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La musica della Mesopotamia seguì le diverse tradizioni artistiche dei popoli che abitarono le terre fra il Tigri e l'Eufrate, fra questi i Sumeri, gli Accadi, gli Assiri e gli Ittiti. Gli strumenti in Mesopotamia includevano arpe, lire, liuti, flauti e tamburi. Molti di questi erano comuni alle culture limitrofe. Le lire dell'Africa orientale e i liuti dell'Africa occidentale databili allo stesso periodo conservano effettivamente alcune caratteristiche degli strumenti mesopotamici (van der Merwe 1989, p. 10).
Gli scavi del cimitero reale di Ur, città sumerica, e l'iconografia musicale con cui è riccamente decorata l'architettura della prima Mesopotamia storica lasciano intendere che la musica era probabilmente molto importante nelle forme rituali tipiche della civiltà sumera. Esemplari di bassorilievo del Louvre, provenienti da Lagash, mostrano ad esempio strumenti cordofoni simili all'arpa.
Nei Testi Sacri dell'Ebraismo si accenna per la prima volta alla musica (in un riferimento che sembra alludere a un'epoca attorno al 3300/3200 a.C.), quando si parla di Iubal o Jubal, figlio di Lamec e di Ada, del quale viene detto che:
« [...] fu il padre di tutti quelli che suonano la cetra (o chitarra, ebraico kinnor) e il flauto (ebraico ugab). » ( Genesi 4,21, su laparola.net.) |
Fra i testi hurriti trovati ad Ugarit ci sono i più antichi esempi di scrittura musicale, risalenti al 1400 a.C. circa.[N 1] In questi frammenti sono stati trovati i nomi di quattro compositori, Tapšiẖuni, Puẖiya(na), Urẖiya, e Ammiya.[1]
La musica svolse un ruolo centrale nell'antica religione mesopotamica. Nel periodo paleo-babilonese (ca. 1894–1595 a.C.), quando la musica veniva eseguita durante la cerimonia religiosa, i praticanti, conosciuti in sumero come "sacerdoti di gala", cantavano in un dialetto sumero chiamato Emesal.[2] C'erano due tipi di preghiere Emesal, il Balag e l'Ershemma, che prendevano il nome dagli strumenti usati nella loro esecuzione (rispettivamente balag e shem).[3] In alcune rappresentazioni di feste religiose, i musici erano accompagnati da ballerini, giocolieri ed acrobati.[4]
Le prove rinvenute nella città di Mari offrono un quadro di come erano posizionati i musici entro il tempio. Uno strumento chiamato "Ninigizibara" era posto di fronte alla statua della divinità di quella città, Eštar. I cantanti sedevano alla destra dello strumento, un'orchestra sedeva alla sua sinistra e le musiciste stavano dietro ad esso. Durante queste preghiere di lamento cantate venivano eseguiti atti rituali, il cui scopo era persuadere la poliade a non abbandonare la città.[5][6] Inoltre, alcuni lamenti includevano il dolore per la perdita della musica stessa durante la distruzione d'una città e del suo tempio. In una di queste opere, la "dea piangente" Ninisinna lamenta la distruzione della sua città, sin, non solo come perdita di cibo, bevande e lusso ma anche perché non c'erano «strumenti musicali dal suono dolce come la lira, tamburo, tamburello e flauto ad ancia; niente canti consolatori e parole rassicuranti da parte dei cantori e dei sacerdoti del tempio.»[7]
Alcuni rituali coinvolgevano gli strumenti stessi, divinizzati e capaci di ricevere sacrifici animali come dèi.[8] In un rituale strettamente associato a un tamburo descritto in un testo accadico,[9] un toro veniva portato al tempio e venivano fatte offerte a Enki, dio della musica e della saggezza.[10][11] Durante il rituale varie parti del toro venivano bruciate con una torcia.[12] Dodici teli furono posti a terra[13] e sopra ogni telo fu posta l'immagine in bronzo di un dio. Furono fatti sacrifici e fu posizionato un tamburo. Le immagini di bronzo venivano poi poste all'interno del tamburo, si sussurravano incantesimi alle orecchie del toro, si cantava un inno accompagnato da un oboe e il toro veniva sacrificato.[12]
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