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Quod Siculis placuit, sola Sperlinga negavit
locuzione latina Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Quod Siculis placuit, sola Sperlinga negavit (in lingua italiana quello che fu stabilito dai siciliani, fu disatteso solo da Sperlinga) è un'espressione latina che si legge su un portale del castello di Sperlinga, incisa nel XVII secolo dal principe di Sperlinga Giovanni Natoli, ed usata spesso, anche al di fuori del suo contesto originario, per indicare un comportamento isolato che si discosta da quello condiviso da tutti gli altri.[1][2][3][4] Il riferimento è a un episodio della guerra del Vespro quando i siciliani si ribellarono alla dominazione angioina e decisero l'uccisione di tutti i francesi. Solamente a Sperlinga un gruppo di soldati angioini riuscì a resistere per lungo tempo, aiutato dai soccorsi della popolazione.
Gli storici considerarono non attendibile tale avvenimento, fino a che Michele Amari trovò la relativa documentazione negli archivi di Napoli relativi al regno degli Aragonesi. Amari riuscì a trovare dei documenti che confermano la presenza di soldati angioini all'interno del castello di Sperlinga tanto che in un documento di Carlo d'Angiò, datato 27 settembre 1283, viene messo in evidenzia che i soldati angioini presenti al Castello di Sperlinga arrivarono sani e salvi fino in Calabria e vennero premiati con la concessione di alcuni poderetti.[5]
«Quod Siculis placuit sola Sperlinga negavit: ho inteso dire cento volte da quei che amano i motti latini, il popolo con maggior forza suol dire solamente: «Sperlinga sola negò.» E questo proverbio parmi testimonianza istorica sì valevole da correggere gli scrittori contemporanei che tacquero il caso di Sperlinga: i nazionali per non perpetuare una memoria spiacevole, gli stranieri per non saperla.»
Si suppone che sia stato Giovanni Forti Natoli a fare incidere nella roccia, quando entrò in possesso del Castello di Sperlinga, questa scritta postuma.[7]
Un accenno all'avvenimento lo si trova anche nella Gerusalemme Conquistata (libro I, 70) del Tasso:
«o di Sperlingo, al fin pietoso a' Franchi, (...)[8]»
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