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Afrodite di Menofanto

scultura antica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Afrodite di Menofanto
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L'Afrodite di Menofanto è una scultura romana realizzata in marmo, raffigurante la dea Venere e riconducibile al modello dell'Afrodite pudica, del tipo capitolino. Porta la firma dello scultore greco Menofanto,[1] attivo tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I secolo d.C., del quale non sono conosciute altre informazioni.

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Storia

Fu scoperta dove sorge il monastero camaldolese di San Gregorio al Celio nel 1760. I cenobiti camaldolesi occuparono il monastero di San Gregorio, lì dove in passato sorgeva il monastero di Sant'Andrea, voluto da Papa Gregorio I nel 575. L'edificio, originariamente dedicato al solo apostolo Andrea, nel X secolo vide aggiunta la titolarità di San Gregorio, che finì per soppiantare il primo.[2] Nel corso del tempo la statua fu posseduta dal principe Chigi e l'archeologo tedesco Johann Joachim Winckelmann la descrisse nel suo saggio Storia dell'arte nell'antichità.[3] Attualmente è conservata al Palazzo Massimo alle Terme di Roma.

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Descrizione

L'Afrodite pudica è una posa classica dell'arte occidentale. Nell'Afrodite di Menofanto, la scultura raffigura la dea nuda, intenta a coprirsi il pube con un panno che tiene con la mano sinistra, mentre con la destra nasconde i seni. La figura sembra rivolgersi a sinistra e il peso del corpo è sostenuto dalla gamba sinistra; al contrario la destra risulta leggermente inclinata. La testa lievemente china e l'espressione naturale, quasi noncurante, suggeriscono che la dea sia persa nei suoi pensieri.

Il termine pudica deriva dalla parola latina pudendus che "può significare gli stessi genitali oppure la vergogna, o entrambi al contempo";[4] e lo stesso si può dire prendendo in considerazione il termine greco Αἰδώς ("aidos"), che sta ad indicare la vergogna o la riverenza.

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Note

Bibliografia

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