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Populismo penale

orientamento politico in relazione al diritto e alla procedura penale Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Populismo penale
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L'espressione populismo penale designa la tendenza a riformare il diritto e la procedura penale in senso illiberale e antigarantista al fine di raccogliere il consenso dell'elettorato, senza riguardo all'idoneità e all'efficacia delle misure adottate nel ridurre il crimine e promuovere la giustizia[1][2].

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Linea rossa: tasso di incarcerazione negli Stati Uniti dal 1925 al 2014. Linea viola: maschi; linea verde: femmine.
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Tasso di criminalità violenta per genere negli Stati Uniti, 1973-2003. Linea azzurra, maschi; linea viola, femmine.
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Definizione

Riepilogo
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L'espressione "populismo penale" non si riferisce solo agli orientamenti di politica penale propri dei partiti e dei movimenti populisti[3][4], ma comprende ogni decisione in materia di criminalità che sia demagogica, strumentale all’acquisizione di popolarità, visibilità mediatica o successo elettorale, e che abbia un orientamento punitivo in risposta a umori collettivi più o meno consapevolmente aizzati ed esasperati[5][6][7]. L'uso populista del diritto e della giustizia penale può essere promosso da partiti, movimenti politici e mezzi di informazione che si autodefiniscono o che vengono qualificati come "populisti"[8], ma può anche appartenere a forze politiche dell'establishment, che tentano di rafforzare la propria posizione elettorale sfruttando e amplificando l'allarme sociale provocato dal crimine[9].

Il populismo penale è spesso rivolto "verso il basso", indirizzato a colpire i soggetti estranei alla comunità etica dei "cittadini perbene" (stranieri, criminalità di strada, soggetti di forme varie di devianza, emarginazione e disagio sociale), ma può anche essere rivolto "verso l'alto", verso le élite corrotte che impedirebbero al popolo di essere compiutamente sovrano[10]. Anche le organizzazioni criminali come la mafia[11] e le organizzazioni terroristiche[12] possono essere il bersaglio di misure penali di ispirazione populista. Politiche penali populiste sono tipicamente adottate da attori politici in senso stretto, come i titolari di cariche pubbliche elettive e i partiti di cui sono espressione, in ciò eventualmente sostenuti dai movimenti sociali e di opinione, da associazioni della società civile e da mezzi di informazione; ma politiche penali populiste possono anche essere perseguite da magistrati, soprattutto da procuratori, i quali pretendano di essere gli autentici rappresentanti e interpreti delle aspettative di giustizia del popolo ("populismo giudiziario" o, nell'uso giornalistico italiano, "giustizialismo")[13][14][15][16].

In tutti questi casi è comunque sintomatico dell'approccio populista al diritto e alla procedura penale il disinteresse per la dimensione tecnica della legislazione e della giurisdizione, che è sostituita dalla considerazione prevalente per la sua dimensione espressivo-simbolica, di rassicurazione o galvanizzazione dell'opinione pubblica[17][18]. Ciò fa sì che riforme adottate con il fine esclusivo o prevalente di raccogliere il consenso popolare rischino spesso di essere annullate o disapplicate dai giudici, che le ritengono tecnicamente inattuabili, irragionevoli, incompatibili con i principi costituzionali o con gli impegni internazionali: il populismo del legislatore penale può perciò esacerbare la dialettica tra potere esecutivo e potere giudiziario, innescando conflitti costituzionali[19].

Altra caratteristica dell'uso populista dello strumento penale è la svalutazione dei profili garantistici del diritto e della procedura penale a favore delle finalità repressive, retributive ("occhio per occhio") e di incapacitazione e neutralizzazione (togliere i criminali dalle strade, impedir loro di nuocere alle "persone perbene")[20][21]. Il populismo penale viene a volte spiegato o giustificato come espressione di sentimenti di disillusione e rabbia per il modo in cui le élite politiche e giudiziarie, facendosi carico soprattutto delle esigenze garantistiche e di recupero sociale dei condannati, avrebbero abbandonato a sé stessi le vittime dei reati e, in generale, i cittadini rispettosi della legge[22][23]. Inteso in questo modo, il populismo penale ha un rapporto stretto con la mancanza di fiducia nel sistema di giustizia penale e con la rappresentanza politica delle domande sociali associate a tale mancanza di fiducia.

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Origini del fenomeno

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Nella letteratura penalistica e criminologica, l'espressione "populismo penale" (in inglese inizialmente populist punitiveness[24], in seguito più comunemente penal populism) emerge alla metà degli anni novanta del Novecento come categoria interpretativa delle trasformazioni in atto nelle politiche penali degli Stati Uniti e di molti paesi occidentali[25]. Alla base della sua diffusione vi è l'idea che il sostegno pubblico a misure di giustizia penale sempre più severe sia diventato un motore fondamentale del processo politico e dei cicli elettorali, con il risultato di provocare il ricorso a sanzioni più afflittive e prolungate nel tempo, indipendentemente dalla loro capacità di ridurre il crimine e di rimediare ai suoi danni[26].

L'opportunità di riflettere sul populismo penale nasce, in primo luogo, da una crescita della popolazione detenuta senza che essa sia in diretta correlazione con l’andamento degli indici di criminalità[25]. Negli anni 1990-2020, la popolazione carceraria statunitense è più che quadruplicata[27]. Studi di ricerca sociale empirica hanno concluso che, tra il 1984 e il 2002, tale crescita è dipesa interamente da un aumento della propensione a punire, anziché da un aumento del crimine[28]. Il fenomeno, spesso descritto negli studi criminologici in termini di "carcerazione di massa", "iperincarcerazione" e "svolta punitiva"[29], è particolarmente rilevante negli Stati Uniti già a partire dalla metà degli anni settanta del Novecento, ma inizia presto a interessare anche i paesi dell'Europa e di altre regioni del mondo. Tale fenomeno fa acquistare credibilità all'ipotesi che le politiche criminali siano motivate soprattutto dalla ricerca di consenso elettorale e dalla volontà di rassicurare la cittadinanza, anziché dall'obiettivo di prevenire comportamenti dannosi.[25]

In secondo luogo, la diffusione del concetto di populismo penale riflette alcuni cambiamenti che intervengono nella formulazione delle politiche penali e nell'amministrazione della giustizia[26]. Secondo David Garland, negli ultimi trent'anni del Novecento la politica criminale cessa di essere una questione bipartisan, che possa essere devoluta a professionisti esperti, per diventare un tema di primo piano nella competizione elettorale[30]. Oltre alla diffusione di campagne politiche e di propaganda elettorale incentrate sul tema del controllo della criminalità e sull'applicazione intransigente del diritto penale, si registra l'aumento di iniziative legislative volte a introdurre nuove figure di reato, a inasprire il trattamento sanzionatorio, a limitare il ricorso a misure alternative al carcere e a rafforzare l'impianto punitivo del diritto penale[26] – tendenze spesso riassunte con lo slogan "tolleranza zero" (zero tollerance) nel dibattito pubblico e negli studi criminologici[31][32]. Nel contesto delle politiche di contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata, queste tendenze a inasprire e anticipare il trattamento sanzionatorio e ad affievolire le garanzie processuali hanno fatto parlare la dottrina penalistica di un "diritto penale del nemico", volto alla neutralizzazione e all'annientamento, contrapposto al diritto penale del cittadino[33][34][35].

In terzo luogo, la nascita del populismo penale può essere messa in relazione con la spettacolarizzazione del crimine e del processo penale, la "glamourizzazione" dei media[36], che provoca allarme sociale e alimenta la paura nell'opinione pubblica, incoraggiando una risposta emotiva, violenta, generalmente orientata verso un trattamento sanzionatorio più severo[37]. La copertura selettiva dei fatti di cronaca da parte dei mezzi di informazione di massa e la centralità che essi accordano alla prospettiva della vittima possono distorcere la percezione pubblica della criminalità, nel senso dell'enfatizzazione e drammatizzazione del fenomeno[38].

Infine, alcune analisi sociologiche pongono in relazione il crescente orientamento punitivo delle politiche penali con la crisi dello stato sociale. Da un lato, la contrazione dell'intervento pubblico nella sfera economica creerebbe i presupposti della diffusa e crescente insicurezza sociale alla base della paura nella criminalità[39]; dall'altro, la risposta a tale paura offrirebbe un'importante risorsa di legittimazione a uno stato che ha ridotto le proprie funzioni di redistribuzione della ricchezza e di assistenza sociale. In tale quadro, si afferma che la prigione diventa una istituzione centrale nel governo della miseria creata dai processi di deregolamentazione e snellimento del settore pubblico[40], e che il crimine stesso diventa una tecnica di governo della società[41].

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Note

Bibliografia

Voci correlate

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