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regista, sceneggiatore e artista israeliano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Amos Gitai Weinraub (in ebraico עמוס גיתאי?; Haifa, 11 ottobre 1950) è un regista, sceneggiatore, artista e produttore cinematografico israeliano.
Attivo sia nel cinema documentario che di finzione, Gitai nei suoi film si è spesso dimostrato molto critico verso il governo israeliano, incorrendo in censure ed arrivando a vivere per un certo periodo all'estero.
Il padre di Amos Gitai era un ebreo tedesco, architetto del Bauhaus, fuggito dalla Germania nazista nel 1934; sua madre era nata nella Palestina britannica da genitori di origine russa immigrati all'inizio del secolo.
Gitai partecipa come riservista alla guerra del Kippur del 1973, nel corso della quale sopravvive all'abbattimento dell'elicottero su cui viaggiava. Proprio durante i voli in elicottero perfeziona la qualità delle sue riprese con la Super 8.
"... Vengo da una famiglia in cui il cinema non era considerato una grande arte. Durante la guerra del Kippur, il mio elicottero fu colpito. Il mio compagno che era seduto come stiamo noi due adesso, a circa un metro e mezzo da me, fu decapitato da un missile siriano che penetrò il nostro elicottero. Mi venne detto nel linguaggio molto asciutto dell'esercito che, statisticamente, il fatto che fossi vivo era considerato un'eccezione. Allora decisi di sfruttare questo errore statistico e di dire un paio di cose che avevo dentro e che mi turbavano".[1]
L'atteggiamento critico ed indipendente dei suoi primi documentari per la TV israeliana gli procura diverse difficoltà con la censura. Bayit (Casa), del 1977, sul tema dei vari trasferimenti di proprietà di una casa araba a Gerusalemme, non è neppure mandato in onda. Il successivo Yoman Sadeh (Diario di guerra), del 1982, sulla campagna in Libano, viene duramente attaccato. Data la difficoltà di operare in Israele, si reca, dapprima, negli Stati Uniti, dove, sulle orme del padre, conclude a Berkeley, nel 1986, gli studi di architettura iniziati ad Haifa. Si trasferisce poi a Parigi.
È di questo periodo la trilogia di film sul tema dell'esilio e dell'emigrazione: Esther (1986), Berlin-Jerusalem (1989), Golem - Lo spirito dell'esilio (1992). Non abbandona tuttavia l'interesse per il documentario. Nell'ampia produzione del periodo si possono ricordare Ananas, caustico lavoro sulla produzione e commercializzazione del frutto tropicale e Brand New Day, racconto di una tournée giapponese di Annie Lennox e gli Eurythmics. Nel 1993, anno in cui apre la Biennale di Venezia e inizia un documentario sulla campagna elettorale amministrativa di Alessandra Mussolini a Napoli, Nel nome del Duce, un monito sul ritorno del fascismo in Europa, si risolve a rientrare in Israele.
Non è una scelta facile. Nonostante i riconoscimenti internazionali, l'atteggiamento della critica israeliana nei confronti delle sue opere dell'"esilio" non è mutato.[2] I suoi due figli, Keren e Ben, studiano a Parigi e la famiglia è perfettamente ambientata in Francia.
L'esordio israeliano nel cinema di fiction è il primo film di una trilogia dedicata alle città: L'inventario (Devarim), del 1995, ambientato a Tel Aviv, cui seguiranno Giorno per giorno (Yom Yom) del 1998, dedicato ad Haifa e Kadosh del 1999, girato a Gerusalemme. Un ritorno, in chiave autobiografica, ai suoi ricordi di guerra, come addetto alla sanità militare sulle Alture del Golan, è il successivo Kippur, film antimilitarista presentato nel 2000 al Festival di Cannes. Eden, del 2001, è il primo atto, cui seguirà, nel 2002, Verso oriente, anch'esso presentato a Cannes, di una nuova trilogia incentrata sulla nascita dello stato di Israele, nel 1948.
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