Età apostolica
nella storia del cristianesimo, periodo che va dalla crocifissione di Gesù alla morte di Giovanni apostolo / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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Per età apostolica s'intende tradizionalmente la prima fase della storia del cristianesimo. Essa viene fatta iniziare con la crocifissione di Gesù (anni 30-36 circa) e il grande mandato della chiesa di Gerusalemme[2], e finisce con la morte di Giovanni apostolo (115 circa) in Anatolia. Poiché si crede che Giovanni sia vissuto molto a lungo e sia stato l'ultimo degli apostoli a morire, vi è una certa sovrapposizione tra l'età apostolica e i primi Padri apostolici, i cui scritti sono utilizzati per segnare l'inizio del Periodo ante-niceneo. L'età apostolica ha un significato speciale nella tradizione cristiana, in quanto fu l'epoca in cui vissero gli apostoli e discepoli diretti di Gesù di Nazareth. Gli Atti degli Apostoli costituiscono la maggiore fonte primaria dell'età apostolica, ma l'affidabilità e l'accuratezza storiche di tali Atti sono contestate da alcuni studiosi neotestamentari[Nota 1].
«L'epoca apostolica, per definizione, si conclude con la morte dell'ultimo Apostolo - Giovanni, secondo la tradizione - intorno all'anno 100. Per la teologia, con la morte dell'ultimo Apostolo si chiude la Rivelazione. Questo limite è dogmatico. La storia invece, impone di spingersi fino a tre quattro decenni più tardi: essa fissa lo sguardo sul lungo tempo che servì al cristianesimo per differenziarsi completamente dalla propria radice ebraica. Il primo terzo del II secolo fu, in realtà, una zona di confine in cui finì per prendere forma una nuova configurazione»
(Paul Mattei[1])
Secondo la maggioranza degli studiosi, i seguaci di Gesù formarono più che altro sette apocalittiche giudaiche (cfr. Giudeo-cristianesimo) durante il periodo del tardo Secondo Tempio del I secolo. In tale epoca, la chiesa di Gerusalemme veniva guidata da Giacomo il Giusto. Paolo di Tarso inizialmente perseguitava i primi giudeo-cristiani, poi si convertì e adottò il titolo di Apostolo dei Gentili, iniziando a proselitizzare tra i pagani. Persuase i capi delle chiesa di Gerusalemme, durante il concilio, a permettere ai conversi gentili di essere esenti dalla maggioranza dei comandamenti (mitzvot), che potevano essere nel loro caso equiparati alle Leggi noachiche del successivo ebraismo rabbinico. Sebbene si affermi che l'influenza di Paolo sul pensiero cristiano sia stata la più significativa di qualsiasi altro autore neotestamentario,[3] il rapporto tra Paolo di Tarso e il giudaismo è tuttora in discussione. Dopo la distruzione del Secondo Tempio nel 70, e più tardi, dopo la rivolta di Bar Kokhba del 132, Gerusalemme cessò di essere il centro della comunità cristiana primitiva, e i suoi vescovi diventarono suffragii (subordinati) del metropolita di Cesarea[4]. Nel II secolo, il cristianesimo si affermò come religione prevalentemente gentile, che comprendeva tutto l'Impero romano e oltre.