Pedofilia e Chiesa cattolica nella storia
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Per comprendere il pensiero dei Padri della Chiesa su pedofilia e pederastìa (ed omosessualità) bisogna rifarsi all'etica romana a partire dall'età repubblicana, periodo in cui il potere legislativo prese «provvedimenti contro la pederastìa»[1], prima in via amministrativa, poi in via giudiziaria[2]. Pur ritenendo «normale che un uomo avesse rapporti sessuali con altri uomini, oltre che con le donne» i romani, a differenza dei greci[3], «non ritenevano che, per i ragazzi, essere soggetti passivi di un rapporto omosessuale fosse educativo»[1][4]. Il pensiero dei Padri riprendeva in parte la morale «tardo pagana» sul matrimonio[5]. Anche altri studiosi[6] concordano su questa impostazione. Da un tipo di «sessualità di stupro»[5][7], il romano che «sottometteva senza problemi e senza rimorsi la moglie, le schiave e gli schiavi», cominciò a imporsi una regola di vita, che diventò un «codice morale repressivo». Prima che il cristianesimo prendesse campo, la morale sessuale dei romani «si era trasformata da una bisessualità di stupro in un'eterosessualità di riproduzione»[6]. La castità, anticipando il pensiero dei Padri, era diventata una virtù. La predicazione cristiana trovò un facile terreno, alimentata dalla predicazione stoica «che esortava a controllare le passioni, a vincere le pulsioni, a indirizzare il sesso alla procreazione»[8]. La nuova regola era «l'eterosessualità di riproduzione»[8].