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Homoousion
concetto teologico cristiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Homoousion (in greco: ὁμοούσιον, homooúsion, letteralmente «stesso essere», «stessa essenza», dal greco ὁμός, homós, «stesso», e οὐσία, ousía, «essere» o «essenza») è un termine teologico cristiano, traducibile come consustanzialità, utilizzato principalmente nel credo niceno per descrivere la natura di Gesù (il «Figlio») «della stessa sostanza» (ὁμοούσιον τῷ Πατρί) del «Padre» (Dio); lo stesso termine fu utilizzato successivamente anche per descrivere la relazione dello Spirito Santo con il Padre e il Figlio. Queste nozioni sono diventate le fondamenta della teologia della cristianità nicena, e rappresentano uno dei concetti teologici più importanti della dottrina trinitaria di Dio.

Nel corso del IV secolo sorse un importante contrasto riguardo all'uso di questo termine, che vide da una parte i sostenitori del credo niceno che promuovevano l'uso di homoousion, dall'altra gli ariani che sostenevano (per lo più) l'uso del termine homoiousion («di sostanza simile»), oltre ad altre fazioni che proponevano soluzioni alternative come quella subordinazionista del Figlio nei confronti del Padre.[1]
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Lessico
Riepilogo
Prospettiva
Il termine ὁμοούσιον (homoousion) è l'accusativo di ὁμοούσιος (homoousios), che può essere tradotto come «consustanziale», cioè «della stessa sostanza», «che condivide la sostanza»; fu utilizzato dal primo concilio di Nicea nel 325, allo scopo di specificare la natura di Cristo-Figlio in relazione a quella di Dio Padre.
L'originale termine greco fu tradotto in altre lingue. La lingua latina manca di un participio presente del verbo «essere», e per tale motivo emersero due diverse varianti: poiché all'interno dell'aristotelismo il termine ousia era comunemente tradotto in latino come «essentia» («essenza») o come «substantia» («sostanza»), «homoousios» fu tradotto come «coessentialis» o «consubstantialis», da cui i termini italiani «co-essenziale» e «consustanziale», sebbene il secondo termine possa avere un senso più ampio.
Il termine ousia è utilizzato da Aristotele con due accezioni:[2]
- come sostanza prima o individuo (es. Marco, Andrea, Francesca);
- come sostanza seconda o essenza per indicare ciò che è comune alle sostanze prime (ad esempio "uomo"). omousion intende dire che il Padre e il Figlio sono la stessa sostanza seconda o essenza divina, che accomuna l'essere del Padre e quello del Figlio; se, infatti, si affermasse che essi sono lo stesso individuo si cadrebbe nell'eresia di Sabellio e del modalismo secondo la quale l'unico vero Dio sarebbe il Padre, mentre il Figlio sarebbe un modo di essere di quest'ultimo.
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Utilizzo pre-niceno
Riepilogo
Prospettiva
Il termine ὁμοούσιος fu utilizzato anche prima della sua adozione da parte del concilio di Nicea: le prime tracce del suo uso provengono da quella varia aggregazione di correnti cristiane che prende il nome di gnosticismo, che sembra averlo introdotto.[3] Verosimilmente i teologi della Chiesa delle origini erano a conoscenza di questo concetto, e della relativa dottrina dell'emanatismo diffusa in ambito gnostico.[4]
In ambito gnostico, la parola ὁμοούσιος è utilizzata con i seguenti significati:
- identità della sostanza tra generatore e generato;
- identità della sostanza tra cose generate della stessa sostanza;
- identità della sostanza tra i membri di una sizigia (cioè di coppia maschio/femmina in un Eone secondo la dottrina valentiniana).
Per esempio, Basilide, il primo pensatore gnostico di cui sia attestato l'uso di ὁμοούσιος (prima metà II secolo), parla di una triplice figliolanza consustanziale con un Dio che non lo è.[5] Il valentiniano Tolomeo afferma, nella sua Lettera a Flora, che è natura del Dio buono quella di generare solo esseri che siano simili e consustanziali a sé stesso.[6]
Si può dunque affermare che, sebbene il termine ὁμοούσιος fosse già in uso entro la metà del II secolo in ambito gnostico, e sebbene tale uso sia stato noto agli altri cristiani tramite le opere degli studiosi di eresie, tale uso non avesse nulla a che fare con il contesto in cui fu utilizzato all'interno del credo niceno.
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Nella Scolastica
Nella filosofia Scolastica e secondo Aristotele[7], la generazione nei viventi era definita in latino come origo alicuius viventis a viventi principio coniuncto in similitudinem naturae.[8] La definizione riguardava anche la generazione di Dio Figlio da parte di Dio Padre.
Essa indica la generazione di un vivente come origine da un vivente al quale il generato sia stato sostanzialmente unito (a viventi principio coniuncto) e di cui il generato condivida la stessa natura. Ciò indica che il generato deve procedere dalla stessa sostanza del generante e, proprio in questo aspetto, la generazione si distingue dalla creazione.[9]
L'ellenizzazione del cristianesimo
Il Concilio di Nicea segnò l'ellenizzazione del Cristianesimo con l'ingresso nel pensiero cristiano di termini come sostanza, essenza, ipostasi, estranei alla Bibbia e mutuati dalla filosofia greca.[10]
La tendenza a definire idee o concetti era propria di quest'ultima piuttosto che del mondo ebraico e passò principalmente al Cristianesimo latino.
I Protestanti criticarono tale "contaminazione" della fede con la filosofia (sola fides).
Secondo il Magistero cattolico, il dogma precisa i contenuti della fede alla luce della Tradizione, chiarificandoli in termini linguistici.
Ad esempio, l'espressione biblica "Figlio di Dio" poteva indicare l'adozione filiale divina di un uomo, da un certo momento in poi reso partecipe della sostanza divina, oppure la generazione di un Figlio che per natura è essenza è Dio stesso. Il termine Homoousion chiarì che Gesù corrispondeva a questa seconda accezione.
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Note
Bibliografia
Altri progetti
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