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Furbo di tre cotte

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Furbo di tre cotte o di sette cotte è un modo di dire riferito figurativamente a una persona estremamente furba, dotata di un'astuzia sottile e di raffinata intelligenza [1].

Uso

L'espressione si trova attestata in Pietro Aretino (1546) [2], in Federico De Roberto che nell'opera I Viceré (1892) narra di un "Abate borbonico di tre cotte"[3] e in Eugenio Montale, che nella raccolta di racconti brevi scritti tra il 1946 e il 1950, intitolata Farfalla di Dinard, scrive di "un cozzone della Camargue, un cafone di tre cotte" [4].

Il termine "cotte" sta per "cottura" e si riferisce in alcuni casi al processo di raffinazione o di distillazione di alimenti o bevande tanto più purificati quanto più volte sottoposti al procedimento della cottura, per esempio tre o sette volte. Scriveva ad esempio Domenico Auda [5]: «acqua vita di sette cotte, cioè della più purgata che si possi avere» [6].

In particolare, il procedimento delle tre cotte si usava per la raffinazione dello zucchero da canna in Sicilia per cui «[...]chi lo vuole perfettissimo e finissimo, lo fa di tre cotte, ricocendolo e ripurgandolo al fuoco tre volte» [7].

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Note

Bibliografia

Voci correlate

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