Ottava rima
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In poesia l'ottava, è tecnicamente una strofa di otto versi. Ma secondo la tradizione italiana e poi europea, per ottava rima, o semplicemente ottava, si intende canonicamente una strofa composta da otto endecasillabi rimati, di cui i primi sei a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata (ABABABCC).[1] È il metro usato nei poemi a ottave come, ad esempio, l'Orlando furioso di Ludovico Ariosto e la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.
Secondo alcuni, è derivata dallo strambotto siciliano; secondo altri, dalla stanza della ballata o della canzone.[1] Non è certo chi l'abbia inventata, ma il suo uso può essere rintracciato fin dal XIV secolo, nei cantari trecenteschi e nei poemetti del Boccaccio. La prima testimonianza si trova appunto nel Filostrato di Giovanni Boccaccio, che lo adoperò anche nel Ninfale fiesolano, tant'è che si tende a pensare che sia stato il grande autore del trecento italiano a inventare l'ottava rima, partendo dall'esempio degli huitains francesi in lingua d'oil [2]; altro esempio ne è il Britto di Bretagna di Antonio Pucci. Diventerà poi il metro di poeti popolari come Antonio Pucci e di scrittori colti come Franco Sacchetti, che lasceranno al Pulci, al Boiardo, ma anche al Magnifico, e soprattutto all'Ariosto e al Tasso di elevarlo alle più alte cime. La popolarità dell'ottava riuscì in questo modo a eguagliare la terzina dantesca. È ancora questo metro che sarà utilizzato dai poeti estemporanei per i loro contrasti di improvvisazione fino ai nostri giorni.