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Nazionalbolscevismo

ideologia politica che unisce bolscevismo e nazionalismo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Nazionalbolscevismo
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Il nazionalbolscevismo (o bolscevismo nazionale) è un'ideologia politica che combina elementi del bolscevismo e del nazionalismo. Ha avuto manifestazioni significative nella Germania di Weimar, nell'Unione Sovietica del periodo staliniano e, più recentemente, nella Russia postsovietica. Sostiene posizioni variamente descritte come nazionalrivoluzionarie, tradizionaliste, anticapitaliste e, sul piano geopolitico, antioccidentali e antiamericane.

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Membri del Partito Nazional Bolscevico nel 2006

Un altro termine associato a questa ideologia è rossobrunismo, che unisce il rosso, colore tradizionalmente legato al movimento operaio, al bruno, adottato dalle squadre paramilitari nazionalsocialiste in Germania ("camicie brune").

Gli aderenti al nazionalboscevismo contemporaneo, presente soprattutto sulla scena politica russa, sono talvolta colloquialmente indicati come nazbol (in russo нацболы?, natsboly)[1].

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Germania

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Il gruppo di Amburgo

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Heinrich Laufenberg, uno dei fondatori del nazionalbolscevismo tedesco, fu espulso prima dal KPD e successivamente dal partito nato dalla scissione della sua ala sinistra, il KAPD, a causa delle sue posizioni ritenute incompatibili con l'internazionalismo proletario

La sconfitta dell'Impero tedesco nella prima guerra mondiale portò alla rivoluzione del 1918 e all'instaurazione della Repubblica di Weimar. Durante la rivoluzione e nell'immediato dopoguerra, Heinrich Laufenberg e Fritz Wolffheim, militanti della frazione di "sinistra" del Partito Comunista di Germania (KPD) e attivi nei consigli rivoluzionari di Amburgo, elaborarono una linea politica che mirava a unire la rivoluzione proletaria alla lotta nazionale del popolo tedesco. A causa della loro apertura a posizioni nazionaliste e del loro antiparlamentarismo, Laufenberg e Wolffheim furono espulsi dal KPD nell'ottobre 1919. In seguito, dopo la scissione dell'ala sinistra del KPD, parteciparono alla fondazione del Partito Comunista Operaio di Germania (KAPD) nell'aprile 1920.

Laufenberg e Wolffheim esposero la loro posizione nell'opuscolo Revolutionärer Volkskrieg oder konterrevolutionärer Bürgerkrieg? Erste kommunistische Adresse an das deutsche Proletariat (Guerra popolare rivoluzionaria o guerra civile controrivoluzionaria. Primo appello comunista alla classe operaia tedesca), pubblicato nel novembre 1919 come supplemento alla Kommunistische Arbeiter-Zeitung, in cui sostennero che la Germania fosse ormai "proletarizzata" e che una guerra civile derivante dal conflitto di classe avrebbe spianato la strada alla controrivoluzione. Proposero dunque la costruzione di un fronte che comprendesse comunisti, nazionalisti e settori della borghesia, con l'obiettivo di promuovere una guerra rivoluzionaria contro le potenze dell'Intesa e in alleanza con la Russia bolscevica, per rovesciare l'ordine stabilito dal trattato di Versailles.

I due dirigenti amburghesi approfondirono le loro tesi in Kommunismus gegen Spartakismus (Comunismo contro spartachismo) del maggio 1920, in cui invocarono una forma di "pace civile" chiedendo alla borghesia di accettare la guida del proletariato per salvare la nazione. Inoltre, lanciarono violenti attacchi di tenore antisemita contro il presidente del KPD, Paul Levi, definito "il Giuda della rivoluzione tedesca" e accusato di aver "pugnalato alla schiena" la Germania con la sua propaganda disfattista nel 1918[2] (riferimento alla leggenda della pugnalata alla schiena, allora ampiamente diffusa nella destra nazionalista tedesca).

Nell'opuscolo Nation und Arbeiterklasse (Nazione e classe operaia) del luglio 1920, Laufenberg e Wolffheim cercarono di fondare teoricamente la propria posizione nazionalista nell'ambito del marxismo, sostenendo che la classe operaia, nella sua lotta rivoluzionaria contro lo Stato borghese, finiva per assumere essa stessa il compito di completare la costruzione della nazione, laddove la borghesia aveva fallito. Ricordando il celebre passaggio del Manifesto di Marx e Engels, secondo cui i lavoratori privi di patria devono anzitutto elevarsi a classe nazionale, Laufenberg e Wolffheim sostengono che il proletariato conduce la lotta di classe «contro lo Stato borghese e quindi contro l'organizzazione borghese della nazione», e così

«all'interno di questa società borghese, esso si unisce come classe nazionale, per trasformare, attraverso la distruzione dello Stato borghese, la propria organizzazione di classe nazionale in un'organizzazione statale nazionale, e si appropria della terra e di tutti i suoi beni. Cessa di essere privo di proprietà, privo di terra, privo di patria. Poiché diventa esso stesso la nazione, non può più essere antinazionale, dal momento che non può essere contro sé stesso. Diventa portatore della cultura nazionale e dunque portatore dell'idea nazionale. Questo processo di trasformazione comincia con la stessa lotta per il potere, con lo scoppio della rivoluzione proletaria[3]

La condanna del Comintern

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Karl Radek, esperto del Comintern per le questioni tedesche, nel 1919 fu tra i principali critici del nazionalbolscevismo, ma nel 1923 ne riprese l'elemento principale, l'idea di saldare rivoluzione sociale e causa nazionale, con la linea Schlageter

Nel dicembre 1919, il referente del Comintern per la politica tedesca, Karl Radek, condannò la linea di Laufenberg e Wolffheim – per la quale coniò per la prima volta il termine "nazionalbolscevismo"[4] – in un saggio intitolato Die auswärtige Politik des deutschen Kommunismus und der Hamburger nationale Bolschewismus (La politica estera del comunismo tedesco e il nazionalbolscevismo di Amburgo). Radek riconosceva che «gli intellettuali giungono al comunismo per vie diverse: attraverso la filosofia, la religione, persino attraverso l'estetica», e che «anche la preoccupazione nazionale può essere una via verso il comunismo». Tuttavia, sottolineava che «il comunismo stesso è l'obiettivo della classe operaia che lotta per la liberazione, ed esso ha le sue proprie leggi di sviluppo e necessità». La classe operaia, pur potendo accogliere «persone che, per varie ragioni, provengono dagli ambienti borghesi e si avvicinano ad essa», aveva il dovere «di non sottomettersi ai pregiudizi e agli interessi particolari di questi elementi», ma piuttosto di «richiedere che si conformino al contenuto più intimo del comunismo, oppure che non aderiscano al partito». Da qui una cauta apertura tattica:

«Con il nazionalbolscevismo, il partito comunista potrà, in futuro e a certe condizioni, avere contatti politici pratici. Per esempio, esso può aprire in Germania, per il futuro, a ufficiali sinceramente patriottici, la via a un servizio onesto nell'Armata Rossa tedesca. Ma per il nazionalbolscevismo non c'è posto in seno al partito bolscevico, né il partito può offuscare la sua posizione proletaria e internazionalista per fare concessioni a orientamenti nazionalbolscevichi. Tanto meno può, sotto la maschera del radicalismo comunista, far nascere al proprio interno una corrente che trasformi la politica estera comunista in una politica nazionale. Questa corrente ha trovato un'origine inaspettata nella cosiddetta opposizione di Amburgo[5]

L'impostazione del gruppo di Amburgo venne respinta con decisione anche da Lenin nel saggio L'estremismo, malattia infantile del comunismo dell'aprile-maggio 1920, uno scritto che esaminava criticamente le condotte delle correnti più a sinistra del movimento comunista nei diversi Paesi. In merito alla situazione tedesca, Lenin liquidò come «madornali assurdità» le tesi nazionalbosceviche[6]. Pur condannando il trattato di Versailles, Lenin riteneva che un'eventuale Germania sovietica avrebbe dovuto accettare temporaneamente il trattato di pace per ragioni strategiche, in attesa che i rapporti di forza volgessero a proprio vantaggio, come aveva fatto la Russia sovietica con il trattato di Brest-Litovsk. Scrisse:

«La rivoluzione sovietica in Germania consoliderà il movimento sovietico internazionale, che è il baluardo più potente (e l'unico sicuro, invincibile, universale) contro la pace di Versailles, contro l'imperialismo internazionale in genere. Voler dare immancabilmente, in modo obbligatorio e immediato, al problema di disfarsi della pace di Versailles la precedenza sul problema di emancipare dall'imperialismo gli altri paesi oppressi è nazionalismo piccolo-borghese (degno dei Kautsky, Hilferding, Otto Bauer e soci), non è internazionalismo proletario[7]

Lenin accusava i comunisti di sinistra tedeschi di cadere «come bambini nella trappola che gli è stata tesa» dagli imperialisti dell'Intesa, «invece di manovrare abilmente contro il nemico insidioso e in questo momento più forte», affermando che «accettare la battaglia, quando la cosa è palesemente vantaggiosa per il nemico e non per noi, è un delitto»[8].

L'espulsione degli amburghesi dal KAPD

La militanza di Laufenberg e Wolffheim nel KAPD fu di breve durata, poiché le loro tesi furono presto respinte dalla maggioranza del partito, soprattutto per l'opposizione di Arthur Goldstein, che accusò il "comunismo di Amburgo" di tradire i principi fondamentali del marxismo.

Nel saggio Nation und Internationale (Nazione e Internazionale) del luglio 1920, Goldstein respinge l'idea che il Manifesto marxiano muova dal «concetto fondamentale di nazione», individuandone invece il punto di partenza nell'«importanza della lotta di classe come fattore principale dello sviluppo storico». Pur riconoscendo che Marx ed Engels avevano sostenuto in passato le lotte per l'unificazione nazionale, precisa che lo fecero «come storici», vedendovi «una necessità storica per lo sviluppo del capitalismo». Per questo, affermare oggi, «nell'epoca dell'imperialismo, cioè nell'epoca della distruzione delle nazioni», che la nazione debba essere il fondamento della politica socialista è per Goldstein «un'assurdità assoluta». Sostiene che «nell'Europa dopo la guerra mondiale imperialista, l'epoca delle guerre nazionali è definitivamente conclusa. Con ciò, per il socialista, anche la questione della nazione non è più una questione di attualità». La conclusione è categorica: «Il socialista che parte dal "concetto fondamentale di nazione" non è più un marxista»[9].

Infine, nell'agosto 1920, il primo congresso ordinario del partito (il secondo dopo quello di fondazione) decise l'espulsione degli amburghesi, a seguito degli interventi di condanna del nazionalbolscevismo pronunciati da Goldstein e altri congressisti[10].

Linea Schlageter e sviluppi successivi

Nel 1923, in un quadro politico sensibilmente ridefinito dall'occupazione franco-belga della Ruhr, dal deterioramento delle condizioni economiche e sociali, dall'arretramento delle forze rivoluzionarie e, nel contempo, dalla crescente attrattiva del nazionalismo radicale tra le classi popolari, il Comintern inaugurò una linea improntata a una maggiore apertura verso il nazionalismo tedesco.

Il 20 giugno, in un discorso tenuto a Mosca dinanzi al III Plenum del Comitato esecutivo del Comintern, Karl Radek pronunciò un elogio di Albert Leo Schlageter, membro dei Freikorps fucilato dai francesi nella Ruhr a seguito di un'azione di sabotaggio, definendolo «fascista tedesco, nostro nemico di classe, condannato a morte e fucilato dai sicari dell'imperialismo francese, quella potente organizzazione di un altro settore del nostro nemico di classe». Radek sostenne che, se Schlageter era morto da "pellegrino del nulla" credendo di servire la causa nazionale tedesca ma essendo stato in realtà uno strumento della reazione, la stessa causa nazionale avrebbe potuto trovare un effettivo sblocco soltando saldandosi alla rivoluzione comunista:

«Il popolo tedesco deve rompere con coloro che non solo lo hanno condotto alla sconfitta, ma che ne perpetuano la disfatta e l'impotenza trattando la maggioranza del popolo tedesco come il nemico. [...] Solo quando la causa tedesca diventerà la causa del popolo tedesco, solo quando essa sarà lotta per i diritti del popolo tedesco, allora il popolo tedesco troverà veri amici. Una grande nazione non può esistere senza amici, e tanto meno una nazione sconfitta e circondata da nemici.

Se la Germania vuole essere in grado di combattere, deve creare un fronte unito di lavoratori, e gli intellettuali devono unirsi ai lavoratori manuali per formare una solida falange. La condizione degli intellettuali reclama questa unione. Solo vecchi pregiudizi la ostacolano. Unito in un popolo lavoratore vittorioso, il Paese potrà attingere a grandi risorse di resistenza capaci di superare ogni ostacolo. Se la causa del popolo diventa la causa della nazione, allora la causa della nazione diventerà la causa del popolo. Unita in una nazione combattente di lavoratori, la Germania guadagnerà l'appoggio di altri popoli che lottano anch'essi per la propria esistenza. Chi non è pronto a combattere in questo modo, potrà solo compiere atti disperati, ma non condurre una vera lotta[11]

In ragione della sostanziale convergenza con le posizioni del gruppo di Amburgo, diversi critici dell'epoca e storici hanno applicato anche alla linea inaugurata da Radek nel 1923, nota come linea Schlageter, la definizione di "nazionalbolscevismo"[12][13].

Nonostante il clamore suscitato, la linea Schlageter produsse risultati limitati. La strategia del Comintern, che mirava ad attrarre settori della destra nazionalista tedesca – includendo talvolta anche retoriche antisemite – non riuscì a spostare in misura significativa gli equilibri politici: il tentativo di stabilire un fronte comune su basi antiimperialiste e antioccidentali incontrò scarsa adesione tra i ceti medi, mentre suscitò diffidenze e critiche interne allo stesso movimento comunista. Di conseguenza, tale linea venne accantonata. Tuttavia, nel 1930, di fronte al crescente consenso riscosso dal Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP) di Adolf Hitler tra i ceti medi sensibili alla questione nazionale, il KPD ripropose i principi fondamentali della strategia del 1923 con la Dichiarazione programmatica per la liberazione nazionale e sociale del popolo tedesco. Anche questo tentativo di coniugare rivoluzione proletaria e istanze nazionali si rivelò inefficace e non riuscì a sottrarre consensi significativi al movimento nazionalsocialista[14].

Altri rilevanti teorici nazionalbolscevichi tedeschi furono Ernst Niekisch, Ernst Jünger, Karl Otto Paetel, appartenenti "alla corrente tedesca, minoritaria e sconfitta, che all'epoca di Weimar cercò di coalizzare classismo e patriottismo contro l'ordine imposto dalla pace di Versailles"[15].

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Unione Sovietica

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Uno dei fondatori del nazionalbolscevismo russo fu Nikolaj Ustrjalov, la cui teorizzazione guardava all'Unione Sovietica di Iosif Stalin come a un restaurato Impero russo dietro una simbologia comunista. Già appartenente all'area cadetta e successivamente vicino al movimento dei bianchi, Ustrjalov sviluppò, dopo la guerra civile, una visione che cercava di conciliare il bolscevismo con l'idea di una rinascita nazionale russa.

Secondo Ustrjalov, il bolscevismo, pur fondato in origine sull'internazionalismo proletario, aveva assunto progressivamente un carattere nazionale, diventando lo strumento della riscossa storica della Russia dopo la sconfitta e l'umiliazione seguite alla prima guerra mondiale. Egli sosteneva che il comunismo sovietico, al di là delle sue premesse ideologiche, stava di fatto garantendo l'unità statale, la modernizzazione economica e il rafforzamento geopolitico del Paese.

In questa prospettiva, Ustrjalov esortava anche gli ex avversari del bolscevismo ad accettare il nuovo regime, interpretandolo come una fase necessaria della "missione storica" russa. Tale posizione, definita talvolta "smenscevochismo" (dal russo сменовеховство, "cambio di orientamento"), ebbe una certa influenza negli ambienti intellettuali degli anni 1920, ma fu poi osteggiata dal potere sovietico.

Trasferitosi a Harbin, nella regione cinese della Manciuria, Ustrjalov rientrò successivamente in URSS, dove divenne professore di geografia economica presso l'Istituto di ingegneria dei trasporti di Mosca e per un certo periodo presso l'Università statale di Mosca. La sua carriera accademica ebbe però breve durata: nel 1937 fu arrestato e giustiziato durante le grandi purghe staliniane[16].

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Russia

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Bandiera del Partito Nazional Bolscevico, con la falce e martello comunista al posto della svastica nazionalsocialista

Il nazionalbolscevismo ha conosciuto un ritorno di fiamma nella Russia degli anni 1990 come sintesi tra patriottismo sovietico e post-fascismo, con richiami anche all'estetica del nazionalsocialismo tedesco, antico nemico dal 1941, quando Ėduard Limonov ed Aleksandr Dugin fondarono il Partito Nazional Bolscevico (PNB) in opposizione al governo di Boris El'cin.

Il PNB aveva una peculiare bandiera del partito, simile a quella del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, ma con una falce e martello al posto della svastica. Quando però le idee che esso predicava negli scantinati moscoviti ancora a fine anni ottanta "sono state traslate dal nazionalbolscevismo alla visione «eurasista», ampi stralci del pensiero di Dugin stavano diventando ‘mejnstrim’ (traslitterazione dal russo, che fa ampio uso del termine anglosassone mainstream) e nel primo decennio del secolo sono stati sdoganate dal discorso ufficiale del regime" di Putin, che pure "aveva e ha altri ispiratori"[17]. In ogni caso, essendo accompagnato da una visione complessiva che ne accentua il realismo all'interno del "continente" Eurasia (che comprende l'intera Europa, la Russia e parte dell'Asia), i suoi temi vengono declinati da molti dei massimi vertici del Cremlino[18]: Nikolaj Patrušev (segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa) in una intervista ad “Argumenty i Fakty”, ha ad esempio lamentato che "il vero potere in Occidente è nelle mani di clan e corporazioni transnazionali" mentre la Russia difenderebbe "l’equilibrio tra valori morali e sviluppo socioeconomico"[19].

Altri Paesi

In Belgio le istanze nazionalbolsceviche sono sostenute dal Parti Communautaire National-Européen, discendente del Parti Communautaire Européen di Jean-François Thiriart. In Italia dalla rivista Patria - Bollettino socialista (oggi con il nome "Nemici del Sistema").[senza fonte]

Ideologia

Le figure teoriche di riferimento sono prese dai rivoluzionari politici del Novecento, dai teorici comunisti e socialisti, a molti teorici nazionalrivoluzionari come Ernst Niekisch e Georges Sorel. I riferimenti idealisti trovano ispirazione in Hegel, Julius Evola e altri filosofi, mentre economicamente i nazionalbolscevichi appoggiano una commistione tra le riforme economiche del comunismo e varie teorie sindacaliste di natura socializzatrice nell'ambito della terza via, ma sempre mettendo l'accento sulla spiritualità dell'azione.

Da parte dei suoi fautori il nazionalbolscevismo sembra non essere altro che una chiave per rinnovare completamente le logiche politiche che considerano ormai obsolete, superando quelli che chiamano "opposti estremismi" utili, a loro avviso, solo a dividere le tematiche popolari e rivoluzionarie.

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Note

Bibliografia

Voci correlate

Altri progetti

Collegamenti esterni

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