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Carlo Zaccagnini

partigiano e avvocato italiano (1913-1944) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

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Carlo Zaccagnini (Roma, 1º luglio 1913[1]Roma, 24 marzo 1944) è stato un partigiano e avvocato italiano, vittima dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

Biografia

Riepilogo
Prospettiva

Nato a Roma, in via Monserrato, era figlio di Leopoldo, insegnante e di Grazia Emma Bondì[1].

Tenente di complemento di fanteria, nel 1940 fu chiamato alle armi e mandato in Africa Settentrionale. Ferito gravemente, nel maggio del 1941 fu congedato e rimandato in Italia come invalido di guerra. Dopo l'8 settembre fu tra i primi che s'impegnarono nella lotta clandestina a Roma, dove fondò, insieme all'avvocato Placido Martini, l'Unione nazionale della democrazia italiana, un movimento di tendenza liberale, che fece presto proseliti negli ambienti forensi e militari della capitale. Zaccagnini con il suo gruppo, oltre che nell'attività politica, s'impegnò anche nell'azione partigiana, riuscendo a liberare giovani antifascisti caduti in mano ai tedeschi. Quelli dell'UNDI, in seguito a delazione, caddero tutti nelle mani dei fascisti. Zaccagnini, rinchiuso nella prigione di via Tasso, vi fu sottoposto per due mesi a tortura, senza mai rivelare nulla ai suoi aguzzini, che se ne liberarono portando lui e i suoi compagni di lotta alle Fosse Ardeatine, quando fu decisa la strage.

Carlo Zaccagnini fu membro della Massoneria[2][3].
Una Stolperstein è stata posta in sua memoria davanti al portone della sua abitazione, in via Arenula 41, in occasione della Giornata della Memoria 2021.[4]

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Pietra d'inciampo per Carlo Zaccagnini
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Onorificenze

Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Ufficiale di cpl. dell'Esercito ed invalido di guerra, entrava all'armistizio tra i primi nel movimento della resistenza sorto nella Capitale, portandovi il suo ardente entusiasmo ed elevata fede e rivelando nelle numerose azioni a cui partecipava preclari qualità di valoroso combattente, di capo, di animatore instancabile. Venuto a conoscenza che in località vicina erano stati catturati dal nemico quattro giovani patrioti, non esitava ad attraversare una zona fortemente presidiata, penetrando nel luogo di detenzione e riusciva con abile stratagemma, sfidando la reazione degli armatissimi avversari, a liberare i quattro giovani. Ricercato attivamente e poi catturato in seguito a vile delazione, sopportava stoicamente, per ben sessanta giorni, atroci torture ed inumane sevizie, senza mai nulla rivelare che potesse nuocere alla causa della Resistenza. Con l'esempio e con la parola incitava gli altri patrioti con lui catturati a saper resistere e ad aver fede nei destini dell'Italia. Alle Fosse Ardeatine suggellava, col supremo sacrificio della vita, la sua profonda dedizione alla causa della libertà della Patria.»
 Roma, 9 settembre 1943 - 24 marzo 1944[5]
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Note

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