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Fraticelli

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I Fraticelli furono un movimento religioso sorto nel XIV secolo all’interno del francescanesimo, sviluppatosi come espressione radicale della corrente dei Francescani spirituali.[1] Essi sostenevano un’interpretazione rigorosa e letterale della Regola di san Francesco d’Assisi, in particolare riguardo al voto di povertà, rifiutando ogni forma di possesso o di ricchezza sia individuale sia collettiva.[2] Considerati eretici dalla Chiesa cattolica, i Fraticelli si opposero apertamente alla politica papale, accusando il clero e i vertici dell’Ordine francescano di aver tradito l’ideale evangelico di povertà e umiltà.[3]

Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Fraticelli (disambigua).

Il movimento ebbe origine dalle tensioni interne all’Ordine dei Frati Minori tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, in seguito alle controversie sulla povertà di Cristo e degli Apostoli e alle posizioni teologiche elaborate da Pietro di Giovanni Olivi.[4] Dopo la condanna delle dottrine spirituali da parte di papa Giovanni XXII (1317–1323), molti seguaci radicali si separarono dall’Ordine e si organizzarono in comunità autonome, spesso clandestine, diffuse in Italia centrale, in Provenza e nella penisola iberica.[5]

Malgrado le persecuzioni e le condanne ufficiali, i Fraticelli conservarono una certa influenza spirituale e sociale per oltre un secolo, ispirando successive correnti di riforma francescana e mantenendo viva l’idea di un ritorno alla purezza evangelica originaria.[6]

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Origine del termine

Riepilogo
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Il vocabolo fraticelli appare nelle fonti a cavallo fra XIII e XIV secolo, inizialmente come appellativo popolare o denigratorio attribuito a religiosi che conducevano una vita povera ed eremitica ai margini della Chiesa ufficiale. [7] La prima attestazione sistematica del termine in un documento pontificio è nella bolla Sancta Romana emanata da Giovanni XXII il 30 dicembre 1317, che condannava «nonnulli viri prophane multitudinis qui vulgariter Fraticelli seu fratres de paupere vita...». [8] Con questo atto il termine venne codificato nel linguaggio giuridico della Curia, ma la bolla elencava anche altri nomi – Bizzochi, Beghini – e faceva riferimento a regioni diverse, dall’Italia alla Provenza, segno che la parola non designava ancora un gruppo preciso. [9]

Nelle fonti francescane coeve, fraticelli non è una denominazione assunta dagli interessati, ma un nome imposto dall’esterno. [10] Il caso più celebre è quello di Michele da Calci, che, secondo la passio che ne racconta il martirio, reagì con stizza alla lettura della sentenza che lo definiva “eretico dei fraticelli della povera vita”, replicando:

««Non so che fraticelli: frati minori di san Francesco che osservano la regola!» [11]»

Questo rifiuto rivela la tensione tra l’«identità attribuita» dagli inquisitori e l’«identità prescelta» dei religiosi che si ritenevano fedeli al carisma di san Francesco. [12]

Angelo Clareno (Pietro da Fossombrone), figura centrale del movimento spirituale marchigiano, evitò accuratamente di utilizzare la parola fraticelli. [13] Nel suo epistolario, come nota Lambertini, non compare mai: Clareno preferisce espressioni come fratres pauperes o pauperes humiles. [14] Solo nella Historia septem tribulationum ordinis minorum il termine appare, ma sempre in bocca agli avversari, come Bonagrazia da Bergamo. [15] Per Clareno, dunque, fraticelli è una designazione polemica, utile a stigmatizzare coloro che difendono la povertà radicale e a relegarli nell’eresia. [16]La sua assenza dalle lettere mostra una precisa strategia: prendere le distanze da una parola compromessa e carica di significati inquisitoriali. [17]

Un atteggiamento diverso emerge nelle lettere in volgare dell’agostiniano Gentile da Foligno, vicino alla cerchia clarena. [18] In una missiva indirizzata a un certo Matteuccio da Gubbio, Gentile difende la «vita dei fraticelli» come autentica forma di sequela evangelica e contesta che la scomunica di Giovanni XXII fosse rivolta contro di loro. [19] Egli sostiene che la decretale colpiva solo coloro che avevano istituito nuovi ordini e indossato abiti religiosi senza licenza pontificia, mentre i veri fraticelli avevano rinunciato a «prelazione, abito e nome» e perciò non potevano essere condannati. [20] Nella prospettiva di Gentile, fraticelli non indica un gruppo eretico, ma un insieme di cristiani poveri e umili che «seguono, secondo lo podere della fragilità umana, lo evangelio santo di Cristo con umiltà di core». [21] Il termine assume così un valore positivo e morale, non più solo giuridico. [22]

Con il consolidarsi della repressione pontificia, fraticelli divenne una vera e propria categoria inquisitoriale. [23] Le lettere di Giovanni XXII e di Benedetto XII negli anni 1330 parlano di fraticelli de paupere vita presenti nella Marca Anconetana, a Camerino, Fermo, Matelica e San Ginesio. [24] In tali documenti il termine è ormai tecnico e identifica i seguaci di Clareno, indicato come “caput seu magister eorum”. [25] Nella documentazione locale, tuttavia, la parola continua a essere usata in senso più ampio, talora per indicare semplici eremiti o penitenti dediti alla povertà evangelica. [26] Ciò mostra come la codificazione giuridica non cancellò la sua plurivocità semantica. [27]

Secondo Lambertini, la storia del termine fraticelli rivela una costante ambiguità. [28] Dopo la Sancta Romana, la parola è «troppo stretta» quando si riferisce esclusivamente a gruppi condannati come eretici, ma anche «troppo larga» perché nel linguaggio comune continua a indicare esperienze religiose molto diverse tra loro. [29] Per la storiografia contemporanea, il termine non designa un ordine né una setta unitaria, ma piuttosto una costellazione di gruppi e individui accomunati dal desiderio di vivere il Vangelo nella povertà più radicale. [30] Nella Marca d’Ancona, come altrove, esso divenne un nome conteso: uno strumento di stigmatizzazione per gli avversari, ma anche un possibile segno di fedeltà evangelica per chi lo reinterpretava dall’interno. [31]

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I Fraticelli de opinione

Il termine moderno "Fraticelli de opinione" indica, nell'ambito dei dissidenti francescani, coloro che appartenevano alla cerchia di Michele da Cesena, il quale aveva trovato rifugio a Monaco presso l'imperatore Ludovico il Bavaro dopo la sua fuga da Avignone nel 1328. Per questo motivo essi sono noti anche come Michelisti.

Essi vennero detti "Fraticelli de opinione" perché - come per altro aveva fatto tutto l'Ordine francescano prima di scontrarsi con papa Giovanni XXII - difendevano la tesi (opinio) della assoluta povertà di Gesù Cristo e degli apostoli, contro le bolle dottrinali di Giovanni XXII, da loro accusato di essere eretico.

Alcuni di questi seguaci di Michele da Cesena erano sparsi anche in Italia centrale.

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Note

Bibliografia

Voci correlate

Collegamenti esterni

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