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Afrofuturismo

corrente culturale nata da scrittori, artisti e teorici afroamericani negli anni settanta Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Afrofuturismo
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L'afrofuturismo è una corrente culturale e una estetica che esplora l'intersezione della cultura della diaspora africana con la scienza e la tecnologia. Tale corrente è nata da diversi scrittori, artisti e teorici afroamericani negli anni settanta.[1]

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Il musicista Sun Ra viene considerato uno dei pionieri dell'afrofuturismo.

L'afrofuturismo affronta temi e preoccupazioni della diaspora africana attraverso la tecnocultura e la fantascienza, abbracciando un'ampia gamma di media e artisti con un interesse condiviso nell'immaginare futuri neri che derivano da esperienze afro-diasporiche.[2] Benché l'afrofuturismo sia più comunemente associato alla fantascienza, può abbracciare altri generi letterari come il fantasy, l'ucronia e il realismo magico[3] e non ultimo, nell'ambito musicale.[4]

Il termine è stato coniato dal critico culturale americano Mark Dery nel 1993[5] ed esplorato alla fine degli anni novanta attraverso conversazioni guidate da Alondra Nelson.[6]

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Caratteristiche

Riepilogo
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Colmo di allusioni all'animismo e al simbolismo,[1] il pensiero afrofuturista nacque dall'esigenza dei neri americani di poter godere degli stessi diritti civili dei bianchi[7] e di poter essere coinvolti nel discorso sul futuro e dello sviluppo tecnologico.

Altro tema centrale nelle creazioni afrofuturiste è il femminismo, particolarmente evidente nelle opere di Octavia E. Butler e Janelle Monáe.

Uno dei principali obiettivi degli afrofuturisti è quello di superare il concetto di razza negando l'umanità in quanto tale: secondo essi, fintanto che esisterà il concetto stesso di schiavismo (che ha come suo corrispettivo l'alieno e il robot nella letteratura fantascientifica) non potrà mai esistere l'umanità. Altra caratteristica dell'afrofuturismo è quella di proiettare l'immaginario nero in dimensioni spazio-temporali lontane e sospese fra antico e moderno.[7] Inoltre, sono sempre più frequente riferimenti all'ecologismo, come nel cortometraggio Pumzi di Wanuri Kahiu. A livello estetico, l'afrofuturismo si distingue per il colorismo psichedelico[1] e i suoi numerosi elementi rituali e surreali ripresi dalla fantascienza,[7] dalla tecnologia, dal misticismo africano,[7] e da religioni ancestrali quali quella egizia[7] e quella vudù. Fra le forme artistiche in cui ha avuto un ruolo significativo si contano le arti grafiche, la pittura, il cinema, i fumetti e la musica.[7]

La prima rivista di fantascienza africana, Omenana, e il Nommo Awards, organizzato dall'African Speculative Fiction Society a partire dal 2017, hanno aiutato alla diffusione del filone.[8]

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Esponenti

Gli esponenti dell'afrofuturismo sono numerosi e da ricondurre a diversi ambiti. Fra i teorici e scrittori del fenomeno si contano Octavia E. Butler,[7] Nnedi Okorafor, Samuel R. Delany, N. K. Jemisin, Kodwo Eshun e Alondra Nelson, mentre fra i pittori vi sono Jean-Michel Basquiat,[1][9] Mati Klarwein[1] e Ellen Gallagher.[9] Sono molti anche i musicisti che vengono ricondotti alla scena afrofuturista. Essi contano il jazzista Sun Ra,[7][9] spesso citato fra le icone del movimento nonché uno dei suoi pionieri, gli artisti della techno di Detroit,[7] artisti hip-hop quali i Public Enemy e gli OutKast[9] nonché Jimi Hendrix,[9] Lee Perry,[9] George Clinton,[9] Janelle Monáe[9] e Erykah Badu.[1] L'appena citato George Clinton è inoltre stato membro dei Parliament e dei Funkadelic, che hanno fatto dell'estetica afrofuturista (un'etichetta che comunque è stata loro attribuita posteriormente) il loro cavallo di battaglia, portando i temi e le immagini del movimento alla ribalta negli Stati Uniti degli anni '70 e '80.

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Note

Bibliografia

Altri progetti

Collegamenti esterni

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