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Yahya Jammeh
politico, militare e dittatore gambiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Yahya Abdul-Aziz Jemus Junkung Jammeh (Kanilai, 25 maggio 1965) è un politico e militare gambiano, Presidente e dittatore del Gambia dal luglio 1994 al gennaio 2017.
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Biografia
Riepilogo
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Secondo presidente del Gambia, ha assunto il potere di fatto appena ventinovenne con un golpe il 22 luglio 1994, ma è stato eletto nel 1996 col supporto dei suo partito, l'Alleanza Patriottica per il Riorientamento e la Costruzione. Di recente convertitosi all'Islam[senza fonte], ha rinviato a causa del Ramadan le elezioni presidenziali del 2006 dalle quali è comunque uscito vincitore, anche se contestato dall'opposizione, appoggiato dal Senegal. È stato fortemente criticato dalla comunità internazionale per le sue politiche apertamente in contrasto con i diritti umani e per il suo atteggiamento repressivo verso l'omosessualità. In vari discorsi pubblici ha espresso la propria avversione verso le persone omosessuali promuovendo la loro criminalizzazione e minacce di morte.[1]
Il 12 dicembre 2015, durante una conferenza, ha proclamato il Gambia una repubblica islamica, in linea con la religione praticata dalla maggioranza della popolazione, affermando: "Il destino del Gambia è nelle mani di Allah. A partire da oggi il Gambia è uno Stato islamico. Noi saremo uno Stato islamico che rispetterà i diritti dei cittadini".[2]
È noto per far imprigionare e uccidere i propri oppositori ed espellere i giornalisti stranieri. Sostiene di avere poteri taumaturgici che guariscono dall’AIDS e dall’infertilità.[3]
Il 1º dicembre 2016 ha perso le elezioni presidenziali dopo 22 anni di governo autoritario, contro il candidato dell'opposizione Adama Barrow.[3] Dopo un'iniziale accettazione della sconfitta,[4][5] il 9 dicembre ha annunciato di non voler riconoscere il risultato a causa di "serie ed inaccettabili anormalità".[6] Ciò ha scatenato pesanti reazioni contro Jammeh, il quale, se non si fosse dimesso entro il 19 dicembre, avrebbe subito l'attacco militare dell'ECOWAS[7] e il disconoscimento come Presidente da parte dell'Unione africana.[8] Nonostante ciò, il 17 gennaio 2017 ha proclamato novanta giorni di stato di emergenza.[9][10]
Il 19 gennaio 2017 Barrow ha ugualmente giurato come presidente del Paese nella sede dell'ambasciata del Gambia in Senegal, a Dakar, non riconosciuto da Jammeh.[11] Il 21 gennaio, su minaccia di un intervento militare dei Paesi dell'ECOWAS, Jammeh annuncia alla televisione di Stato la sua decisione di riconoscere Barrow presidente e accetta di andare in esilio.[12][13] Il 22 gennaio successivo Jammeh parte in esilio verso la Guinea Equatoriale, portando però con sé circa 12 milioni di euro (l'1% del PIL nazionale), oggetti del palazzo presidenziale e svariate auto di lusso.[14][15]
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