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Poemi conviviali
raccolta di poesie di Giovanni Pascoli / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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I Poemi conviviali sono una raccolta di 16 poemetti di Giovanni Pascoli composti tra il 1895 e il 1905, pubblicata nel 1904 presso Nicola Zanichelli. Nella seconda e definitiva edizione del 1905, il poeta vi aggiunse un nuovo componimento, I gemelli, per un totale di 17 poemetti, di varia estensione, quasi completamente composti in endecasillabi, sciolti o talvolta terzinati.
Poemi conviviali | |
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Autore | Giovanni Pascoli |
1ª ed. originale | 1904 |
Genere | poesia |
Lingua originale | italiano |
La raccolta è dedicata "All'amico Adolfo De Bosis" ("Adolfo il tuo Convito non è terminato. [...] e a te, o Adolfo, re del convito, consacro questi poemi"[1]). Il De Bosis era il direttore della rivista «Convito», su cui erano apparsi dapprima alcuni poemetti qui raccolti (donde l'attributo conviviali dato ad essi).
I poemetti sono preceduti da una prefazione (che si presenta come lettera al De Bosis datata Pisa, 30 giugno 1904), che si apre con il motto latino "Non omnis arbusta iuvant", ripresa in chiave antifrastica del verso tratto dalla IV Egloga delle Bucoliche di Virgilio. Lo stesso verso era stato utilizzato da Pascoli come esergo in Myricae con la variante "Arbusta iuvant humilesque myricae".[2]
Nell’opera pascoliana è evidente una rievocazione della mitologia e dell’antichità sia greca che latina; tuttavia Pascoli, “rivoluzionario nella tradizione” (Contini), rende il mondo classico moderno aggiungendo “un’inquietudine e un pathos nei quali si misura la distanza dalla classicità”.[2]
Tra i Poemi conviviali si ricordano soprattutto L'ultimo viaggio diviso a sua volta in XXIV canti, che riprende le avventure di Ulisse (si configura come una riscrittura dell’Odissea), Il poeta degli iloti (ispirato dalla nota autobiografica scritta da Esiodo in Le opere e i giorni, v. 650) e La buona Novella, posta in conclusione alla raccolta, che si suddivide in 2 canti a loro volta frammentati e che racconta la vicenda di Gesù Cristo ispirandosi al Vangelo di Luca, II, 8-19.
Il critico Giuseppe Nava nell'edizione dei Poemi Conviviali apparsa per Einaudi, giudica l'opera «il capolavoro della poesia pascoliana e una delle più alte espressioni della cultura letteraria di fine Ottocento».[2]