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Terza lettera di Giovanni

venticinquesimo libro del Nuovo Testamento Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Terza lettera di Giovanni
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La Terza Lettera di Giovanni conosciuta anche come Seconda Lettera del Presbitero è una lettera inclusa tra i libri del Nuovo Testamento ed è considerata la sesta delle cosiddette «lettere cattoliche». È stata scritta attorno al 100.[1]

Fatti in breve Datazione, Attribuzione ...

Il destinatario della lettera è un certo Gaio, presumibilmente a capo di una comunità cristiana.

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Composizione

Riepilogo
Prospettiva

La lettera è stata tradizionalmente attribuita a Giovanni l'evangelista, seguendo la stessa sorte della seconda: la parentela contenutistica e stilistica con la prima lettera sembra infatti ricondurre lo scritto a Giovanni, o quanto meno alla cerchia dei suoi discepoli.

Gli studiosi moderni ritengono tuttavia che l'autore non sia l'apostolo Giovanni: in tale linea si è posto anche il papa Benedetto XVI, che pone attenzione alla figura del presbitero Giovanni[2].
Nell'attuale mondo accademico infatti - in merito alla relazione tra le tre lettere e il Vangelo attribuiti all'apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo - "la maggioranza ritiene che non si tratti della stessa persona, ma di qualcuno che conosceva molto bene gli insegnamenti contenuti in quel Vangelo e che intendeva affrontare alcuni problemi sorti nella comunità in cui si leggeva quel Vangelo"[3] e, concordemente, gli esegeti del cattolico "Nuovo Grande Commentario Biblico"[4] ritengono che in tali lettere "espressioni parallele in apertura delle lettere («che io amo nella verità», 2Gv1; 3Gv1; «Mi sono rallegrato molto di aver trovato... camminando nella verità», 2Gv4; 3Gv3), e in chiusura (2Gv12; 3Gv13) mostrano che le lettere sono della medesima persona" ma "un confronto tra 1Gv e il quarto vangelo indica che 1Gv (e di conseguenza 2 e 3Gv) non è opera dell'autore del vangelo".

Come altri testi giovannei la lettera nella sua redazione finale dovrebbe essere stata scritta verso la fine del I secolo, probabilmente ad Efeso.

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Struttura e contenuto

La lettera costituisce lo scritto più breve del corpus giovanneo: in tutto, conta 219 vocaboli, oggi raccolti in 15 versetti[5].

L'occasione per la scrittura della lettera è il rifiuto, da parte del capo di una comunità cristiana, Diotrefe, di accogliere gli inviati del presbitero. Questi trovano quindi riparo nella casa di Gaio, cui la lettera è destinata.

Elogio di Gaio

La lettera inizia con il saluto a Gaio ed esprime gioia per il suo cammino nella verità («Non ho gioia più grande di questa, sapere che i miei figli camminano nella verità», 4[6]). L'autore si augura che Gaio stia bene in tutto, nel fisico oltre che nello spirito.

Diotrefe e Demetrio

L'autore si lamenta quindi del fatto che Diotrefe, che ambisce ai primi posti nella comunità, rifiuta di accogliere i fratelli inviati dal presbitero e impedisce di riceverli anche a chi vorrebbe farlo. L'invito a Gaio è di perseverare nel bene: «Carissimo, non imitare il male, ma il bene» (11[7]). Nella lettera viene quindi citato Demetrio, forse il latore della lettera, come testimone della verità.

Saluti

La lettera si conclude con i saluti e con l'augurio di potersi presto parlare a voce.

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Note

Bibliografia

Voci correlate

Altri progetti

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