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Colonne d'Ercole

limite del mondo conosciuto alla cultura occidentale nell'antichità classica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Colonne d'Ercole
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Le Colonne d'Ercole (in Greco: Στῆλαι Ἡρακλέους, in Latino: Columnae Herculis) indicavano, per la cultura occidentale nell'antichità, il limite estremo del mondo conosciuto. Oltre che un concetto geografico, esprimono metaforicamente anche il concetto di "limite della conoscenza". Geograficamente le Colonne vengono tradizionalmente collocate presso lo Stretto di Gibilterra: una sul versante europeo, presso la Rocca di Gibilterra, un promontorio che sorge presso l'omonima città, e l'altra (la cui collocazione rimane oggetto di discussione) sul versante africano, collocata sul monte Jebel Musa oppure sul Monte Hacho, presso la città di Ceuta.

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Ercole trasporta le leggendarie colonne, smalto di Limoges metà del XVI secolo, Museo civico Ala Ponzone, Cremona.
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Il moderno monumento simbolico delle Colonne d'Ercole al Cancello degli Ebrei, Gibilterra.

I nomi mitici attribuiti ai monti alla cui pendici sorgerebbero le Colonne sono Calpe (sul versante europeo) e Abila (sul versante africano).

In alcuni studi moderni è stata avanzata l'ipotesi che, nelle fasi più antiche della civiltà greca, la posizione mitica delle Colonne potesse essere riferita a un'area più orientale, come il canale di Sicilia, prima di essere associata definitivamente allo Stretto di Gibilterra,[1] tuttavia la mancanza di un'unica fonte classica che supporti tale spostamento rende l'ipotesi speculativa.[2]

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Il mito delle Colonne d'Eracle

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Esistono diverse versioni del mito di Eracle (Ercole nella tradizione romana) relative all'origine delle Colonne. Secondo una di queste, Eracle ricevette da Euristeo l'ordine di catturare le mandrie di Gerione, terribile mostro a tre teste, con tre busti e sei braccia, figlio di Crisaore e dell'oceanina Calliroe. Durante il suo viaggio verso occidente, secondo Apollodoro (Biblioteca, II, 5, 10–11): «…Eracle giunse a Eritea, isola situata oltre l'Oceano, vicino a Gadeira… Dopo aver ucciso Eurizione e Orto, condusse le mandrie attraverso l’Oceano, e in memoria della sua traversata eresse colonne».[3] Secondo Diodoro Siculo (Biblioteca Storica, IV, 18): «Eracle, giunto al mare che bagna la Libia e l’Europa, e dove il continente è separato dall'Oceano, eresse due colonne sui monti che si fronteggiano, per commemorare il confine estremo raggiunto dalle sue imprese».[4]

In seguito, la tradizione geografica identificò questi monti con Calpe e Abila nello Stretto di Gibilterra[5] e poeti come Pindaro scoraggiavano gli uomini ad oltrepassare tale confine.[6][7]

Secondo un'altra versione del mito, riportata da diversi autori quali Strabone, Diodoro Siculo, Plinio il Vecchio[8] e Seneca[9], Eracle avrebbe creato lo Stretto stesso, dividendo l'Europa dall'Africa, tagliando in due una montagna che le avrebbe collegate in origine. Un'ulteriore versione del mito invece sosteneva che Eracle avesse ristretto l'ingresso per impedire ai mostri marini di entrare nel Mediterraneo. Strabone tratta entrambi questi miti come allegorie di cambiamenti geologici naturali spiegati in termini eroici.[10] Plinio il Vecchio riecheggia la stessa duplice tradizione. Seneca rappresenta Eracle che libera il mare e dà accesso all'Oceano all'umanità. Queste tradizioni sono successive e presentano Eracle che dona all'umanità l'accesso al mondo esterno, l'opposto della tradizione precedente di un Eracle che stabilisce un limite da non superare.

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Le Colonne nelle fonti classiche

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Le fonti più antiche che menzionano le Colonne d'Eracle sono del VI-V secolo a.C. Autori precedenti come Omero ed Esiodo non parlano di colonne erette specificamente da Eracle, anche se fanno uso del tema di colonne che segnano il confine del mondo con l'aldilà o il cielo, e queste sembrano aver ispirato le successive descrizioni della zona dove Eracle avrebbe eretto le Colonne.

Dall'Odissea [1.52-54] ci arriva un primo riferimento a "grandi colonne che separano terra e cielo", non associate ad Eracle ma bensì al Titano Atlante.[11] Esiodo, in Teogonia, ubica Atlante "ai confini della terra, prima della voce chiara delle Esperidi"[12] o "davanti alla dimora di Notte, davanti alle porte di Tartaro",[13] contemporaneamente inteso come l'oltretomba e l'estremo occidente. Ancora Esiodo menziona colonne nella casa della dea Stige, dea del fiume sotterraneo che porta lo stesso nome. Esiodo è anche il primo autore la cui opera sopravvive a menzionare le imprese di Eracle in Eritea, nella Teogonia descrive come Gerione fu ucciso, anche se non menziona colonne erette da Eracle in quel luogo.[14]

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L'area della civiltà di Tartesso

Stesicoro (VI secolo a.C., 650-555 circa), la cui opera intitolata Gerioneis sopravvive solo in frammenti, collega Eracle, Gadeira, Tartesso e l'Oceano. La descrizione che Stesicoro fa della nascita di Euritione vicino ad Eritea e Tartesso è simile alla descrizione della dimora di Stige in Esiodo, a questo punto della storia greca antica le scene mitologiche del lontano occidente vengono oramai collocate in un luogo poco conosciuto ma reale, l'area di Tartesso e Gadir. Stesicoro appare come la probabile fonte per l'idea che Eracle abbia eretto colonne in questa regione, infatti pseudo-Apollodoro afferma che l'eroe:

"procedendo a Tartesso [...] eresse come segni del suo viaggio due colonne una contro l'altra ai confini di Europa e Libia"

poco prima del suo incontro con Gerione [2.5.10].[15] Anche se non abbiamo frammenti di Stesicoro in cui si menzionino esplicitamente le "Colonne d'Eracle" è lui uno dei primi poeti a parlare delle imprese di Eracle in questa regione, legandosi alla tradizione successiva delle colonne.

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Ricostruzione della mappa di Ecateo di Mileto

Ecateo di Mileto (fine VI secolo a.C./inizio V secolo a.C.) nonostante la sua opinione dichiarata secondo cui l'incontro di Eracle con Gerione[16] ebbe luogo "sulla terraferma intorno ad Ambrakia e agli Anfilochi"[17] nella Grecia nordoccidentale, descrive la geografia del Mediterraneo a partire da occidente menzionando diverse città sulla costa dell'Iberia e della Libia, e ponendo le Colonne d'Eracle in questa regione, suggerendo che questa identificazione fosse già un luogo comune intorno al 500 a.C.[18][19]

Pindaro (V secolo a.C. circa) usa la frase "le Colonne d'Eracle" in senso metaforico/geografico, implicando un noto concetto di confine occidentale del mondo conosciuto oltre il quale è meglio non navigare.[20][21] Inoltre Pindaro descrive anche le isole dei beati[22] e altre terre oltre l'Oceano, e di come Eracle combatté mostri marini, probabile riferimento al suo combattimento contro Ladone durante la sua undicesima o dodicesima fatica, che lo portarono a ovest in cerca delle mele delle Esperidi[23], con questa e altre avventure occidentali che fanno da sfondo alla costruzione delle Colonne da parte di Eracle.

Erodoto (IV sec. a.C.) menziona Tartesso, Gadeira, e descrive i viaggi dei Fenici oltre le Colonne all'isola di Cerne: Libro 4, sezione 152 "I Fenici e i Cartaginesi raccontano di un mare oltre le Colonne di Eracle, dove si trova un'isola che chiamano Cerne...".[24] In Libro 4, sezione 8 descrive la circumnavigazione dell'Africa eseguita da navigatori Fenici per conto del re egiziano Nechos. Questi navigatori partirono dal Mar Rosso con ordine di tornare in Egitto per le Colonne d'Eracle.[25]

Platone (IV sec. a.C.) nel Timeo menziona Gadir[26] in prossimità delle Colonne d'Eracle e pone la Libia, la Tirrenia, la Grecia e l'Egitto entro le Colonne, descrive inoltre il Mediterraneo come un porto dallo stretto imbocco se paragonato al vero mare che sta al di fuori. Parla di Atlantide, ed accenna ad un ulteriore continente dall'altra parte dell'Atlantico, che sembra circondare quel vero mare. Al di là delle Colonne descrive la presenza di fondali bassi e banchi di fango.[27]

Aristotele (IV sec. a.C.) conferma l'ubicazione delle Colonne al confine con l'Oceano e pone tutto il Mediterraneo entro le colonne: "[...] facendosi strada con uno stretto passaggio alle cosiddette Colonne d'Eracle, l'Oceano penetra nel mare interno come in un porto e, allargandosi poco a poco, si estende abbracciando grandi golfi [...] che costituiscono le cosiddette Sirti, delle quali l'una è denominata Grande e l'altra Piccola. Dall'altra parte non forma più golfi simili a essi e forma invece tre mari, ossia il Mar di Sardegna, il Mare di Galazia e l'Adriatico e, subito appresso, situato in senso obliquo, il Mare di Sicilia". Anch'egli al di là delle Colonne descrive fondali bassi e la presenza di fango e melma.

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Oltre le Colonne

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La Rojigualda, la bandiera spagnola, presenta le colonne d'Ercole ai lati dello scudo

La presenza di banchi di fango e altri ostacoli quali alghe e mostri marini oltre le Colonne sono menzionati da vari autori ed esploratori come il cartaginese Imilcone e Pitea. Questi ostacoli rendevano difficile la navigazione a chi si avventurava oltre le Colonne, diverse spedizioni come quelle di Sesostris e Sataspes dovettero tornare indietro a causa dell'impraticabilità del mare.

È stato ipotizzato che questi racconti di pericoli oltre le Colonne rappresentassero in parte propaganda fenicia (e successivamente cartaginese) volta a scoraggiare le ambizioni greche (e successivamente romane) nella regione. Come le balene sono alla base dei mostri marini in questi racconti, così i banchi di fango sarebbero alla base della barriera di fango impenetrabile oltre le Colonne.

Inoltre, al di là delle colonne:

  • Gli autori Greci e Romani ponevano le isole dei beati, le Esperidi, i campi elisi.
  • Platone vi colloca Atlantide, mitica isola ricca di argento e di metalli, potenza navale conquistatrice che novemila anni prima dell'epoca di Solone, dopo avere fallito l'invasione del Mediterraneo, sprofondò in un giorno e una notte.
  • Dante invece pone a cinque mesi di navigazione oltre le Colonne il monte del Purgatorio, che Ulisse riesce a vedere prima che lui e i suoi compagni vengano travolti da un turbine divino (Canto XXVI).
  • L'epoca della scoperte geografiche portò nuovo interesse per il tema delle Colonne, come per Atlantide e gli altri luoghi situati al di là. Il re spagnolo Carlo V (XVI secolo) adottò il motto "plus ultra" (dal precedente "non plus ultra"), rappresentando la Spagna come potenza che "oltrepassa" i limiti della conoscenza.

Note

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