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Corpo (filosofia)

concetto filosofico Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Corpo (filosofia)
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Il termine corpo in filosofia ripropone il significato del linguaggio comune intendendolo come un ente esteso nello spazio e percepibile attraverso i sensi. Le caratteristiche fisiche, biologiche, meccaniche del corpo di cui si è interessata la filosofia ai suoi inizi, sono state poi oggetto dello specifico pensiero scientifico, mentre la storia della filosofia nella sua totalità si è occupata in particolare del difficile rapporto tra il corpo e l'anima, o la mente.

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Disegno di Cartesio sul modo in cui gli impulsi sensori si trasmettono, attraverso gli spiriti animali, alla ghiandola pineale situata nel cervello e quindi allo spirito immateriale (dal trattato Sull'uomo, 1662)
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Filosofia antica

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Nella filosofia antica e medioevale possiamo rintracciare due concezioni di questa relazione anima-corpo: la prima risale all'interpretazione orfico-pitagorica secondo la quale il corpo, detto in greco soma, è un'entità di natura completamente diversa e separata rispetto all'anima; teoria questa ripresa da Platone che afferma che il corpo è la "tomba" dell'anima.[1] L'anima, infatti, decaduta dalla sua condizione iniziale di perfezione ideale ed eternità si trova prigioniera in un'entità corruttibile e mortale.

Al dualismo platonico si connettono sia la patristica[2] sia la prima fase della scolastica.[3]

La seconda concezione del rapporto anima-corpo si ritrova in Aristotele che sostiene che le due entità non siano separate ma costituiscano elementi separabili di un'unica sostanza: il corpo è la materia intesa come potenzialità, quella che offre possibilità di sviluppo, l'anima è la forma, la realizzazione di quelle possibilità materiali tramutatesi in attuali. L'anima è la vita che possiede in potenza un corpo. Il corpo cioè è un puro e semplice strumento dell'anima: ma non uno strumento inerte ma tale che possiede «in se stesso il principio del movimento e della quiete»[4]

Ponendo nel cuore la sede dell'anima, Aristotele darà vita a un dibattito sull'effettiva collocazione delle sue virtutes o capacità potenziali che essa è destinata ad attuare (da lui distinte in vegetativa, sensitiva e intellettiva), dopo che Galeno assegnò alle tre analoghe funzioni platoniche dell'anima tre «spiriti» (pneumata) risiedenti rispettivamente nel fegato, nel cuore e nel cervello, pensati come sostanze sottilissime che fungevano da intermediarie nella difficile questione del rapporto dualistico tra mente e materia.[5]

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Filosofia medioevale

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Il corpo inteso come strumento dell'anima si ritrova nello stoicismo, nell'epicureismo e nella scolastica: per Tommaso d'Aquino il corpo si dirige a realizzare l'anima e le sue attività razionali allo stesso modo in cui la materia aspira a realizzare la forma,[6] fino a tendere a diventare parte del Corpo Mistico[7].

Questa concezione del corpo come strumento rispetto all'anima non fu condivisa, nell'ambito della scolastica, dall'agostinismo che vede nel corpo la forma corporeitatis per cui in questo, indipendente dall'anima, vi è sia potenza che atto, e l'anima è un'ulteriore sostanza che si aggiunge ad esso.

Nelle correnti neoplatoniche medievali e rinascimentali, che rifacendosi ad esempio a San Paolo ed Origene adottavano una concezione tripartita dell'essere umano,[8] l'anima costituiva dunque un ulteriore «corpo» di natura astrale, oltre a quello fisico, di cui sarebbe rivestito lo spirito umano. La questione se quest'ultimo, cioè la parte superiore e più spirituale dell'uomo, fosse unita con la parte carnale solo indirettamente per il tramite dell'anima mediana, fu oggetto di dibattiti circa la sua anatomia occulta.[9] Ficino, Agrippa, e altri esponenti di correnti ermetiche, esoteriche e rosacrociane, ribadirono la concezione platonica di una «carrozza» animica, fatta di sostanza delle stelle, che collega l'anima razionale più pura al corpo materiale.[10]

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La filosofia moderna

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La dipendenza strumentale del corpo rispetto all'anima finisce con Cartesio per il quale corpo e anima sono due sostanze, il primo res extensa, sostanza estesa e non pensante, la seconda, res cogitans, sostanza pensante e non estesa[11]. Tra le due sostanze non vi è alcun nesso causale: il corpo è «come un orologio, o un altro automa (ossia una macchina che si muove da sé).»[12]

La separazione del corpo dall'anima diede origine a dottrine dualistiche e monistiche che cercavano di risolvere il problema del rapporto tra eventi incorporei e corporei.

Tra le concezioni dualistiche la prima è quella cartesiana dell'interazionismo che teorizza uno stretto scambio di azioni tra le due sostanze riducendo così la diversità tra fatti corporei e incorporei fin quasi ad annullarla.

In opposizione a questo dualismo nella seconda metà del XVII secolo per le dottrine dell'occasionalismo di Nicolas Malebranche[13] e di Arnold Geulincx l'anima e il corpo sono unite dall'esistenza di Dio.

Nell'ambito del monismo va inserita la soluzione di Leibniz che vide un parallelismo tra eventi corporei e incorporei connessi non da un rapporto causale ma da un regolare e continuo legame per cui ad ogni evento materiale ne corrisponde uno immateriale secondo un'"armonia prestabilita" tale per cui «i corpi agiscono come se, per impossibile, non esistessero anime; le anime agiscono come se non esistessero i corpi; ed entrambi agiscono come se le une influissero sugli altri»[14]

Tra monismo e pluralismo si colloca la filosofia di Spinoza che concepisce «la mente e il corpo come un solo identico individuo, che è concepito ora sotto l'attributo del pensiero, ora sotto quello dell'estensione»[15] Nell'unica sostanza divina infatti coincidono corpo e anima ossia i due attributi dell'estensione e del pensiero che mantengono però la loro diversità in quanto coincidenti solo in Dio.

Un rigoroso monismo caratterizza invece la filosofia illuministica con le teorie materialiste dell'uomo-macchina di Julien Offray de La Mettrie e Paul Henri Thiry d'Holbach secondo le quali le attività mentali dell'uomo dipendono meccanicamente dal corpo.

Collegato al materialismo settecentesco è in parte la filosofia di Karl Marx secondo il quale i pensieri e i sentimenti dell'uomo scaturiscono dai suoi comportamenti corporei[16]

Intendendo il materialismo in senso diverso da quello marxiano, Friedrich Nietzsche imposta una dottrina esaltante la corporeità in contrapposizione alla metafisica idealistica[17]

La concezione monistica che intende il corpo in senso idealistico annovera:
George Berkeley che vede il corpo e ogni realtà materiale come una produzione mentale poiché solo la mente e le sue percezioni sono reali;[18] Arthur Schopenhauer, per cui il corpo è nella sua essenza "volontà di vivere" e gli oggetti materiali semplici oggettivazioni della volontà;[19] Henri Bergson che considera il corpo un semplice strumento dell'azione pratica di una coscienza spirituale[20].

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Filosofia contemporanea

Da Schopenhauer e Bergson derivano le concezioni del corpo della fenomenologia e dell'esistenzialismo: per Edmund Husserl attraverso una molteplicità di riduzioni fenomenologiche il corpo viene isolato come esperienza vivente.[21] Concezione condivisa secondo diversi modi da Jean Paul Sartre[22] e Maurice Merleau-Ponty.[23]

La moderna concezione del corpo è oggi ulteriormente influenzata dalle neuroscienze e dalle ricerche sull'embodiment, o incorporazione, teoria che pone l'accento sull'importanza del corpo nelle esperienze umane e nella cognizione. Secondo questa prospettiva, il corpo non è semplicemente un contenitore passivo per la mente, ma svolge un ruolo attivo nella formazione della conoscenza, delle emozioni e dell'identità personale. Le esperienze corporee influenzano il modo in cui percepiamo il mondo, prendiamo decisioni e interagiamo con gli altri.[24]

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Note

Bibliografia

Voci correlate

Altri progetti

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