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Stefano Calzetta

mafioso e collaboratore di giustizia italiano (1992-1939) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

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Stefano Calzetta (Palermo, 1º giugno 1939Palermo, 15 febbraio 1992) è stato un mafioso e collaboratore di giustizia italiano.

Fu uno dei collaboratori di giustizia protagonisti del primo maxiprocesso a Cosa nostra[1] e fu fra i primi a raccontare agli investigatori la Seconda guerra di mafia[2].

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Biografia

Nel 1982 Calzetta andò in un pronto soccorso di Palermo dicendo di essere stato avvelenato[2] e iniziò a collaborare con la giustizia[1][2][3], ascoltato dal vicequestore Ninni Cassarà[2] e poi dai sostituti procuratori Vincenzo Geraci ed Alberto Di Pisa[4][5]. Finì così anche accusato di fare parte di Cosa nostra[1][2]. Da pentito diventò decisivo nella ricostruzione degli omicidi ordinati da Filippo Marchese[1][3][6].

Partecipò al maxiprocesso sia in veste di collaboratore di giustizia[1][2] che in quella di imputato[1], ma fu assolto dall'accusa di associazione per delinquere di tipo mafioso[1][2] e subito dopo la sentenza tornò in libertà[1], rimanendo però in una località segreta[2].

Dopo essersi visto bruciare la fabbrica del fratello[7] e per timore di essere ucciso[1] o di vendette trasversali[2], a partire dal gennaio 1990 iniziò a fingersi pazzo alle udienze processuali[7][1][2] e cominciò a dormire nel giardino pubblico che si trova davanti alla questura di Palermo[7], cacciato di casa dai propri famigliari da qualche tempo[1][2].

Morì il 15 febbraio 1992, all'età di 52 anni a seguito di un tumore al fegato[8][9].

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Note

Bibliografia

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