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Perdita Basigheddu

inquisita dall'inquisizione spagnola Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

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Perdìtta Basigheddu (Nuoro, 1584Nuoro?, post 1622) è stata un'inquisita e condannata dal Tribunale del Sant'Uffizio della Sardegna.

Biografia

Riepilogo
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Le notizie su Perdìtta Basigheddu (Pedrita Basigueddo o Basiquedo nei documenti dell'Archivo Histórico Nacional di Madrid) sono poche e frammentarie: gli atti originali del suo processo sono andati perduti, e le informazioni su di lei sono contenute nella Relación de las causas pendientes y despachadas dell'anno 1605[1], e negli atti del secondo processo a carico di Julia Carta[2], una ragazza di Siligo accusata di stregoneria, che fu compagna di cella della nuorese.

Perdita, nata nel 1584 (in una delle relazioni indica di avere "cuarenta años más o menos"[3]) fu inquisita a causa della sua attività di preparazione di unguenti a base di erbe, che le valsero la qualificazione di hechizera y sortílega (fattucchiera e maga). Fu arrestata senza sequestro di beni (segno che era povera), e mantenuta nelle carceri segrete del castello aragonese di Sassari dove venne presumibilmente torturata: confessò infatti tutto ciò di cui era accusata secondo le testimonianze contro di lei, ammettendo di essere idolatra del demonio e avere abbandonato la fede. La confessione fece sì che la nuorese venisse annotata nei documenti come “eretica e apostata formale”[4], accusa gravissima che indusse gli inquisitori a condannarla alla pena di morte[5]. Le confessioni di Julia Carta, nel suo secondo processo, non dovettero giovare alla causa: la silighese disse che il diavolo in persona le aveva offerto la sua protezione, così come aveva già fatto con Perdita, che senza di lui sarebbe morta in carcere[6].

Perdita e la sua compagna ebbero comunque una sorta di trattamento di favore in carcere: l'alcalde (il direttore della prigione) concesse infatti loro di stare nella sua casa, in cambio del loro servizio nel distribuire i pasti ai prigionieri regolari[7].

Perdita fu anche costretta a curare la gamba di Gregorio, un servo dell'inquisitore Martin de Ocio y Vecila, con gli stessi unguenti per i quali era stata imprigionata. Per delle ragioni che non emergono dai documenti, la condanna della donna fu alleggerita: fu riconciliata con la Chiesa il 23 ottobre del 1605, pur mantenendo la condanna del carcere a vita e del sambenito (il sacco dei penitenti) perpetuo[8]. Tale condanna fu ulteriormente scontata, in quanto in un atto notarile del 1611, la si trova residente a Cagliari e sposata[9].

Nel 1622, incaricò il maestro campanaro cagliaritano Giovanni Pira per la realizzazione di una campana della chiesa della Madonna della Solitudine a Nuoro.

La data e il luogo di morte sono tuttora sconosciute.

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Note

Bibliografia

Voci correlate

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