Libertà di religione in Arabia Saudita
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Il regno dell'Arabia Saudita è uno stato islamico teocratico in cui la religione musulmana - in specie il sunnismo - si basa sullo studio e l'applicazione della sharia e dove i non musulmani non sono autorizzati ad ottenere la cittadinanza[1] saudita.
I bambini nati da padri di fede islamica sono per legge considerati essere musulmani, mentre la conversione dall'islam ad un'altra religione viene considerata un'apostasia condannabile con la pena di morte; anche la blasfemia contro l'islam sunnita può incorrere in una lunga pena detentiva. Non vi sono state segnalazioni confermate di esecuzioni di cittadini sia per l'apostasia sia per la blasfemia negli ultimi anni[2].
Un tribunale saudita è giunto a condannare un uomo palestinese, l'artista e poeta Ashraf Fayadh, a morte per apostasia il 17 novembre 2015, per presunte dichiarazioni blasfeme orali durante un gruppo di discussione e scritte in una sua opera poetica[3].
La libertà di religione in Arabia Saudita è praticamente inesistente. Il governo non fornisce alcun riconoscimento legale o di protezione in rapporto alla libertà religiosa, e questa viene fortemente limitata nella pratica; in quanto questione politica il governo ufficialmente garantisce e protegge il diritto al culto privato per tutti, compresi i non musulmani che si riuniscono nelle abitazioni per la propria pratica religiosa: tale diritto non è però sempre rispettato e non è definito legalmente.
La polizia religiosa islamica (Muttawa o Mutawwi'a) fa rispettare il divieto di pratica pubblica delle religioni non musulmane. La legge della Sharia si applica a tutte le persone all'interno dell'Arabia Saudita, a prescindere dalla religione che essi professano. Un esempio di segregazione religiosa è l'impedimento per i non musulmani di entrare nella città santa de La Mecca[4][5].