italia dei Valori si spiega con il timore di una perdita di riconoscibilità, nel caso in cui i partiti minori vengano costretti a formare un listone unico con il partito maggiore del proprio campo[21].
Il Partito Democratico e il Popolo della Libertà invece hanno assunto una posizione favorevole. Il Pdl, tuttavia, ha deciso di non far campagna elettorale per non alienarsi le simpatie della Lega Nord: il patto tra Berlusconi e Bossi ha fatto seguito alla "cena di Arcore" dell'8 giugno 2009. In cambio del silenzio del PDL sul referendum, la Lega ha accettato di votare i candidati comuni ai ballottaggi.[22]
Come è già avvenuto in occasione delle più recenti consultazioni referendarie, anche in questa occasione ha tenuto banco, in particolare, il tema del quorum, cioè della necessità, perché il referendum abbia effetto, che si presenti alle urne almeno il 50% dei votanti sul totale degli aventi diritto al voto. Questa condizione non si è realizzata per lungo tempo in tutti i referendum tenuti in Italia fra il 1997e il 2011 il cui svolgimento è stato perciò vano.
L'arma dell'astensione è stata utilizzata ampiamente nella campagna anti-referendaria: contando su un astensionismo "fisiologico" di almeno il 20% del corpo elettorale, gli oppositori ai questiti referendari - in questa come in tutte le più recenti occasioni - hanno privilegiato in larga misura l'invito a disertare le urne piuttosto che all'espressione del NO sulle schede elettorali. E anche in questa occasione non sono mancate le polemiche a favore e contro questa "tecnica" peculiare.
C'è chi ha preso spunto da questo dibattito per avanzare la proposta di eliminare la necessità del quorum: Peppino Calderisi, capogruppo in Commissione Affari Costituzionali della Camera del PDL e componente del Comitato promotore del referendum elettorale, ha ad esempio sottolineato la necessità di rivedere l'istituto referendario, "magari aumentare il numero delle firme ma poi abolendo il quorum. È un problema politico: in nessuna democrazia politica -spiega Calderisi- chi non vota conta più di chi vota. Alla luce anche dell'esito di questo referendum dovremo fare un pensiero su questo problema".[23]
Del resto, già dopo il referendum del 18 aprile 1999, Gianfranco Fini, Mario Segni e Marco Taradash avevano posto questo tema. «Con il referendum del 18 aprile – osservò Fini – 22 milioni di italiani sono andati a votare e di questi oltre il 90% ha votato sì, ma tutto ciò per colpa del quorum non ha contato».[24] Il Movimento Democratici Diretti ha ripreso questo obiettivo, illustrando dieci ragioni che giustificherebbero l'abolizione del quorum referendario.[senza fonte]
Secondo Sergio Romano, il mancato raggiungimento del quorum "sarà una campana a morte per l'istituto del referendum abrogativo e priverà l'Italia del suo principale strumento di democrazia diretta".[25]
Secondo Michele Ainis, "se non si raggiunge il quorum, subentra sfiducia nello strumento referendario e sarà difficile riproporlo per temi etici e civili, ad esempio per il testamento biologico."[2]
In effetti, la posizione delle forze politiche in questo referendum, divise tra sì e astensione, così come nel caso dei referendum abrogativi del 2005, sembra indicare un trend preciso. Tale evoluzione prefigura dei rischi anche nei riguardi di principi come la segretezza del voto.
L'obiettivo del Comitato promotore è la riduzione della frammentazione del sistema partitico italiano.
Una maggior polarizzazione delle forze in campo si è parzialmente realizzata, nel frattempo, indipendentemente dalla consultazione referendaria, anche a seguito della nascita per fusione dei due partiti principali, il Partito Democratico e il Popolo della Libertà.
Tuttavia, di fatto, non è diminuito il numero delle liste che si presentano alle competizioni elettorali, e ciò proprio in virtù del "potere di coalizione" che ancora residua a favore delle forze politiche minori.
I partiti sono rimasti piuttosto freddi (quando non ostili) all'iniziativa. Inoltre i cambiamenti dello scenario politico hanno portato, in entrambi gli schieramenti, a qualche cambiamento di posizione.
Numerosi politologi si sono interessati al dibattito sul referendum, attraverso interventi sulla stampa. Tra questi, Giovanni Sartori, Stefano Passigli, Angelo Panebianco, Sergio Romano.
La critica che più comunemente viene portata, da destra e da sinistra, alla sostanza dei primi due quesiti referendari si concentra sull'effetto distorsivo che il loro accoglimento determinerebbe rispetto alla rappresentanza. Una vittoria del sì porterebbe a trasformare in maggioranza assoluta "la più grande minoranza", senza rispetto del principio di proporzionalità. In questo modo, il maggiore partito, quand'anche ottenesse solo il 25-30% dei voti, o anche meno, si garantirebbe il 55% dei seggi. In caso tale partito entrasse poi in coalizione con un secondo partito che si aggiudicasse attorno al 10% dei seggi, tale coalizione potrebbe agevolmente conseguire la maggioranza dei 2/3 dei parlamentari eletti (pur con un consenso elettorale non superiore al 35%) e il conseguente potere, ad esempio, di nominare il Presidente della repubblica e le maggiori magistrature di garanzia, oltre che di far passare i propri disegni di riforma costituzionale senza dover ricorrere al referendum confermativo.[26][27]
La trasformazione di una minoranza in una maggioranza, attraverso un premio elettorale, porta Giovanni Sartori a considerare quest'ultimo "truffaldino e distorcente".[28]
Sartori rileva come il premio di maggioranza faccia aumentare il costo in voti di un seggio: "Se, per esempio, Berlusconi conquistasse il premio con il 35% dei voti a lui spetterebbe il 55% dei seggi, mentre il 65% dei non premiati si dovrebbe dividere il 45% dei seggi restanti".[29]
D'altra parte, secondo Sandro Brusco, il risultato dei referendum sarà sostanzialmente "ininfluente"[21]. Brusco rimarca che anche con la legge Calderoli un partito minoritario può ottenere un premio di maggioranza: se il PdL fosse abbastanza forte da poter vincere senza la Lega Nord, anche con la legge Calderoli potrebbe presentarsi da soli e guadagnare il premio di maggioranza.
Per tali motivi sono state trovate delle analogie con la legge truffa del 1953.[30] e con la Legge Acerbo del 1923[27][31]
Una seconda critica alla legge elettorale come modificata dal referendum riguarda il premio di maggioranza alla lista come incentivo al bipartitismo. Esso infatti spingerebbe i partiti maggiori ad assorbire i partiti più piccoli per poter ottenere il premio di maggioranza. Tali piccoli partiti non verrebbero così eliminati, ma riapparirebbero come correnti. Si avrebbe così una "repubblica delle correnti" anziché un bipartitismo moderato.[26]
Anche secondo Sandro Brusco, l'unico effetto del referendum sarà di avere "al tempo stesso, meno liste elettorali, e liste elettorali più omogenee. Ma, alla fine, i cambiamenti saranno minimi"[21]. Brusco prevede che la nuova normativa porterebbe i partiti ad accordarsi ex ante su una lista unica con un simbolo comune, magari affiancando i simboli attuali (cosiddetta lista bicicletta). Ciò poiché i partiti basano la propria strategia sulla legge elettorale in vigore, e poiché non esiste una distinzione netta tra "coalizione di liste elettorali" e "lista elettorale" singola.
Secondo Angelo Panebianco, l'effetto aggregativo visto alle elezioni 2008 è stato dovuto semplicemente alla scelta di Walter Veltroni di puntare sul "partito a vocazione maggioritaria", e alla mossa analoga del PDL. Tuttavia tale effetto può presto scomparire, con il ritorno alla disgregazione e alla politica delle alleanze.[32]
Sartori fa invece affidamento sullo sbarramento del 4% come "anticorpo" della legge Calderoli contro il ritorno della frammentazione, e fa notare come il referendum non ponga ulteriori vincoli in questo senso.[29]
I sostenitori del referendum obiettano che il sistema elettorale risultante dal referendum spingerà gli attuali soggetti politici a perseguire, "sin dalla fase pre-elettorale, la costruzione di un unico raggruppamento, rendendo impraticabili soluzioni equivoche e incentivando la riaggregazione nel sistema partitico", aprendo così "una prospettiva tendenzialmente bipartitica": "la frammentazione si ridurrà drasticamente" e, non essendoci più le coalizioni, "scomparirà l'attuale schizofrenia tra identità collettiva della coalizione e identità dei singoli partiti nella coalizione".[33]
Tuttavia, i critici del referendum ribadiscono che il bipartitismo non è un approdo necessario: secondo Stefano Passigli "si può avere competizione bipolare ed alternanza di governo anche in situazioni di multipartitismo moderato, come in Germania e in molte altre democrazie europee. Altra cosa è invece la riduzione traumatica del pluralismo politico e la sua costrizione ad un formato bipartitico grazie al ricorso ad un abnorme premio di maggioranza".[26]
Un'obiezione simile è portata da Sartori, quando scrive che il divieto di coalizione previsto dal referendum è "inutile", in quanto "quel divieto sarebbe stato aggirato dall'invenzione, per le elezioni, di due 'listoni' acchiappatutti al coperto dei quali restavano e sarebbero riemersi i partiti di prima".[28]
Angelo Panebianco risponde a tale critica facendo notare come tali partitini aggregati perderebbero comunque libertà d'azione, simboli e finanziamenti pubblici.[32]
Inoltre, Sartori attacca il possibile esito bipartitico del referendum: "Da entrambi i Porcelli non risulterà nessun sistema bipartitico, ma invece un sistema a partito predominante nel quale lo stesso partito governa da solo e senza alternanza per decenni (in altri casi anche dai trenta ai cinquant'anni)".[29]
Gli effetti che il referendum avrebbe potuto produrre sul piano politico furono alla base di un ampio dibattito. Secondo Sergio Romano, un esito negativo del referendum avrebbe avuto "l'effetto di rafforzare la legge Calderoli e di renderla di fatto per molto tempo immodificabile", mentre il sì avrebbe avuto il vantaggio di costringere il Parlamento ad approvare una nuova legge elettorale.[25]. Dello stesso parere era Stefano Passigli, che considerava come il no potesse " apparire una conferma popolare del Porcellum e ritardare il varo di una nuova legge".[26]
Secondo Giovanni Sartori, in caso di vittoria dei no, la legge Calderoli avrebbe ottenuto un rinforzo di legittimità ("Si potrà dire che il popolo italiano vuole il Porcellum così come è"), così come lo avrebbe ottenuto ugualmente in caso di vittoria dei sì ("Si dirà che la sovranità popolare vuole una maggioranza ope legis")[28].
I referendum non hanno raggiunto il quorum dei votanti previsto dalla legge per la loro validità[34] [35].
Camera dei deputati - Abrogazione della possibilità di collegamento tra liste e di attribuzione del premio di maggioranza ad una coalizione di liste
Promosso da Mario Segni e Giovanni Guzzetta.
Senato della repubblica - Abrogazione della possibilità di collegamento tra liste e di attribuzione del premio di maggioranza ad una coalizione di liste
Promosso da Mario Segni e Giovanni Guzzetta
Camera dei deputati - Abrogazione della possibilità per uno stesso candidato di presentare la propria candidatura in più di una circoscrizione
Promosso da Mario Segni e Giovanni Guzzetta
Seamless Wikipedia browsing. On steroids.
Every time you click a link to Wikipedia, Wiktionary or Wikiquote in your browser's search results, it will show the modern Wikiwand interface.
Wikiwand extension is a five stars, simple, with minimum permission required to keep your browsing private, safe and transparent.