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Dignitatis Humanae

dichiarazione emanata nel Concilio Vaticano II Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

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La Dignitatis Humanae è una dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa. Approvato con 2 308 voti favorevoli e 70 contrari dai vescovi radunati in concilio, fu promulgato da papa Paolo VI il 7 dicembre 1965.

Il titolo latino Dignitatis Humanae significa circa la dignità dell'uomo e deriva dalle prime parole del decreto stesso.

Essa rappresenta l'affermazione del principio della libertà religiosa. Un certo numero (circa il 10%) dei padri conciliari erano su posizioni favorevoli al principio della tolleranza religiosa; al momento della firma del documento solo 70 non lo firmarono.

L'enciclica fu aspramente contestata da Mons. Marcel Lefebvre e da numerosi cattolici tradizionalisti. Nel 1965 il cardinale Giuseppe Siri intervenne in suo favore, anticipando quell'ermeneutica della continuità che fu propria anche di papa Benedetto XVI.[1]

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Indice

  • Proemio
  • I - Aspetti generali della libertà religiosa
  • II - La libertà religiosa alla luce della rivelazione
  • Conclusione

Contenuti

Riepilogo
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«L'unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidata la missione di comunicarla a tutti gli uomini»

Quest'affermazione riprende il concetto espresso dalla costituzione dogmatica Lumen Gentium, che era stata approvata il 21 novembre 1964. L'interpretazione del subsistit in ha lasciato spazio a tesi tipiche dell'ermeneutica della discontinuità, secondo cui la vera religione potrebbe sussistere anche in altre chiese o religioni, ma è stata autorevolmente chiarita il 6 agosto 2000 con la dichiarazione Dominus Iesus della Congregazione per la Dottrina della Fede, che afferma che «esiste un'unica Chiesa di Cristo, che sussiste nella Chiesa cattolica governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui».[2]

«Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa»
«Quanto questo Concilio Vaticano [secondo] dichiara sul diritto degli esseri umani alla libertà religiosa ha il suo fondamento nella dignità della persona, le cui esigenze la ragione umana venne conoscendo sempre più chiaramente attraverso l’esperienza dei secoli. Anzi, una tale dottrina sulla libertà affonda le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più va rispettata con sacro impegno dai cristiani»

Significativamente, il diritto alla libertà religiosa viene fondato sulla Rivelazione divina, conferendo un carattere dogmatico alla sua affermazione quale diritto dell'ordine divino della Creazione e, di conseguenza, dell'ordine naturale manifesto nella storia umana e nella vita delle singole persone.[3] Ogni persona ha il diritto alla libertà religiosa, cioè ogni persona deve essere libera nel credere secondo la propria coscienza, e nessuno, singolo, gruppo o stato, può costringerla a cambiare idea. L'esercizio di questa libertà è “entro debiti limiti”: cioè nel rispetto della legge morale naturale.

«Il diritto alla libertà religiosa si fonda sulla stessa dignità della persona umana»
«Gli imperativi della legge divina l'uomo li coglie e li riconosce attraverso la sua coscienza, che è tenuto a seguire fedelmente… Non si deve quindi costringerlo ad agire contro la sua coscienza»

Attraverso queste due affermazioni il Concilio espone i fondamenti della libertà religiosa:

  • la dignità della persona umana (libera nel decidere e orientare la propria vita) e
  • la voce della coscienza (luogo dell'incontro di Dio con l'uomo, cfr. Gaudium et Spes).
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Fraternità sacerdotale San Pio X

Riepilogo
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L'arcivescovo Marcel Lefebvre citò questo documento come una delle ragioni principale delle sue difficoltà ad accettare il Concilio Vaticano II. Essa rimase un bersaglio degli attacchi dei tradizionalisti nel XXI secolo.[4] La posizione del Vaticano secondo cui la FSSPX dovrebbe riconoscere l'autorità della Dignitatis humanae e della Nostra aetate rimaneva ad aprile 2017 un punto chiave di divergenza tra le due parti.[5]

La Fraternità San Pio X ha criticato con un argomento storico il modo in cui la Dignitatis humanae ha affrontato il tema della libertà religiosa:

«I santi non hanno mai esitato a distruggere gli idoli, a demolire i loro templi o a legiferare contro le pratiche pagane o eretiche. La Chiesa, senza mai costringere nessuno a credere o a farsi battezzare, ha sempre riconosciuto il proprio diritto e dovere di proteggere la fede dei propri figli e di impedire, ove possibile, l'esercizio pubblico e la propagazione di culti falsi. Accettare l'insegnamento del Vaticano II significa ammettere che, per due millenni, i papi, i santi, i Padri e i Dottori della Chiesa, i vescovi e i re cattolici hanno costantemente violato i diritti naturali degli uomini senza che nessuno nella Chiesa se ne accorgesse. Una tesi del genere è tanto assurda quanto empia.[6]»

La Fraternità sacerdotale San Pio X ha rigettato la Dignitatis Humanae, in particolare il n. 2, ripreso dal n° 2108 del Catechismo della Chiesa cattolica, che afferma: «Questo diritto naturale [alla libertà religiosa] deve essere riconosciuto dall’ordinamento giuridico della società, così da costituire un diritto civile».

La posizione della Fraternità trova conforto nel magistero di Pio IX e Leone XIII.

Papa Pio IX nell'enciclica Quanta cura (1864), pur ammettendo la tolleranza dell'errore da parte dei poteri pubblici, affermò che non si poteva riconoscere il diritto alla libertà di esprimersi pubblicamente e diffondersi a quelle religioni che non si ponevano al servizio della Verità, come quella cattolica.

Leone XIII, nell'enciclica Libertas, spiegò che una falsa religione non ha diritto di diffondersi.[7][8]

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Note

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