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Prospettiva
Testo unico delle imposte sui redditi
atto normativo italiano del 1986 Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (t.u.i.r.) è il principale strumento normativo dell'ordinamento giuridico italiano che disciplina il sistema di imposizione sui redditi. È stato approvato con il D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986.[1]
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Struttura
Riepilogo
Prospettiva
Il t.u.i.r. è suddiviso in quattro titoli:[1]
- Titolo I - Imposta sul reddito delle persone fisiche (articoli da 1 a 71):
Capo I - Disposizioni generali;
Capo II - Redditi fondiari;
Capo III - Redditi di capitale;
Capo IV - Redditi di lavoro dipendente;
Capo V - Redditi di lavoro autonomo;
Capo VI - Redditi di impresa;
Capo VII - Redditi diversi.
- Titolo II - Imposta sul reddito delle società (articoli da 72 a 161):
Capo I - Soggetti passivi e disposizioni generali;
Capo II - Determinazione della base imponibile delle società e degli enti commerciali residenti;
Capo III - Enti non commerciali residenti;
Capo IV - Società ed enti commerciali non residenti;
Capo V - Enti non commerciali non residenti;
Capo VI - Determinazione della base imponibile per alcune imprese marittime.
- Titolo III - Disposizioni comuni (articoli da 162 a 184):
Capo I - Disposizioni generali;
Capo II - Disposizioni relative ai redditi prodotti all'estero ed ai rapporti internazionali;
Capo III - Operazioni straordinarie;
Capo IV - Operazioni straordinarie fra soggetti residenti in stati membri diversi dell'unione europea;
Capo V - Liquidazione volontaria e procedure concorsuali.
- Titolo IV - Disposizioni varie, transitorie e finali (articoli da 185 a 191)
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Contenuto
Il t.u.i.r. disciplina l'Imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e l'Imposta sul reddito delle società (IRES) individuandone per entrambe il presupposto, i soggetti passivi, la base imponibile e il metodo di calcolo dell'imposta.
A seguito della riforma attuata con il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 è stato novato il Titolo II del t.u.i.r., riguardante l'Imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG), introducendo l'Imposta sul reddito delle società (IRES).[2]
L'IRPEF e l'IRES costituiscono la base del sistema di imposizione sui redditi dell'ordinamento tributario italiano. La normativa contenuta nel t.u.i.r. è coordinata al fine di evitare il rischio che il medesimo reddito sia assoggettato a doppia imposizione, vietata dall'articolo 163 dello stesso Testo Unico.
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Presupposto
Riepilogo
Prospettiva
L'articolo 1 t.u.i.r.[3], relativo all’IRPEF e l'articolo 72 t.u.i.r.[4], relativo all’IRES definiscono il presupposto delle rispettive imposte. Il legislatore ha adottato un criterio formale che considera quali presupposti il possesso dei redditi in denaro o in natura e la riconducibilità dei medesimi redditi ad una delle categorie di cui all’articolo 6 t.u.i.r.
L’articolo 6 comma 1 prevede che: “I singoli redditi sono classificati nelle seguenti categorie:
a) redditi fondiari;
b) redditi di capitale;
c) redditi di lavoro dipendente;
d) redditi di lavoro autonomo;
e) redditi di impresa;
f) redditi diversi.”[5]
Il concetto di reddito imponibile è ricostruito dal Testo Unico mediante un’elencazione analitica di fattispecie. In primo luogo, si individua l’atto di sfruttamento di un cespite o l’attività economica da cui il reddito trae origine; successivamente, ulteriori situazioni riconducibili alla medesima categoria si esemplificano o sono ad essa assimilate. L'elencazione delle categorie è tassativa.
L'articolo 80 del previgente D.P.R. del 29 settembre 1973, n. 597[6], istitutivo dell’Imposta sul reddito delle persone fisiche, rubricato “Altri redditi”, prevedeva che “alla formazione del reddito complessivo concorre ogni altro reddito diverso da quelli espressamente considerati”. Tale decreto è stato sostituito dal t.u.i.r., che non contiene un’analoga norma di chiusura per i redditi residuali. Quindi, sono tassabili solo i redditi che rientrano in una delle categorie enumerate dall'articolo 6[5].
La legge del 24 dicembre 1993, n. 537[7] prevede, invece, una clausola di chiusura residuale per i proventi di fonte illecita: "Nelle categorie di reddito devono intendersi ricompresi, se in essi classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo, se non già sottoposti a sequestro o confisca penale". Inoltre, qualora non rientrino in alcuna delle categorie di cui all'articolo 6[5], i redditi derivanti da attività illecite sono comunque considerati "redditi diversi".
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Note
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni
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