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Cāṇakya

scrittore indiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Cāṇakya
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Cāṇakya, noto anche come Kauṭilya[N 1] (Takṣaśilā, 371 a.C.Pataliputra, 283 a.C.), è stato un semileggendario scrittore indiano, una sorta di Omero asiatico, ritenuto autore dell'importante trattato politico Arthaśāstra (o Artha Shastra), che si può tradurre come "L'arte del benessere" o "La scienza della politica"[1].

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Ritratto di Cāṇakya sulla copertina dell'Arthaśāstra tradotto da R. Shamasastry, Bangalore Government Press, 1915
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Biografia

Riepilogo
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Le notizie biografiche di questo autore sono basate su leggende e tradizioni popolari. Non è sopravvissuto alcun documento storico circa la sua vita.[2]

Alcune di queste leggende asseriscono che Cāṇakya fosse consigliere di Dhana Nanda, l'ultimo re della dinastia Nanda dell'Impero Magadha, altre invece ritengono che fosse uno studioso vedico di Taxila e che avesse deciso di deporre Dhana Nanda dopo essere stato insultato durante una cerimonia di elemosina presso la sua corte.[2]

Cāṇakya avrebbe avuto un ruolo decisivo nell'ascesa al potere di Candragupta Maurya, il quale effettivamente pose fine alla dinastia Nanda, ottenendo il controllo dell'Impero Magadha. Alcune leggende ritengono che Candragupta fosse un cittadino comune, altre versioni invece ritengono che appartenesse a un ramo impoverito della dinastia Nanda. Cāṇakya lo avrebbe preferito a Pabbata, figlio di Dhana Nanda, nel suo intento di rovesciare il sovrano. Candragupta avrebbe così studiato da Cāṇakya per nove anni e avrebbe messo a frutto i suoi insegnamenti per regnare nell'Impero Magadha.[2] Cāṇakya sarebbe diventato così ministro del nuovo re e lo avrebbe aiutato a rafforzare il suo Stato.[1] Candragupta infatti consolidò la sua dinastia, evitò che Seleuco I rivendicasse l'eredità di Alessandro Magno in India ed espanse il suo impero.[3]

Dopo che Candragupta abdicò in favore del figlio Bindusara, Cāṇakya si sarebbe assicurato della stabilità del regno di quest'ultimo lasciandogli l'Arthaśāstra e avrebbe abbandonato la corte rifugiandosi in una foresta.[2]

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L'Arthaśāstra

Riepilogo
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Lo stesso argomento in dettaglio: Arthaśāstra.

L'Arthaśāstra è un trattato di filosofia politica e costituisce anche una sorta di manuale di buon governo. Il ritrovamento del testo originale avvenne nel 1904, quando un anonimo ne consegnò a un bibliotecario indiano un'antica copia scritta su foglie di palma.[1]

L'opera descrive i mezzi con cui uno Stato dovrebbe essere istituito e mantenuto per far fronte alle minacce estere e alle instabilità sociali. In assenza di uno Stato si assiste alla cosiddetta "legge dei pesci", per la quale il più potente ha il sopravvento sul più debole. Il ruolo di un monarca è quello di portare prosperità al suo popolo, accrescendo il potere dello Stato ed espandendo il territorio attraverso la conquista. Per far ciò occorre dunque promuovere il commercio, lo sviluppo delle infrastrutture e la rigorosa applicazione di un sistema di legge e ordine.[1]

Il fulcro del pensiero di Cāṇakya è costituito dalla protezione e dalla conquista territoriale. In tal senso, l'autore getta le basi della scienza delle relazioni internazionali. Alcune delle strategie descritte per portare a compimento tali obiettivi sono la conciliazione (attraverso lusinghe, corruzione o altri incentivi), la disseminazione del dissenso tra l'opposizione, la formazione di coalizioni con altri governanti, il consolidamento e l'uso dell'ostilità e della forza. La sua accondiscendenza nel ricorrere all'inganno e all'intrigo ha portato gli studiosi a paragonare Cāṇakya con Niccolò Machiavelli. L'opera tuttavia sottolinea costantemente la priorità del benessere del popolo e dei principi di ordine e giustizia. Il dovere di un conquistatore, ad esempio, è quello di "sostituire le proprie virtù ai vizi del nemico sconfitto, e dove il nemico era buono, egli sarà il doppio più buono".[1]

L'Arthaśāstra non sarebbe potuto esistere senza il totale rifiuto delle dottrine religiose da parte di Cāṇakya. L'autore infatti va oltre il concetto di nāstika (il rifiuto da parte del Giainismo e del Buddismo di credere all'esistenza del creatore vedico Brahman) e si rifiuta di credere nell'esistenza di qualsiasi forma di autorità soprannaturale. Questo pensiero non fu mai pienamente accettato ma offrì la possibilità di vedere il mondo in una luce non religiosa, completamente pragmatica.[2]

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Note

Voci correlate

Altri progetti

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