Ludi Apollinari
ludi romani di otto giorni dedicati al dio Apollo / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
I Ludi Apollinari sono tra i più noti ludi romani. Devono il loro nome al dio a cui sono dedicati, ovvero Apollo. Si svolgevano annualmente per un periodo di otto giorni, precisamente dal 5 al 13 luglio, e solo l'ultimo giorno si svolgevano dentro il circo. Ma in origine i Ludi Apollinari non si svolgevano in una data fissa. Come ci dice lo storico Livio, vennero istituiti sotto il consolato di Quinto Fulvio Flacco e Appio Claudio Pulcro (212 a.C.[1]), e organizzati da Publio Cornelio Silla:[2]
«Ludi Apollinares, Q. Flavio Ap. Caudio consulibus, a P. Cornelio Sulla, pretore urbano, primum facti erant»
«I Ludii Apollinari, sotto i consoli Quinto Fulvio e Appio Claudio, da Publio Cornelio Silla, pretore urbano, vennero organizzati per la prima volta.»
Ludi Apollinares | |
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Tipo | religiosa |
Data | dal 5 al 13 luglio (a partire dal 212 a.C.[1]) |
Celebrata a | Roma |
Religione | Religione romana |
Oggetto della ricorrenza | Festività romana tra le più note. Devono il loro nome al dio a cui sono dedicati, ovvero Apollo |
Da quel momento l'organizzazione dei Ludi Apollinari era un impegno del pretore urbano, ma solo per un anno e non in una data stabilita:
«Inde omnes deinceps pretores urbani facerunt; sed in unum annum vovebant dieque incerta faciebant.»
«Da quel momento poi tutti i pretori urbani li organizzarono; ma prendevano l’impegno per un solo anno e li facevano in un giorno indeterminato.»
A partire dalla fine del 211 a.C., il senato accolse la proposta del pretore Gaio Calpurnio Pisone e decretò che i ludi Apollinari diventassero stabilmente annuali.[3] In seguito fu il pretore urbano Publio Licinio Varo (in precedenza edile curule[4]) a stabilire una data fissa per i Ludi:
«P. Licinius Varus, praetor urbanus [...] ita vovit fecitque primus, ante diem tertiam nonas Quintiles.»
«Publio Licinio Varo, pretore urbano [...] per primo stabilì e organizzò così i giochi, il terzo giorno prima del Quinto mese.»
(Ab Urbe condita, XXVII, 23)