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R.U.R.
dramma di Karel Čapek / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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R.U.R. (sigla di Rossumovi univerzální roboti, traducibile come "I robot universali di Rossum") è un dramma utopico fantascientifico in un prologo e tre atti dello scrittore ceco Karel Čapek (1890-1938), pubblicato nel 1920 e messo in scena al Teatro nazionale di Praga il 25 gennaio 1921. Assieme a Noi di Evgenij Zamjatin si tratta di una delle prime distopie letterarie.
R.U.R. | |
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Opera teatrale | |
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Autore | Karel Čapek |
Titolo originale | R.U.R. |
Lingua originale | |
Genere | dramma satirico utopico |
Pubblicato nel | 1920 |
Prima assoluta | 25 gennaio 1921 Teatro nazionale di Praga |
Riduzioni cinematografiche | R.U.R. (1938) |
In quest'opera per la prima volta compare il termine robot, inventato dal fratello dello scrittore ceco, Josef Čapek, per designare l'operaio artificiale sulla base della parola ceca robota ("corvée, lavoro faticoso, servitù"), trasformata da femminile a maschile[1]. In seguito, il fortunatissimo termine robot prese ad indicare soprattutto organismi meccanici, mentre i robot di Čapek sono in realtà umanoidi organici, prodotti da quella che in seguito si sarebbe definita ingegneria genetica, malgrado la procedura di costruzione degli androidi di Rossum appaia descritta in termini piuttosto anacronistici: si parla di macchine per impastare e di tini per il trattamento di protoplasma chimico. In italiano il termine si è affermato piuttosto tardi, dopo essere stato a lungo in concorrenza con numerose varianti (roboto/robotessa, robotins, robots).
Il grande successo dell'opera è testimoniato dall'immediata traduzione in tedesco e poi in molte altre lingue e dalle messe in scena a New York (1922), Berlino e Vienna (1923), Londra e Parigi (1924) etc., che hanno favorito l'introduzione della parola robot in quasi tutte le lingue del mondo. In occasione della rappresentazione londinese è stato messo in vendita il giocattolo Robert the Robot, poi destinato a un grande successo in America. In Italia l'opera ha invece avuto un'accoglienza difficile, anche se ha influenzato diversi scrittori italiani (ad esempio Ruggero Vasari), perché come ha scritto Silvio d’Amico “dal punto di vista estetico, nelle sue nitide costruzioni sceniche il nostro gusto latino avverte un quid di meccanico, che in un certo modo le raggela"[2]. È stata tradotta per la prima volta solo nel 1929 e rappresentata prima a Napoli nel 1928 e poi a Firenze all’Accademia dei Fidenti nel 1933[1].