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Fortune plango vulnera
testo poetico goliardico in latino medievale, parte dei Carmina Burana Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Fortune plango vulnera (in italiano Piango le ferite della fortuna) è un testo poetico goliardico in latino medievale, il carme numero 16 della raccolta nota come Carmina Burana.[1]
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Testo e traduzione
(latino)
«Fortune[Nota 1] plango vulnera
stillantibus ocellis
quod sua mihi munera
subtrahit rebellis
Verum est, quod legitur
fronte capillata
sed plerumque sequitur
Occasio calvata
In Fortunae solio
sederam elatus
prosperitatis vario
flore coronatus
Quicquid enim florui
felix et beatus
nunc a summo corrui
gloria privatus
Fortune rota volvitur
descendo minoratus
alter in altum tollitur
nimis exaltatus
Rex sedet in vertice
caveat ruinam
nam sub axe legimus
(italiano)
«Piango le ferite della Fortuna
«Piango le ferite della Fortuna
con occhi zampillanti [di lacrime],
poiché lei, ribelle,
mi toglie i suoi doni.
È vero ciò che si legge:
la [sua] fronte è coperta da capelli;
ma di solito è seguita
da un'occasione calva. [Nota 2]
Sul trono della Fortuna
sedevo tutto tronfio,
coronato dai molti fiori
della prosperità.
[Ma] così come un tempo fiorii,
felice e beato,
ora sono precipitato dall'alto
privato della [mia] gloria.
La ruota della Fortuna gira:
io scendo, annientato;
un altro è portato in alto
e poi ancora più in alto.
[Adesso] un re siede in cima
[ma] tema la caduta!
Infatti sotto l'asse si legge
"Regina Ecuba" [Nota 3]»
Note al testo
- Il dittongo ae, più corretto in latino classico, è in genere eliso nel latino medievale.
- Questa è un'immagine allegorica della Fortuna, la cui fronte è coperta di capelli (che le offuscano la vista, rendendola incapace di scegliere chi favorire) mentre la nuca è calva: significa che, una volta passata, l'occasione di essere fortunati non può più essere colta.
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Analisi
Riepilogo
Prospettiva
Il carme (indicato a posteriori con la sigla CB17) si trova nella sezione dei Carmina Burana intitolata De avaritia, comprendente ammonimenti morali diretti a chi si lascia corrompere dal vizio dell'avidità; come altri del gruppo (massimamente il celebre O Fortuna, che nel Codex Buranus è il carme successivo) esso ha come tema centrale il fato, presentato come un'entità capricciosa e imprevedibile, in grado di influenzare direttamente la vita umana[2][3].
Come altri componimenti presenti nella raccolta, esso si presenta in forma di lamentazione: l'autore parla in prima persona delle nefaste conseguenze della Fortuna sulla propria vita; in particolare, afferma di avere in passato goduto dei suoi doni (potere, ricchezza, prestigio), ma di esserseli visti in seguito sottrarre. Nel testo vengono utilizzate delle immagini allegoriche e mitologiche molto diffuse nel Medioevo, in parte sopravvissute fino ai nostri giorni: la Fortuna è presentata come un inquietante essere coi capelli che crescono al contrario, a causa dei quali ella non vede chi favorire e non può essere acchiappata una volta sfuggita; il rovesciamento di ruoli è invece simbolizzato dalla ruota della fortuna e dal richiamo alla vicenda mitologica di Ecuba[2][3] .
Non è sopravvissuta la notazione neumatica di questo carme, sebbene la struttura metrica consenta di ipotizzare che esso fosse cantabile[4].
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Carmina Burana di Carl Orff
Il brano è celebre per essere stato musicato nel 1935/36 dal compositore tedesco Carl Orff come parte dei suoi Carmina Burana, che debuttarono all'Opera di Francoforte l'8 giugno 1937. All'interno dei Carmina Burana di Orff, questa canzone è il secondo movimento nel prologo, Fortuna Imperatrix Mundi (Fortuna imperatrice del mondo), e segue la celebre introduzione O Fortuna.
Note
Bibliografia
Altri progetti
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