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Divenire
concetto della filosofia Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Il divenire, inteso come mutamento, movimento, scorrere senza fine della realtà, perenne nascere e morire delle cose, è stato uno dei concetti filosofici più importanti su cui si sono contrapposte visioni ontologiche di tipo statico (come quella eleatica) e di tipo dinamico (come quella eraclitea, e dell'atomismo leucippeo).

Il termine divenire, dal latino devĕnire composto di de (prep. che indica moto dall'alto) e venire («venire»), quindi propriamente "venir giù", in filosofia implica un cambiamento non solo nello spazio, come nel significato originario, ma anche nel tempo.[3]
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La difficoltà del concetto
La problematicità della definizione del divenire inizialmente nasceva dalla considerazione che la sostanza primigenia (arché) doveva concepirsi come unica, immobile ed immutabile: ma se così era, come si spiegava la nascita da essa della molteplicità delle cose? Se all'inizio, come ad esempio sosteneva Talete, l'essenza unica era l'acqua, tale doveva rimanere per sempre e non dar luogo alla molteplicità degli esseri.
La difficoltà, anche se non esplicitamente affrontata, si presentava al pensiero dei primi filosofi della Ionia che cercano di superarla parlando di una sostanza, sempre identica a se stessa, ma vivente. Tutto vive (panpsichismo e ilozoismo). È la vita della sostanza che spiega la molteplicità degli esseri che divengono, nascono e muoiono. Ma è chiaro che parlare di vita della sostanza equivaleva a una contraddizione in terminis, poiché si definisce sempre identica a se stessa, e quindi immutabile, qualcosa che in effetti vivendo diviene e muta continuamente.
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Eraclito
Riepilogo
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Il divenire è, secondo Eraclito, la sostanza dell'Essere, poiché ogni cosa è soggetta al tempo e alla trasformazione. Anche quello che sembra statico alla percezione sensoriale in verità è dinamico e in continuo cambiamento.
Questo concetto si concretizza nella tesi che individua nel fuoco (πῦρ, in greco) il simbolico principio di tutte le cose. Questo elemento simboleggia per antonomasia il movimento, la vita e la distruzione.
Il divenire è quindi la legge immutabile, il logos, «poiché tutto muta, meno la legge del mutamento», che regola l'alternanza di nascita e morte. È l'identità del diverso, ovvero l'elemento che unifica il molteplice (ciò che in tutte le molteplici cose è costante). Il divenire è infatti composto di opposti che convivono nelle cose: la strada in salita è la stessa anche in discesa, la fame rende dolce la sazietà ecc. Appare per la prima volta una concezione dialettica della realtà.
Ma non tutti sono in grado di riconoscere il logos, la legge che regola il mondo. Solo alcuni sono i "desti" che sanno riconoscere la legge comune del logos, gli altri, i "dormienti", vivono come in un sogno, sono prigionieri dell'opposizione, della lotta, del contrasto, incapaci di sollevarsi all'unità del tutto:
«Di questo logos che è sempre gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato, sia subito dopo averlo ascoltato; benché infatti tutte le cose accadono secondo questo logos, essi assomigliano a persone inesperte, pur essendo possibile addurre prove in parole e opere tali quali sono quelle che io spiego, distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo com'è. Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo non sono coscienti di ciò che fanno dormendo.[4]»
Eraclito, infatti, afferma che tutto scorre («panta rei»),[5] che tutto è in perenne movimento, e la staticità è morte. In questa concezione, infatti, il divenire è la condizione necessaria dell'Essere, della vita stessa. Tipico è l'esempio del fiume: Eraclito afferma che è impossibile bagnarsi due volte nello stesso fiume, perché dopo la prima volta, sia il fiume (nel suo perenne scorrere) sia l'uomo (nel suo perenne divenire) non sono più gli stessi.
«A chi discende nello stesso fiume sopraggiungono acque sempre nuove.[6]»
«Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo.[7]»
Anzi un suo discepolo, Cratilo obiettò al suo maestro che in effetti non ci si può bagnare nello stesso fiume neppure una sola volta poiché l'acqua che bagna il piede non è più la stessa che bagna la caviglia.
L'armonia delle cose, per Eraclito, sta proprio nel suo perenne mutamento e nel continuo contrasto tra gli opposti. Questo concetto è definito polemos ("guerra", "opposizione"), il quale permette l'esistenza di tutte le cose.
Influssi sullo stoicismo
Questa concezione trapassò nello stoicismo, che riprenderà la metafora eralitea del fuoco applicandola al Logos come principio di una continua creazione e distruzione dell'universo.
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Gli eleati
Riepilogo
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Gli eleati, al contrario di Eraclito, non hanno fiducia nei sensi che mostrano il movimento. La sensibilità genera l'opinione dei mortali che vivono nell'illusione per cui si crede vera l'esistenza del divenire come una mescolanza di essere e non essere. Ma il non essere non esiste e non può essere pensato.
«È la stessa cosa pensare e pensare che è:
perché senza l'essere, in ciò che è detto,
non troverai il pensare...»
Pensare ed essere sono dunque la stessa cosa per cui l'essere è e non può non essere, mentre il non essere non è e non può essere:
«Orbene io ti dirò e tu ascolta attentamente le mie parole,
quali vie di ricerca sono le sole pensabili:
l'una che dice che è e che non è possibile che non sia,
è il sentiero della Persuasione (giacché questa tien dietro alla verità);
l'altra dice che non è e che non è possibile che non sia;
questa io ti dichiaro che è un sentiero del tutto inindagabile;
perché il non essere né lo puoi pensare (non è infatti possibile)
né lo puoi esprimere» [10]
Com'è possibile del resto pensare alla nascita come un passaggio dal non essere all'essere e alla morte come un andare dall'essere al non essere? Nascita e morte non sono che apparenze dell'essere, ingenerato (nulla nasce dal nulla), eterno (nulla finisce nel nulla), immobile, unico (poiché se fossero due, dovrebbe essere separato dal non essere), compatto e ben definito (simile a una perfetta sfera).
Questa è la convinzione di Parmenide che si contrapponeva nettamente a quella di coloro che sostenevano la tesi di Eraclito.
A sostegno dell'essere immutabile parmenideo Zenone formulerà i suoi paradossi:
«In realtà il mio libro è una difesa della dottrina di Parmenide, diretta contro coloro che tentano di metterla in ridicolo... Dunque questo scritto è diretto contro coloro che affermano la molteplicità delle cose e porta a conseguenze ancora più ridicole di quelle a cui porta la tesi dell'unità, quando si esamini la cosa in modo adeguato.[11]»
Il fine dei paradossi è quello di dimostrare che accettare la presenza del movimento nella realtà implica contraddizioni logiche superiori a coloro che negano il divenire ed è meglio quindi, da un punto di vista puramente razionale, rifiutare l'esperienza sensibile ed affermare che la realtà è immobile e il divenire non esiste.
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I pluralisti
Riepilogo
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Per uscire dall'impasse delle due teorie di Parmenide ed Eraclito, che appaiono, pur contraddicendosi, ambedue logicamente fondate, i filosofi pluralisti materialisti propongono una soluzione più razionalistica e naturalistica che assimili il divenire all'essere, accentuando il peso concettuale del primo rispetto al secondo.[12]
Per il divenire è essenziale pensare che ci sia una molteplicità di entità fondanti: gli esseri, e i pluralisti sostengono infatti che all'inizio della storia del mondo vi era una molteplicità di elementi primigenii con le proprietà dell'essere parmenideo, cioè eternità e immutabilità.
In questo modo la nascita non è un passaggio dal non essere all'essere ma un'aggregazione delle entità primitive che, ad esempio per Empedocle sono i quattro elementi di terra, acqua, aria e fuoco, per Anassagora quelli che egli chiama semi, per Leucippo gli atomi quali particelle elementari indivisibili.
Ognuno di noi nasce con un'aggregazione variabile di questi molteplici elementi primari, che rimangono di per sé sempre identici a se stessi ed immutabili. La morte non sarà altro che la separazione di questi elementi che se ne torneranno ciascuno per suo conto a far parte del loro essere iniziale.
Questa apparente soluzione della conciliazione dell'essere e del divenire, urtava però contro una difficoltà: se i molteplici esseri si presentavano e rimanevano all'inizio immutabili e quindi immobili, per salvaguardare le esigenze dell'essere eleatico, come si spiegava in seguito il loro aggregarsi e disgregarsi?
Il problema è in realtà avanzato dai monisti in opposizione ai pluralisti, ma ha una sua giustificazione. Infatti i pluralisti facevano intervenire dall'esterno delle forze quali l'Amore e l'Odio per Empedocle, o il Nous per Anassagora, che spiegassero l'aggregazione e la disgregazione degli elementi primari.
Un vero "Deus ex machina", secondo la critica di Aristotele che considerava il nous anassagoreo né più né meno che come quello strumento teatrale che, negli intricati drammi della commedia antica, faceva scendere, calato dall'alto, un personaggio divino che mettesse ordine nell'ingarbugliata trama dello spettacolo.
Leucippo
Per Leucippo l'obiezione aristotelica veniva superata in quanto il movimento degli atomi nel vuoto non è più esterno, bensì intrinseco ad essi. La kìnesis atomica renderebbe perciò superfluo qualsiasi agente esterno atto a spiegare il divenire, seppure concepito ora in maniera puramente meccanica, privo di cause intellegibili. Ma è specialmente il concetto di vuoto a rivoluzionare profondamente ogni concezione ontologica precedente, divenendo l'antecendente primordiale dell'essere come condizione indispensabile dell'essere stesso
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I sofisti
A questo punto la soluzione del problema dell'essere e del divenire verrà messa da parte dall'avvento dei sofisti, i quali sosterranno che ciò che importa non è capire se sia vero e reale l'essere o il divenire, ma piuttosto conoscere come l'uomo si debba comportare nei confronti della realtà qualunque essa sia nella sua natura.
«L'uomo è misura di tutte le cose di quelle che esistono in quanto esistono, di quelle che non esistono in quanto non esistono.»
La filosofia pratica comincia a prevalere su quella teoretica e così continuerà ad essere con Socrate e Platone, sino a quando Aristotele proporrà la sua nuova definizione del divenire.
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Platone
Platone in particolare cercò di conciliare il divenire eracliteo con l'essere statico di Parmenide, riconoscendo da un lato la perenne mutevolezza dei fenomeni naturali, ma dall'altro escludendo che tali mutamenti avvengano in maniera casuale, essendo invece guidati da principi intelligenti, che tendono a riproporre sempre le stesse forme, strutturando la materia secondo criteri precostituiti.
Aristotele
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Un approfondito studio del divenire si ritrova nella Fisica di Aristotele che si contrappone in modo diverso agli eleati, sostenitori dell'immutabilità dell'essere unico: esistono infatti per lui molteplici modi dell'essere.
Partendo dalla certezza, data per evidenza, che gli enti sensibili siano continuamente soggetti al divenire (e quindi al corrompersi e al morire) e al muoversi, lo Stagirita si occupa del movimento - inteso come il passaggio da un certo tipo di essere a un altro certo tipo di essere - del tempo e dei fenomeni fisici in generale, fornendo uno dei primi studi completi di fisica.
I concetti cardine della Fisica aristotelica sono:
- il sostrato[13]: è ciò che permane nonostante il mutare. Un essere umano, per esempio, da essere giovane diventa vecchio; dunque ha subito una mutazione, ma sempre dello stesso essere umano stiamo parlando che quindi possiamo definire come sostrato.
Il sostrato ultimo è naturalmente la materia prima, intesa come il determinarsi dell'essere nelle varie possibili forme senza essere nessuna di esse.[14]
- la privazione e la forma. Il divenire si può allora descrivere come il trasformarsi di un ente che prima era privazione, mancava di una caratteristica e in seguito l'acquista diventando forma.
È naturale cioè che «[...] né qualunque cosa si genera da qualunque cosa. Il bianco si produce da ciò che è non-bianco, e non da un non-bianco qualsiasi, ma dal nero o da qualcosa che è intermedio fra il bianco ed il nero.» [15]: pertanto un corpo diventa bianco (forma) da un dato non-bianco (privazione).
Un'altra concezione del divenire
Sarebbe irrazionale e irreale quindi pensare il divenire come il passaggio dal non-essere all'essere e viceversa, poiché dal nulla, nulla può venir fuori e d'altra parte è impensabile che il divenire sia un andare dall'essere al non essere, poiché l'essere non può cadere nel nulla.
È possibile allora spiegare il divenire anche mediante i concetti di potenza e atto. Un tavolo (forma), costruito partendo dal legno (sostrato) è il passaggio da un essere in potenza (il legno prima di essere lavorato come tavolo) ad un essere in atto (il tavolo). Affinché questo movimento avvenga è necessario che venga compiuto da qualcosa o qualcuno - il falegname in questo caso - che viene definito dal filosofo causa efficiente o meglio Motore [16]
Esistono diversi modi del divenire [17]:
- sostanziale (generazione e corruzione dell'ente);
- qualitativo (l'alterazione dell'essere);
- quantitativo (aumento e diminuzione, la quantità dell'essere);
- locale (lo spostamento, la traslazione di un essere da un posto ad un altro);
Il movimento locale è fondamentale, sta alla base di tutti gli altri moti che lo presuppongono, e si distingue in:
- circolare, sempre uguale a se stesso, caratterizza il movimento dei cieli composti dal quinto elemento l'etere che è eterno, non ha mutamenti;
- rettilineo, dal basso in alto e dall'alto in basso, proprio dei quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco. Gli esseri che hanno questi moti contrari sono corruttibili.
Le cause del movimento possono essere:
- accidentali, se riguardano fenomeni naturali
- volute, se compiute dall'uomo
Teoria dei posti naturali
Se si toglie uno dei quattro elementi dal suo ambiente, dal suo luogo naturale, questi tende a tornarvi come dimostra un sasso gettato nell'acqua che affondando tende ad andare verso la sua sfera, quella della terra, mentre le bolle d'aria che si liberano nell'acqua tendono ad andare verso l'alto, ossia verso la sfera dell'aria.
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Il divenire nelle culture e nell'arte
Non solo nell'antica Grecia, ma anche in altre culture si aveva contezza della perenne mutevolezza del mondo fenomenico, che veniva rappresentato nelle forme più diverse, attraverso simboli evocativi:[18]
Anche la storia dell'arte ha spesso messo in risalto le espressioni del movimento, del cambiamento e del flusso, fino ai movimenti più recenti come l'astrattismo, il dadaismo, il surrealismo, il futurismo, il fluxus ecc.
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Le moderne concezioni del divenire
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Oltre che nella filosofia antica, altri pensatori più vicini all'età moderna hanno privilegiato il divenire come chiave interpretativa della realtà, stimolati dal recupero di concezioni pitagorico-neoplatoniche,[23] basate maggiormente su prospettive funzionali e rapporti dinamici esprimibili in termini matematici, rispetto all'aristotelismo interessato invece allo studio delle qualità, ossia delle essenze statiche individuali.[22]
Se inoltre la filosofia di Aristotele era principalmente una scienza del vivente, che interpretava il mondo alla stregua di un essere animato,[25] e dalla quale trassero alimento le teorie biologiche del vitalismo,[26] lo sviluppo della nascente meccanica newtoniana si proponeva invece di studiare il moto dei corpi secondo modelli geometrico-matematici validi per la materia inanimata, che prescindendo da agenti spirituali,[27] erano incentrati su un principio d'inerzia inteso come vis mortua («forza morta»).[28]
Hegel

Il concetto del divenire impregnò la Naturphilosophie dell'età romantica, rivolta a studiare la variabilità delle strutture organiche in perenne dinamismo, fino a diventare fondamentale nella filosofia hegeliana, tutta impostata sull'incessante sviluppo dialettico del pensiero e della realtà.
La realtà del divenire è dimostrata, per Hegel, dal fatto che l'essere nella sua indeterminatezza equivale al nulla nel senso che non si conosce niente quando si dice semplicemente essere ma dovremo dire "questo essere" per uscire dalla vacuità e così il concetto del nulla a sua volta si converte in quello dell'essere. Siamo noi a concepire l'essere e il nulla. Non c'è alcun movimento che proceda “dall'essere al nulla”, poiché entrambi si equivalgono. Il concetto del divenire invece comprende entrambi i concetti dell'essere e del nulla nel senso che il divenire è sempre o un nascere o un perire, qualcosa che ancora non è e che sarà, o che è già stato e non è più. Il divenire allora è qualcosa di immanente al nostro stesso pensiero che ha lo stesso andamento, movimento dialettico della realtà.[29]
Bergson

Nel pensiero idealistico posteriore, il divenire si è svincolato dall'aspetto logico-linguistico e si è sempre più identificato con il tema dell'Io e della storia, fino a concepire la realtà, non solo naturale ma anche soprattutto quella attinente alle scienze dello spirito, come in continua evoluzione.
Nella corrente dello spiritualismo, ad esempio, il tema del divenire viene associato da Henri Bergson al tempo assumendo così il nuovo significato di "durata":
«Se voglio prepararmi un bicchiere di acqua zuccherata, checché faccia, debbo pur aspettare che lo zucchero si sciolga. Questo piccolo fatto è ricco di insegnamenti: giacché il tempo dell'attesa non è più quel tempo matematico che varrebbe per tutto il corso della storia del mondo materiale, anche se questa avesse a dispiegarsi in un sol tratto dello spazio: essa coincide con la mia impazienza, cioè con una parte della mia durata, che non si può allungare o abbreviare ad arbitrio. Non è più qualcosa di pensato, è qualcosa di vissuto; non è più qualcosa di relativo. ma di assoluto.[30]»
Il tempo spazializzato della fisica che considera gli istanti che si susseguono, come esterni uno all'altro, nel divenire differenti solo quantitativamente è una astrazione che vuole sostituirsi alla reale durata dove tra istante e istante, che si compenetra uno all'altro, c'è una differenza qualitativa di una perenne creatività che si contrappone alla pretesa reversibilità del tempo della fisica.
Severino
Nell'ambito del dibattito filosofico attuale una dei più originali contributi al concetto del divenire è quello del filosofo Emanuele Severino che incentra il suo pensiero proprio sulla considerazione del mutare:
«Questa differenza, che è l'autentica 'differenza ontologica', è richiesta dal fatto (ché appunto di un fatto si tratta) che 'il medesimo' sottostà a due determinazioni opposte (immutabile, diveniente), e quindi non è medesimo, ma diverso (ossia questo colore eterno non è questo colore che nasce e perisce). Agisce cioè daccapo, la legge dell'opposizione del positivo e del negativo, per la quale il negativo non è soltanto il puro nulla (Parmenide), ma è anche l'altro positivo (Platone).[31]»
Severino arriva a una nuova elaborazione del concetto di causa ed effetto, in cui la causa necessaria non cessa di vivere quando dà vita all'effetto, ma, coeterna con l'effetto, si dice tale perché l'apparire e poi sparire della causa provoca sempre l'inevitabile entrare e uscire dell'effetto. Il principio di causalità, che la filosofia normalmente deriva dal principio di non-contraddizione, è applicato all'apparire degli enti nel divenire, e non al loro essere che non può essere causa o effetto di nulla, perché è e resta eterno. Non è la legna che diventa cenere, ma è la legna a causare l'apparire della cenere quando la legna cessa di essere visibile.[32]
I valori immutabili
Per Severino il divenire, ossia l'intendere il processo vitale come un costante passaggio tra l'essere ed il non-essere, è alla base della concezione moderna del mondo. Il divenire è da Severino inteso come l'apparire dal nulla e lo scomparire nel nulla degli enti, motivo per cui il concetto di divenire provocherebbe un costante senso d'angoscia nell'uomo moderno. Da questa angoscia è scaturito il bisogno, per l'uomo, di escogitare una qualche scappatoia da questo processo di nullificazione dell'esistenza e dell'essenza. Tale scappatoia è vista da Severino negli Immutabili, valori che gli uomini hanno posto come verità ultimative e fondative della realtà, che avrebbero dovuto regolare e legalizzare il processo del divenire sottraendogli quell'aspetto di irrazionalità e imprevedibilità da cui scaturisce l'angoscia sopra citata.
Tuttavia a partire da pensatori come Leopardi e Nietzsche, secondo Severino, si sono piano piano frantumate tutte le certezze e i fondamenti del sapere occidentale, si è assistito a una vera e propria distruzione di quella che il pensatore bresciano definisce "episteme": non è più possibile per l'uomo credere in questo tipo di verità.
Ritorno a Parmenide
È quindi giunto il momento, per Severino, di "tornare a Parmenide" cioè recuperare quel senso dell'essere che sarebbe stato smarrito nella filosofia occidentale a partire da Aristotele: non è possibile pensare che un ente divenga "altro da sé" (la legna che diventa cenere, la legna che produce la "sua" cenere) perché cioè implicherebbe un impossibile passaggio dall'essere al nulla. La legna che smette di essere legna per diventare cenere (o uno degli infiniti passaggi intermedi) dovrebbe entrare nel nulla: questa è la vera essenza del nichilismo, secondo Severino.
Parmenide invece sosteneva che "l'essere è, e non può non essere", l'essere e il nulla sarebbero in tale opposizione da non potersi incontrare neanche nell'attimo in cui una cosa passa dall'essere al nulla (il momento in cui la legna smette di essere legna - per diventare cenere - è un momento in cui l'essere della legna dovrebbe non essere, il che implicherebbe una stridente contraddizione): la risposta a questa fondamentale problematica è, secondo Severino, che «tutto è eterno».[33]
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