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Cronistoria del programma nucleare iraniano

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Cronistoria del programma nucleare iraniano
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La storia del programma nucleare iraniano inizia sotto lo Scià Mohammad Reza Pahlavi negli anni 1950, nell'ambito dell'iniziativa statunitense Atomi per la pace.[1] Nel 1967, l'Iran istituì il Centro di Ricerca Nucleare di Teheran, dotato di un reattore di ricerca da 5 MW fornito dagli Stati Uniti.[2] Durante gli anni 1970, l'Iran perseguì ambiziosi piani per la costruzione di 20 centrali nucleari (avviando i cantieri dei reattori della centrale di Bushehr con l'assistenza tedesca), ma i progressi si interruppero dopo la Rivoluzione Islamica del 1979 e la guerra Iran-Iraq, che si prolungò dal 1980 al 1988. Negli anni 1990, l'Iran iniziò a ricostruire la propria infrastruttura nucleare, non solo stipulando contratti alla luce del sole, come quelli con la Russia per il completamento della costruzione del reattore di Bushehr, avvenuto poi nel 2011,[3] ma anche cercando di realizzare un ciclo del combustibile nucleare ottenendo segretamente progetti di centrifughe dalla rete clandestina messa in piedi da Abdul Qadeer Khan.

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Il logo dell'Organizzazione per l'Energia Atomica dell'Iran

Le attività nucleari dell'Iran rimasero per lo più clandestine fino al 2002, quando i dissidenti rivelarono l'esistenza di impianti non dichiarati a Natanz, dov'era presente un sito di arricchimento dell'uranio, e ad Arak, dov'era invece presente un reattore ad acqua pesante.[4] Ciò scatenò una crisi internazionale. Sotto pressione internazionale, alla fine del 2003 l'Iran accettò di sospendere l'arricchimento e firmò il Protocollo aggiuntivo dell'AIEA,[5] nel contesto di un negoziato con tre Paesi dell'UE (Regno Unito, Francia e Germania). Tuttavia, questi limiti volontari crollarono nel 2005, dopo l'elezione di Mahmoud Ahmadinejad, e l'Iran riprese l'arricchimento, portando il Consiglio dei governatori dell'AIEA a dichiarare il Paese inadempiente e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a imporre sanzioni a partire dal 2006.[6] Per tutta la seconda metà degli anni 2000, Teheran ampliò costantemente la sua capacità di arricchimento, inclusa la costruzione segreta dell'impianto di arricchimento sotterraneo di Fordow, rivelata nel 2009,[7] e continuò ad accumulare uranio a basso arricchimento, riducendo a un certo punto a pochi mesi il tempo stimato che gli sarebbe servito per realizzare un ordigno nucleare. Peraltro, il programma andò avanti nonostante sabotaggi e altre azioni di disturbo, quali ad esempio, l'attacco informatico portato con Stuxnet.[8]

Una svolta diplomatica arrivò nel 2015, quando l'Iran e il gruppo P5+1 (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina, Russia e Germania) raggiunsero il Piano d'azione congiunto globale (JCPOA).[9] Questo accordo impose rigidi limiti al programma nucleare iraniano, limitando l'arricchimento dell'uranio al 3,67% di U-235, riducendo le scorte di uranio arricchito dell'Iran a 300 kg e richiedendo la riprogettazione del reattore ad acqua pesante di Arak, in cambio di un'ampia riduzione delle sanzioni. Il JCPOA fu attuato nel 2016, con l'AIEA che ne verificò il rispetto da parte dell'Iran. Tuttavia, nel maggio 2018 gli Stati Uniti si ritirarono unilateralmente dall'accordo, citando il programma missilistico iraniano, il sostegno ai paesi per procura e le politiche regionali aggressive;[10] le sanzioni statunitensi furono reintrodotte e l'Iran rispose dal 2019 in poi violando i limiti del JCPOA. Entro il 2020-2021, l'Iran ha posto fine alle restrizioni sull'arricchimento e ha iniziato ad arricchire a livelli superiori a quelli consentiti.[11] A partire dal 2025, il programma nucleare iraniano è molto più avanzato rispetto a un decennio prima, essendosi ampliato significativamente sia in termini di portata che di scala. Nel giugno 2025, l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) ha riscontrato che l'Iran non rispettava i suoi obblighi nucleari per la prima volta in 20 anni. L'Iran ha reagito inaugurando un nuovo sito di arricchimento e installando centrifughe avanzate.

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Gli inizi

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Ritaglio di giornale del 1968 con il titolo: "Il 25% degli scienziati nucleari iraniani sono donne"

Le basi del programma nucleare iraniano furono gettate con l'assistenza degli Stati Uniti d'America. Nel 1957, l'allora presidente statunitense Dwight D. Eisenhower, nell'ambito del programma Atomi per la pace, presentò all'Università di Teheran un reattore di ricerca,[1] mentre nel 1967, un altro reattore di ricerca, in particolare un reattore ad acqua leggera realizzato dalla American Machine and Foundry, con una capacità di 5 megawatt, fu consegnato dagli Stati Uniti e messo in funzione presso il Centro di ricerca nucleare di Teheran (TNRC).[2] Il 1º luglio 1968, poi, l'Iran firmò il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), in base al quale gli Stati firmatari possono utilizzare l'energia nucleare solo per scopi civili, venendo punito con sanzioni qualunque scopo militare, che entrò in vigore per il Paese il 5 marzo 1970, dopo il deposito della ratifica presso gli Stati firmatari.[12]

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Gli anni 1970

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Quattro anni dopo l'entrata in vigore del TNP, nel suo discorso di Capodanno del 21 marzo 1974, lo Scià Mohammad Reza Pahlavi dichiarò che il paese avrebbe usato al più presto l'energia nucleare e le fonti energetiche alternative per riservare il petrolio alla produzione di prodotti chimici e petrolchimici, non dovendo usare una sostanza preziosa come il petrolio semplicemente come un combustibile ordinario.[13]

Nel suo piano ventennale, che copriva il periodo dal 1972 al 1992, l'autorità di pianificazione statale ipotizzava una carenza energetica globale, attribuita alle politiche energetiche dei paesi industrializzati occidentali, il cui sviluppo economico dipendeva quasi interamente dai combustibili fossili a basso costo, e mirava quindi a ridurre significativamente la quota di energia generata dalla combustione del petrolio a favore dell'energia nucleare, del gas e dell'energia idroelettrica. Secondo questo piano, l'energia nucleare avrebbe dovuto coprire il 15,5% del consumo energetico totale del Paese entro il 1992.

Lo stesso anno, sotto la guida di Akbar Etemad, fu fondata l'Organizzazione per l'Energia Atomica dell'Iran.[14] Prima di accettare l'incarico, Etemad, un fisico specializzato in fisica dei neutroni, già direttore del gruppo di ricerca sulla schermatura dei reattori nucleari presso l'Istituto per la schermatura nucleare dell'Istituto federale svizzero per la ricerca sui reattori di Würenlingen,[15] tornato in patria nel 1965, dove nel 1967 fu nominato viceministro della ricerca e della scienza, redasse un memorandum in cui delineava le condizioni alle quali avrebbe accettato l'incarico: all'organizzazione doveva essere garantita la totale indipendenza dal governo.

Secondo Etemad, un programma nucleare non poteva essere imposto ma richiedeva un approccio pragmatico, i fondi necessari, le infrastrutture necessarie e il tempo necessario per la ricerca. Inoltre, richiedeva buone relazioni politiche con gli altri Stati dotati di armi nucleari e condizioni stabili all'interno del paese. Il documento di 16 pagine fu accettato dallo Scià che successivamente diede carta bianca allo scienziato, il quale, nel giro di sei mesi dall'assunzione dell'incarico di presidente dell'Organizzazione per l'Energia Atomica dell'Iran, aveva riunito un team di circa 100 persone ed era già in grado di iniziare la pianificazione.[16]

La costruzione di impianti nucleari richiedeva condizioni non facili da soddisfare in Iran. I reattori nucleari, infatti, richiedono notevoli quantità d'acqua, devono essere collegati a un sistema di trasporto, anche per le attrezzature pesanti, e alla rete elettrica nazionale, ma devono essere situati il più lontano possibile da aree densamente popolate e in un luogo a bassissimo rischio sismico. Le analisi iniziali rivelarono che in tutto il territorio nazionale non c'erano più di dieci siti utili alla costruzione di un impianto nucleare. Alla fine, i preparativi per la costruzione di impianti partirono in tre località: Bushehr sul Golfo Persico, Darkhoveyn sul fiume Karun e un'area vicino al fiume Zaiandè a sud-ovest di Esfahan.[13]

Nel 1975, il Segretario di Stato statunitense Henry Kissinger firmò il Memorandum 292 sulla sicurezza nazionale, relativo alla cooperazione tra Stati Uniti d'America e Iran nel campo della tecnologia nucleare che prevedeva la vendita all'Iran di quel tipo di tecnologia per un valore di oltre sei miliardi di dollari.[17] Da allora, fino alle fine degli anni 1970, furono conclusi diversi accordi Stati Uniti e Iran a questo proposito, tanto che, nel 1976, gli USA offrirono all'Iran l'opportunità di acquistare e gestire un impianto di produzione di plutonio, che fu tuttavia ritirata nell'ottobre dello stesso anno dall'allora presidente Gerald Ford.[13] Una volta constatato che i negoziati con gli Stati Uniti d'America non potevano essere conclusi, alcune aziende tedesche e francesi decisero di subentrare, con il governo federale tedesco, allora guidato da Helmut Schmidt, che sostenne le aziende della Germania Ovest nella vendita di reattori nucleari all'Iran.[18]

Per garantire la fornitura di uranio arricchito ai reattori iraniani, nel 1975, a seguito di negoziati franco-iraniani, la quota del 10% della di Eurodif (European Gaseous Diffusion Uranium Enrichment Consortium), una società europea per l'arricchimento dell'uranio proprietaria di una centrale nucleare a Pierrelatte, detenuta dalla Svezia, che nel 1974 si era ritirata dal progetto, fu trasferita all'Iran tramite la fondazione della Sofidif (Société franco–iranienne pour l'enrichissement de l'uranium par diffusion gazeuse), con quote del 60% della Francia e 40% dell'Iran, che acquisì una quota del 25% in Eurodif, facendo così ottenere all'Iran la sua quota del 10%.[2] Già nel 1974, l'Iran aveva promesso un miliardo di dollari statunitensi per l'ampliamento dell'impianto di arricchimento di Pierrelatte - impegno poi aumentato di altri 180 milioni di dollari nel 1977 a seguito dell'aumento dei costi di costruzione - assicurandosi così il diritto di prelazione sul 10% della produzione finale, tuttavia, dopo la Rivoluzione islamica del 1979, l'Iran interruppe i pagamenti. Nel 1991 fu raggiunto un accordo con il governo francese sul rimborso dell'anticipo e sulla revoca del diritto dell'Iran ad acquistare uranio arricchito: la Francia rimborsò alla Repubblica islamica dell'Iran 1,8 miliardi di dollari, e quest'ultima rinunciò a qualsiasi fornitura.[19]

Peraltro, oltre agli accordi di cooperazione con la Repubblica Federale di Germania (1976) e la Francia (1977), nel 1976 l'Iran aveva acquisito anche quote di una miniera di uranio di recente scoperta situata nell'Africa sud-occidentale, l'odierna Namibia, e gestita dal gruppo britannico Rio Tinto Group e dalla tedesca Urangesellschaft.[13]

Le prime centrali nucleari

Nonostante il coinvolgimento di Stati Uniti e Francia, furono le aziende della Germania Ovest a firmare un contratto nel 1974 per costruire la prima centrale nucleare iraniana vicino alla città di Bushehr. Fu infatti la tedesca Kraftwerk-Union AG (KWU) ad aggiudicarsi la realizzazione di due reattori ad acqua pressurizzata (PWR) da 1200 MW e, per fornire sostegno politico al contratto, il governo tedesco concluse un accordo di cooperazione nel campo dell'energia nucleare con l'Iran, firmato a Teheran il 4 luglio 1976, in cui fu anche concordato - con uno scambio segreto di lettere - che il governo tedesco avrebbe fornito all'Iran tecnologia di riprocessamento e arricchimento a determinate condizioni.[18] Nel 1977 furono poi intrapresi negoziati per altri quattro reattori: due da realizzare sempre a Bushehr e due in altri siti (tra le possibili sedi erano state citate Bandar Abbas e Esfahan tra le possibili sedi), che sarebbero entrati in funzione nel 1983. Tuttavia, a causa delle difficoltà finanziarie dell'Iran, che si erano già manifestate nel 1977, e al fatto che il governo tedesco era sotto pressione da parte degli Stati Uniti, che iniziavano a sollevare dubbi sulla proliferazione nucleare in Iran. questi quattro reattori non andarono mai oltre la fase di progetto.[18]

Per quanto riguarda la centrale di Bushehr, prima la rivoluzione islamica del 1979, e poi la guerra Iran-Iraq che si protrasse dal 1980 al 1988, ne ritardarono fortemente lo sviluppo, con la KWU che si ritirò dai cantieri già nel 1979, il sito che fu bombardato nel corso della guerra e la guida suprema Khomeini che nel 1984 dichiarò l'energia nucleare "non islamica" vietando ogni ricerca nel campo. Fu infatti solo dopo la fine della guerra, dal 1990 in poi, che la ricerca di nuovi partner stranieri, tra cui Cina e Pakistan, si intensificò e che, il 21 gennaio 1991, l'Iran firmò un contratto con la Cina per costruire un altro piccolo reattore di ricerca da 27 kilowatt a Esfahan. Nel 1995, l'Iran firmò anche un contratto con la Russia per il completamento della centrale di Bushehr, il cui reattore Bushehr-1 entrò in funzione solo nel 2011, iniziando la produzione di elettricità e diventando la prima centrale nucleare operativa del Paese.[3]

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Impianti nucleari

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I siti del programma nucleare iraniano

Teheran

Il reattore di ricerca di Teheran, con una capacità di 5 MW e progettato per funzionare con elementi di combustibile riempiti con uranio arricchito al 93%, fu costruito nel 1967 con l'assistenza degli Stati Uniti d'America,[2] i quali fornirono anche le prime barre di combustibile, per un totale di circa 6 chilogrammi,[20] i quali tuttavia interruppero tutte le consegne dopo la Rivoluzione islamica. Nel 1987 l'Iran firmò un contratto - approvato dall'AIEA nel settembre 1988 - con l'Argentina per la conversione del reattore affinché quest'ultimo funzionasse con arricchito al 20% e per la fornitura di 115,8 kg di tale materiale, che fu fornito nel 1993, a conversione conclusa.[21] Il 9 febbraio 2010, poiché il combustibile per questo reattore si sarebbe esaurito entro un anno, il capo dell'Agenzia iraniana per l'energia atomica, Ali Akbar Salehi, annunciò che il nuovo combustibile a lui destinato sarebbe stato arricchito presso l'impianto nucleare di Natanz.[22]

Bushehr

La centrale nucleare di Bushehr è sita 17 chilometri a sud dell'omonima città, sul Golfo Persico, e ha per scopo principale quello di fornire energia alla città di Shiraz, nell'entroterra.

Come precedentemente ricordato, già nel 1974, la Kraftwerk-Union AG, una joint venture tra Siemens AG e AEG-Telefunken, firmò un contratto di costruzione del valore di circa sei miliardi di dollari USA, appaltando poi alla ThyssenKrupp AG la realizzazione dei due noccioli dei reattori, i cui lavori iniziarono il 1° maggio 1975, con il completamento dell'intera struttura originariamente previsto per il 1982. Nel gennaio 1979, dato che l'economia del Paese era stata praticamente bloccata durante la Rivoluzione, i cantieri furono interrotti e, a luglio dello stesso anno, la Kraftwerk-Union si ritirò dal progetto[23] - con un reattore completato all'85% circa, e l'altro al 50% - perché l'Iran era in arretrato con i pagamenti, che fino a quel punto avevano portato nelle casse della società circa 2,5 miliardi di dollari. Durante la guerra con l'Iraq che si protrasse dal 1980 al 1988, poi, entrambi i cantieri dei reattori in costruzione furono gravemente danneggiati da diversi attacchi aerei iracheni tra il 1984 e il 1987,[23] come riportato all'AIEA dallo stesso governo di Teheran, il quale si lamentò anche dell'inattività internazionale nonché del fatto che i missili utilizzati fossero di produzione francese.[24][25]

Dopo aver instaurato dei negoziati con la Russia volti al completamento del reattore, nel 1990, cinque anni dopo i due paesi firmarono finalmente un contratto, con la costruzione che fu affidata alla Atomstroiexport (ASE), facente capo al Ministero russo dell'energia atomica, che fornì anche il combustibile. Originariamente, l'impianto avrebbe dovuto entrare in funzione nel 2005, tuttavia, dopo diverse traversie, il reattore è stato caricato per la prima volta con barre di combustibile solo il 21 agosto 2010, con l'installazione di tutte le 163 barre avvenuta verso la fine dell'anno. Il 4 settembre 2011, infine, la centrale nucleare di Bushehr è stata collegata per la prima volta alla rete elettrica, mentre il 24 settembre 2013 ebbe luogo la formale cerimonia di pre-accettazione da parte iraniana, con la firma dei documenti da parte del capo della AEOI e del rappresentante della NIAEP-ASE, segnando l'avvio del processo di consegna della centrale alla gestione iraniana.[3]

Natanz

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Una postazione antiaerea posta a difesa del sito di Natanz fotografata nel 2006

L'impianto sotterraneo di Natanz, si trova circa 225 km a sud-sudest di Teheran, nell'arido centro del paese, dove è protetto da sistemi di difesa contraerea e dove l'Iran gestisce il suo progetto principale di arricchimento dell'uranio. Secondo le informazioni dell'AIEA del 22 febbraio 2007, nell'impianto erano in funzione 300 centrifughe per l'arricchimento contro una potenzialità di circa 50 000, ossia una quantità ben lungi dall'essere sufficiente per l'arricchimento su scala industriale. Tuttavia, il 9 aprile successivo l'allora presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad annunciò presso lo stesso impianto di Natanz che l'Iran poteva ora arricchire l'uranio su vasta scala.

Nel novembre 2009, l'Iran aveva prodotto 1800 kg di uranio arricchito al 3,5%, e circa la metà delle 8 000 centrifughe installate a Natanz non risultava in funzione.[26] Tre mesi dopo, a febbraio 2010, Ali Akbar Salehi annunciò che nel sito di Natanz era iniziata la produzione di uranio arricchito al 20%,[22] con l'obbiettivo di ottenere 120 kg di materiale da destinare al reattore di ricerca di Teheran, il cui fabbisogno è di circa 1,5 kg al mese.

Il 21 giugno 2025, l'impianto nucleare di Natanz, così come quello di Fordow e il centro di tecnologia nucleare di Esfahan furono presi di mira con quattordici bombe GBU-57A/B MOP da 13608 kg trasportate da bombardieri stealth Northrop B-2 Spirit statunitensi e con una raffica separata di missili Tomahawk lanciati da sottomarini.[27]

Fordow/Qom

Nel settembre 2009, pochi giorni prima di un atteso incontro tra l'Iran, i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e la Germania, l'Iran informò l'AIEA che il paese stava costruendo un secondo impianto di arricchimento dell'uranio, che fu visitato il 25 ottobre 2009 da quattro ispettori dell'AIEA.[7]

Ritenuto aver un uso esclusivamente militare a causa della sua capacità limitata a un massimo di 3 000 centrifughe, nonostante le rassicurazioni date dall'Iran, l'impianto di Fordow, sito a poca distanza dalla città di Qom, fu messo in funzione tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012,[28] con l'installazione di tutte quante le centrifughe - denominate "IR-1" nel rapporto dell'AIEA, e che sarebbero tecnicamente obsolete e soggette a guasti - che si concluse entro il novembre 2012, quando l'impianto aveva già prodotto 95,5 kg di uranio arricchito al 20%.

La chiusura dell'impianto di Fordow - che risulta sempre sotto supervisione dell'AIEA - è una delle richieste del P5+1 (il gruppo dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania) all'Iran. Come ricordato nel precedente paragrafo, il sito di Fordow è stato uno dei bersagli degli attacchi ai siti nucleari iraniani condotti dagli USA il 22 giugno 2025.[27]

Esfahan

La città universitaria di Esfahan è considerata il centro della ricerca nucleare iraniana. La città ospita un impianto di produzione di barre di combustibile presso il quale l'uranio può anche essere convertito in esafluoruro di uranio gassoso, una materia prima necessaria per arrivare poi all'uranio arricchito. Inoltre, il Centro di tecnologia nucleare di Isfahan comprende laboratori e diversi piccoli reattori di ricerca, forniti dalla Cina, utilizzati per la ricerca e la produzione di isotopi.[29]

Secondo le informazioni di GlobalSecurity.org, la parte delle centrifughe a gas utilizzate per l'arricchimento dell'uranio che non viene importata, viene realizzata in una fabbrica di Esfahan, per essere poi testate presso l'impianto di Kalaje ad Ab-Ali e infine completate a Natanz.[30]

Arak

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Il sito di Arak

L'acqua pesante per la moderazione dei reattori iraniani viene prodotta in un impianto sito vicino alla città di Arak, circa 240 km a sud-ovest della capitale iraniana. Secondo le informazioni ufficiali, la costruzione dell'impianto è iniziata nel 1996 e la sua esistenza è stata confermata nel dicembre 2002 da immagini satellitari pubblicate dall'Institute for Science and International Security (ISIS). Nel 2011 nel sito è stato ultimato anche un reattore ad acqua pesante, un IR-40[31] da 40 MW, i cui dettagli di progetto sono sconosciuti, sebbene sia altamente probabile che si tratti di un reattore ad acqua pressurizzata. Assieme alle normali operazioni, tale progetto consentirebbe essenzialmente la produzione continua di plutonio di grado militare.[32]

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Estrazione dell'uranio

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L'Iran possiede alcuni giacimenti di uranio, ad esempio vicino a Yazd, Anarak e Gchine,[33] sia derivati dalla formazione di depositi panafricani, tra cui quelli di Saghand, Narigan, Sekhahun e Zarigan, sia dall'orogenesi alpina, come quelli di Talmessi, Khoschumi, Kale-Kafi e Arusan.[34]

Programma di esplorazione

A metà degli anni 1970, in Iran fu avviato un programma di esplorazione che durò circa due decenni, con le attività di prospezione che furono condotte con intensità variabile e che, così come il programma nucleare, furono sospese in occasione della Rivoluzione, per essere poi riprese negli anni 1990.

I rilievi sul campo e l'esplorazione geofisica hanno inizialmente interessato circa un terzo del territorio iraniano, per un totale di circa 650000 km², e, sono stati poi condotti più nel dettaglio in quelle aree che sembravano più promettenti. Il totale dell'uranio stimato nel 2002 nei giacimenti di Saghand 1 e 2 è stato dunque di 1 367 tonnellate, mentre la stime per quelli di Bandar Abbas e Talmessi sono di circa 200 tonnellate.[34]

Miniera di Saghand

La più grande miniera di uranio del Paese è certamente quella di Saghand, situata circa 185 km a nord-est di Yazd. L'esplorazione preliminare del sito fu completata nel 1990 e la realizzazione del giacimento, poi suddiviso in due parti chiamate Saghand 1 e 2, fu studiata in dettaglio fino al 1997. In un rapporto del simposio della World Nuclear Association del 2003, si afferma che le riserve accertate sono di circa 1,58 milioni di tonnellate di minerale con un contenuto di uranio di 533 ppm, il che corrisponderebbe a 842 tonnellate di uranio,[35] ossia quasi 500 tonnellate in meno del rapporto del 2002.[34]

Nel novembre 2004, l'AIEA determinò che le strutture e le infrastrutture di superficie erano praticamente complete e che l'inizio dell'estrazione del minerale era prevista per la fine del 2006, con una produzione annuale prevista di circa 50 tonnellate di yellowcake, quest'ultimo realizzato dall'impianto di Ardakan, dove viene inviato il materiale estratto da Saghand.[36]

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Sviluppo della controversia sul programma iraniano negli anni 2000

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2002 - 2004

Nel 2002 le dichiarazioni dei dissidenti iraniani, come il gruppo Mujahadeen-e-Khalq,[4] e la ricognizione militare tramite fotografie satellitari, portarono alla scoperta del fatto che la Repubblica islamica dell'Iran possedeva impianti nucleari nascosti all'AIEA, tra cui quelli di Natanz e Arak.[37]

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L'accordo di Teheran del 21 ottobre 2003, da destra a sinistra: Joschka Fischer, Hassan Rouhani, Dominique de Villepin e Jack Straw

Nell'ottobre 2003, l'Iran e i ministri degli esteri di Gran Bretagna, Francia e Germania (l'"UE-3") firmarono l'accordo di Teheran con cui l'Iran si impegnò a sospendere temporaneamente tutte le attività di arricchimento e riprocessamento dell'uranio, a consentire ispezioni più invasive firmando il Protocollo aggiuntivo e a chiarire le precedenti mosse in ambito nucleare. Meno di due mesi dopo, 18 dicembre 2003, tramite il proprio negoziatore Ali Akbar Salehi, l'Iran firmò il Protocollo aggiuntivo al Trattato di non proliferazione nucleare, adottato dall'AIEA nel 1997 e che integra il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari del 1968 consentendo, ad esempio, ispezioni senza preavviso, ritenute necessarie sulla base dell'esperienza con i piani di armi nucleari dell'Iraq dopo la Guerra del Golfo.[5] Tuttavia, al 2025 il governo di Teheran non ha mai ratificato tale protocollo, applicandone solo provvisoriamente alcune disposizioni dal 2003 al 2006, permettendo all'AIEA ispezioni più intrusive e sospendendo persino l'arricchimento dell'uranio.

Nel marzo 2004, l'AIEA chiese a Teheran di rivelare tutti i piani e le informazioni relative al suo programma nucleare entro giugno. Tuttavia, l'Iran non ottemperò a tale richiesta.

Nel 2007, emersero rapporti secondo cui la leadership iraniana aveva già tentato di venire incontro a Washington nel 2003 con una roadmap completa. Tramite l'ambasciatore svizzero, Tim Guldimann, infatti, gli iraniani avevano inviato a Washington un elenco di punti - il cosiddetto memorandum svizzero - attraverso i quali avrebbero voluto raggiungere un compromesso: oltre a un'ampia cooperazione nella guerra al terrorismo, Teheran aveva promesso "piena trasparenza" sulla questione dello sviluppo di armi di distruzione di massa e "piena cooperazione" con l'AIEA. Secondo Michael Rubin, tuttavia, Guldimann potrebbe aver redatto il memorandum senza coinvolgere la leadership iraniana.[38]

2005

Cambio di direzione

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Mahmoud Ahmadinejad nel settembre 2007

Con l'elezione di Mahmoud Ahmadinejad a Presidente della Repubblica Islamica dell'Iran il 3 agosto 2005, la controversia sul programma nucleare iraniano si intensificò. Il precedente capo negoziatore, Hassan Rouhani, un riformista moderato, fu rimosso dal suo incarico il 18 agosto 2005 e sostituito da Ali Larijani, un oppositore delle riforme. Nello stesso tempo, in agosto, la Guida Suprema, Ali Khamenei, emise una fatwā che proibiva la produzione e l'uso di armi nucleari e la notificò all'AIEA.[39] A metà dicembre 2005, il Presidente Ahmadinejad approvò una legge che consentiva al Paese di sospendere il controllo internazionale dei suoi impianti nucleari in qualsiasi momento, venendo incontro ai sostenitori della linea dura presenti nella leadership di Teheran, che chiedevano da tempo la completa cessazione del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP).

Il governo Ahmadinejad ha definito la posizione del TNP "ipocrita" e "doppiopesista", sottolineando, da un lato, l'obiettivo originale del trattato di promuovere il disarmo nucleare globale e, dall'altro, il comportamento delle tre potenze nucleari de facto Israele, India e Pakistan, che non hanno firmato il TNP e che hanno invece realizzato armi nucleari in progetti segreti (Israele nel 1968, l'India nel 1974 e il Pakistan nel 1990).[40]

Mentre l'Iran ha continuato a negare con veemenza che il suo obiettivo sia quello sviluppare armi nucleari, sostenendo che il suo programma nucleare serva invece a diversificare il proprio approvvigionamento energetico, soprattutto considerando il raddoppio della popolazione iraniana nei precedenti 20 anni e le preoccupazioni globali sull'esaurimento delle riserve petrolifere, affermando anche quanto l'aumento dei prezzi del petrolio abbia reso più economicamente interessante avere più petrolio disponibile per l'esportazione e generare elettricità internamente utilizzando l'energia nucleare, diversi paesi della comunità internazionale, e in particolare gli Stati Uniti d'America, hanno ribadito il loro convincimento del fatto che l'Iran non abbia bisogno di un programma nucleare, possedendo riserve di petrolio e gas naturale così vaste che il loro sfruttamento risulterebbe più economico rispetto agli sforzi per generare energia nucleare. L'Iran, da parte sua, ha accusato gli Stati Uniti di voler semplicemente mantenere quello che considera il monopolio nucleare illegale di Israele in Medio Oriente, e proprio alcune dichiarazioni di Ahmadinejad, che ha ripetutamente e pubblicamente minacciato di distruggere il "regime sionista", descrivendo lo Stato israeliano come un "regime ingiusto" e uno "Stato occupante" e negando l'Olocausto,[41] sono altre delle principali ragioni addotte dalla comunità internazionale contro un programma nucleare iraniano.

Nel gennaio e nel novembre 2005, l'Iran ha comunque concesso all'AIEA l'accesso al complesso militare di Parchin, consentendole di ispezionare tutti gli edifici selezionati dall'agenzia durante i negoziati preliminari, e i campionamenti non hanno rivelato alcuna prova di materiale nucleare, attrezzature a duplice uso o attività insolite.[42][43]

Proposte di compromesso e sforzi di trasparenza

Diverse proposte di compromesso dell'UE e della Russia prevedevano la fornitura all'Iran di tecnologia nucleare non militare, compresi i reattori ad acqua leggera, a patto che l'Iran consegnasse ad altri paesi oppure liquidasse i componenti del ciclo nucleare che potevano essere utilizzati anche per scopi militari. Tuttavia tali proposte, che peraltro erano prive di tempistica e non tenevano conto dei costi sostenuti dall'Iran, furono tutte respinte da Teheran tra l'autunno del 2005 e l'inizio del 2006, con una forte irritazione del gruppo Eu 3 (Germania, Francia e Regno Unito).[44] Tuttavia, il 16 gennaio 2006, ossia il giorno dopo che il ministro degli Esteri iraniano Manouchehr Mottaki aveva accusato i paesi dell'UE di "reazione eccessiva", sollecitandone comunque il ritorno al tavolo dei negoziati, l'ambasciatore iraniano a Mosca, Gholam-Reza Ansari, accolse esplicitamente le proposte del presidente russo Vladimir Putin di arricchire l'uranio in Russia, un'iniziativa che avrebbe potuto, a suo dire, dissipare le preoccupazioni internazionali sulle ambizioni nucleari di Teheran, dichiarando che si trattava di "una buona iniziativa" e che Teheran la stava "esaminando attentamente".[45][46]

2006

EU-3: "Punto morto"

Nel gennaio 2006, la controversia raggiunse un momentaneo culmine quando gli impianti di arricchimento dell'uranio dell'Iran, che erano stati sigillati dall'AIEA, furono riavviati, e il Paese minacciò di interrompere tutti i negoziati se fosse stato convocato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La "Troika UE", composta dai ministri degli Esteri di Regno Unito, Francia e Germania, incaricata di mediare la controversia, considerò i negoziati con Teheran giunti a un punto morto.[44][47] La Francia, ad esempio, respinse qualunque proposta di ripresa dei negoziati con l'Iran finché il Paese non avesse sospeso completamente il suo controverso programma nucleare, con il Capo di Stato Maggiore francese Henri Bentégeat che definì "un vero incubo" l'idea che il regime di Teheran potesse acquisire armi nucleari pur definendo come una follia l'idea di un intervento militare come un grave errore: "Dalla prospettiva odierna, sarebbe completamente folle", ha dichiarato Bentégeat in un'intervista radiofonica. Ha messo in guardia contro un "dramma orribile" in Medio Oriente in un simile scenario, ma allo stesso tempo ha definito l'idea che il regime di Teheran possa acquisire armi nucleari un "vero incubo", e con l'allora presidente Jacques Chirac - poi aspramente criticato dalla Germania - che, pur senza rivolgersi direttamente all'Iran, il 19 gennaio 2006, durante una visita alla base navale di Ile Longue, annunciò ritorsioni "non convenzionali" contro i "leader" di quegli Stati che avrebbero attaccato la Francia con metodi terroristici alludendo esplicitamente alla tentazione di alcuni Stati di dotarsi di armi nucleari in violazione dei trattati.[48]

La risoluzione dell'AIEA del 4 febbraio 2006 e i negoziati successivi

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Riunione straordinaria del Consiglio dei governatori dell'AIEA a Vienna (2 febbraio 2006)
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Javad Waidi davanti alla stampa a Vienna (4 febbraio 2006)

Il 4 febbraio 2006, il Consiglio dei Governatori dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica riunitosi a Vienna decise con 27 voti su 35 (i voti contrari furono di Cuba, Venezuela e Siria, mentre gli astenuti furono Algeria, Bielorussia, Indonesia, Libia e Sudafrica) di deferire la controversia all'organismo delle Nazioni Unite, aprendo la strada alle sanzioni internazionali.

Oltre a questo, l'agenzia adottò una risoluzione nella quale esortava l'Iran ad adottare “misure volte a rafforzare la fiducia”, considerando necessario che il Paese adottasse misure che garantissero la sospensione completa e prolungata di tutte le attività nel campo dell'arricchimento e del riprocessamento dell'uranio, compresa la ricerca e lo sviluppo in questo campo, consentendo all'agenzia di monitorare l'ottemperamento di tali richieste. Inoltre, la risoluzione incaricava il Direttore generale dell'AIEA di riferire sull'attuazione di questa e delle precedenti risoluzioni all'inizio di marzo e di inoltrare il suo rapporto – insieme a tutte le risoluzioni adottate nella riunione del 6 marzo 2006 – al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.[42]

Circa tale risoluzione, prima ancora del suo voto, Javad Vaeedi sottolineò che l'Iran non la avrebbe riconosciuta come espressione della volontà della comunità internazionale, poiché il voto positivo di pochi stati non poteva essere considerato rappresentativo dell'intera comunità, nella quale più di 100 paesi sostenevano, a suo dire, il programma nucleare iraniano.[49] Il 6 febbraio successivo, invece, attraverso la Islamic Republic News Agency il presidente Ahmadinejad affermò che "Si possono approvare tante risoluzioni di questo tipo e continuare a sognare, ma non si può fermare il progresso in Iran".[50]

In completa rottura con l'AIEA, il 13 febbraio l'Iran, annunciò immediatamente che avrebbe ripreso l'arricchimento dell'uranio, sospeso nell'ottobre 2003, su scala industriale e avrebbe posto fine alla sua cooperazione volontaria con l'agenzia, senza attendere la riunione del Consiglio dei governatori dell'AIEA prevista per il 6 marzo. Due giorni dopo, le autorità iraniane hanno notificato ufficialmente all'ambasciata russa a Teheran la loro intenzione di inviare una delegazione a Mosca il 20 febbraio per negoziare, tra l'altro, la costituzione di una joint venture per l'arricchimento dell'uranio, che comunque, aveva dichiarato Gholam-Hussein Elham, portavoce del governo iraniano, poteva essere vista solo come complementare all'arricchimento dell'uranio in Iran.[51]

Il 20 febbraio 2006 la delegazione iraniana andò effettivamente nella capitale russa,[45], tuttavia i colloqui si conclusero senza un accordo concreto poiché l'Iran non accettò di rinunciare totalmente all'arricchimento sul proprio territorio. Da quel momento la proposta russa perse gradualmente peso, mentre al Consiglio di Sicurezza dell'ONU iniziava la discussione che avrebbe portato alle prime sanzioni del dicembre 2006 con la Risoluzione 1737.[6]

Sabotaggio

Secondo un articolo del New York Times del 20 agosto 2008, all'inizio del 2006 la CIA, con l'aiuto di tre ingegneri svizzeri coinvolti nei traffici clandestini messi in piedi da Abdul Qadeer Khan, lo scienziato pakistano considerato il “padre della bomba atomica del Pakistan”, avrebbe deliberatamente sabotato il programma nucleare iraniano causando l'esplosione di 50 centrifughe presenti nell'impianto di arricchimento di Natanz attraverso la manomissione di un'unità di alimentazione.[52]

2007

Nel gennaio 2007, dopo che l'ONU adottò la Risoluzione 1737, che, tra le altre cose, vietava la fornitura all'Iran di missili balistici e di materiali, tecnologie e know-how che potessero contribuire ad arricchimento, chiedendo al Paese di cooperare pienamente con l'AIEA, il governo di Teheran dichiarò di considerare "illegale" tale risoluzione, annunciando che avrebbe continuato le proprie attività di arricchimento accelerando l'installazione di centrifughe nell'impianto di Natanz. Dal canto loro, i ministri degli Esteri dei cinque paesi aventi diritto di veto all'ONU, si incontrarono a Berlino il 30 gennaio successivo e ribadirono che l'Iran doveva rispettare la 1737, pur affermando che avrebbero atteso il rapporto AIEA del 22 febbraio 2007 prima di decidere nuove misure.[53]

Poiché nel sopraccitato rapporto l'AIEA certificò che l'Iran non aveva sospeso l'arricchimento, come richiesto dalla risoluzione 1737, e anzi aveva installato nuove centrifughe e limitato la cooperazione con gli ispettori, il 24 marzo 2007 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU adottò la Risoluzione 1747, che rafforzava le sanzioni:[54] embargo sulle armi, ulteriori congelamenti di beni a individui ed enti collegati al programma nucleare e missilistico, e restrizioni finanziarie più ampie.

Dopo tale nuova risoluzione, il 21 agosto 2007, l'AIEA e l'Iran firmarono un documento volto a risolvere in modo graduale e con scadenze precise tutte le questioni in sospeso sul programma nucleare iraniano e in particolare sull'origine di alcuni componenti, sull'arricchimento dell'uranio nell'impianto di Natanz, sulla produzione di uranio metallico e sul programma delle centrifughe P-1 e P-2, che il Paese aveva acquisito clandestinamente dal traffico nucleare internazionale organizzato dal già citato Abdul Qadeer Khan. Nell'accordo, l'Iran si impegnò a fornire chiarimenti e documentazione entro tempi concordati, mentre l'AIEA dichiarò che avrebbe considerato chiusi i dossier una volta ricevute risposte ritenute soddisfacenti.[55]

2008

Durante una visita del direttore generale dell'AIEA a Teheran il 13 gennaio 2008, l'Iran promise di risolvere tutte le questioni in sospeso riguardanti il suo programma nucleare entro le successive quattro settimane.

Tuttavia, nel suo rapporto del febbraio 2008 sull'andamento del piano di lavoro contenuto nell'accordo dell'agosto 2007, accordo che fu accolto come un passo positivo da alcuni Paesi, in particolare Russia e Cina, mentre altri come Stati Uniti, Regno Unito e Francia rimasero molto scettici, temendo che servisse solo a prendere tempo e che non affrontasse il nodo centrale, cioè la sospensione dell'arricchimento dell'uranio, l'agenzia dichiarò sì di avere ricevuto risposte credibili o comunque sufficienti da Teheran sulle centrifughe P-1 e P-2, ma che rimanevano alcuni punti ancora irrisolti, sollevando anche nuovi dubbi sulle PMD (possible military dimensions) del programma iraniano, e in particolare su alcuni documenti e studi sospetti relativi a esplosivi ad alto potenziale e sistemi di rientro missilistici. Inoltre, l'Iran non aveva sospeso l'arricchimento dell'uranio.[56]

Per tutta risposta, il 3 marzo 2008 Consiglio di Sicurezza dell'ONU approvò la Risoluzione 1803, nuove restrizioni su viaggi e beni di individui/aziende legate al programma nucleare e missilistico, e ulteriori congelamenti finanziari, ma l'Iran rispose nuovamente che il programma di arricchimento dell'uranio non si sarebbe fermato.[57]

Alla reazione dell'Iran, la comunità internazionale decise di proseguire con gli sforzi diplomatici, così, il 14 giugno 2008, l'Alto Rappresentante dell'Unione Europea per gli Affari Esteri, Javier Solana, presentò al governo di Teheran un nuovo "pacchetto di proposte", volto a incoraggiarlo a sospendere l'arricchimento dell'uranio, di fatto aggiornando l'offerta del 2006. In esso, il gruppo negoziale a sei (Cina, Germania, Francia, Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti) prometteva all'Iran assistenza tecnica e finanziaria per lo sviluppo dell'energia nucleare civile, compresi reattori nucleari e forniture di combustibile nucleare ma, in cambio, lo Stato mediorientale avrebbe dovuto sospendere le attività di arricchimento.[58] Meno di due settimane dopo, il presidente del parlamento iraniano ed ex capo negoziatore sul nucleare, Ali Larijani definì le recenti proposte del cosiddetto Gruppo dei Sei per risolvere l'attuale controversia nucleare "promesse vuote", definendole un tentativo di impedire alla nazione iraniana di esercitare il suo diritto all'energia nucleare civile.

In un nuovo round di negoziati svoltosi il 19 luglio 2008 a Ginevra, per la prima volta dal 1979 gli Stati Uniti d'America, rappresentati da un alto funzionario del Dipartimento di Stato, William Burns, si sedettero a un tavolo di trattative con l'Iran, in quello che fu visto come un punto di svolta nella politica statunitense nei confronti di Teheran.[59]

Il 15 settembre 2008, in un nuovo rapporto l'AIEA accusò l'Iran di mancanza di cooperazione nella controversia nucleare, affermando che il Paese stesse ulteriormente espandendo l'arricchimento dell'uranio, sebbene fosse ancora lontano dal produrre abbastanza materiale fissile per costruire una bomba nucleare. Nello specifico, si disse che l'Iran aveva fino ad allora accumulato 480 chilogrammi di uranio a basso arricchimento, mentre per costruire una bomba nucleare, ne sarebbero stati necessari 1 700 chilogrammi, che sarebbero poi dovuti essere altamente arricchiti.[60] Al rapporto seguì una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, la 1835 del 27 settembre 2008, la quale non introdusse nuove sanzioni ma ebbe piuttosto un valore politico, come segnale di unità tra i membri permanenti del Consiglio.[61]

Nell'ottobre 2008, Solana ammise che i negoziati si erano arenati e che non c'erano stati progressi concreti, mentre in un rapporto del 19 novembre 2008, l'AIEA stimò che l'Iran fosse arrivato ad accumulare circa 630 kg di uranio a basso arricchimento, ribadendo di non avere prove di dirottamento del materiale ma affermando anche che, senza maggiore trasparenza, non poteva garantire che il programma fosse esclusivamente pacifico.[62]

A fine anno, l'attenzione internazionale iniziò a spostarsi sull'elezione di Barack Obama, il quale avrebbe assunto la presidenza statunitense a gennaio 2009 con l'idea di un approccio più diplomatico al programma iraniano rispetto a quello, più orientato alla linea dura, della precedente amministrazione Bush.

2009

Apertura della prima fabbrica di barre di combustibile

Ad aprile 2009, due mesi dopo un rapporto dell'AIEA in cui si affermava che l'Iran aveva a disposizione a Natanz circa 1010 kg di uranio a basso arricchimento, il presidente Mahmoud Ahmadinejad annunciò l'apertura a Esfahan di una fabbrica di uranio avente lo scopo di fornire barre di combustibile al reattore di ricerca da 40 megawatt di Arak, affermando quindi che il programma nucleare iraniano avesse raggiunto la fase finale.

Negoziati diplomatici

Per tutta l'estate 2009, segnata anche dalla contestata rielezione di Ahmadinejad il 12 giugno, ci furono avvicinamenti e allontanamenti tra l'Iran e la comunità internazionale per risolvere il nodo sull'arricchimento dell'uranio nonché tutte le altre materie, come le PMD, rimaste in sospeso. Così, ad esempio, al G8 del 2009 tenutosi a L'Aquila, i leader lì riuniti concessero all'Iran tempo fino a settembre per accettare un negoziato sul suo programma nucleare, pena il fatto di dover affrontare sanzioni ancora più severe,[63] mentre in agosto l'Iran comunicò di essere pronto a riprendere i negoziati ma "su nuove basi" e non accettando la sospensione dell'arricchimento come condizione preliminare, il che fece sì che gli USA che l'UE accogliessero con cautela l'annuncio, vedendolo come un tentativo di guadagnare tempo.[64]

L'esistenza dell'impianto di Fordow

Il 21 settembre 2009, l'Iran notificò ufficialmente all'AIEA l'esistenza del nuovo impianto di arricchimento presso Fordow - un impianto sotterraneo scavato nella roccia, progettato per ospitare circa 3 000 centrifughe IR-1 -,[7] sostenendo che fosse ancora in costruzione e non operativo. Quattro giorni dopo, durante il G20 di Pittsburgh, Obama, Sarkozy e Brown tennero una conferenza stampa congiunta in cui accusarono l'Iran di avere costruito un sito nucleare segreto, rivelandolo solo dopo che le intelligence occidentali ne avevano già scoperto l'esistenza, e portarono questa come prova del fatto che il Paese non fosse trasparente e stesse invece perseguendo attività nucleari sensibili di nascosto.[65]

Dal canto suo, l'Iran replicò alle accuse affermando che il sito era pienamente legittimo, che non era ancora operativo e che la notifica all'AIEA era stata fatta "nei tempi giusti", dato che la legge interna richiedeva la notifica all'agenzia solo sei mesi prima dell'introduzione di materiale nucleare.[7]

Le concessioni dell'Iran e l'ispezione di Fordow

Fu nel clima teso successivo alla rivelazione dell'esistenza dell'impianto di Fordow che il 1° ottobre 2009 si tennero a Ginevra i colloqui tra le cinque potenze di veto delle Nazioni Unite più la Germania - il cosiddetto gruppo P5+1 - e l'Iran. Al termine dell'incontro, il negoziatore iraniano Said Jalili dichiarò l'accordo "in linea di principio" del suo Paese al trasferimento dell'arricchimento dell'uranio alla Russia, rimarcando comunque il diritto dell'Iran a condurre ricerche nucleari, e affermò che il suo Paese avrebbe rispettato i suoi obblighi ai sensi del Trattato di non proliferazione nucleare, volendo cooperare pienamente con l'AIEA, alla quale avrebbe aperto anche le porte dell'impianto di Fordow.[66]

Come da accordo, l'AIEA visitò l'impianto di Fordow il 26 e il 27 ottobre 2009 e, nel rapporto che pubblicò il 26 novembre 2009, confermò che l'impianto era ancora in costruzione e non conteneva materiale nucleare, rilevando tuttavia che la realizzazione dell'impianto era stata pianificata da anni e che la notifica all'agenzia avvenne molto oltre i tempi previsti dalle regole di salvaguardia.[26] A fine novembre, il Board of Governors dell'AIEA approvò poi la risoluzione GOV/2009/82, che censurava l'Iran proprio per la gestione opaca del sito di Fordow.[67]

Cessazione dei colloqui

Il 1° dicembre 2009, il presidente Mahmoud Ahmadinejad annunciò che non ci sarebbero stati ulteriori colloqui sul programma nucleare iraniano, dichiarando inoltre che l'Iran non avrebbe arricchito il suo uranio all'estero (l'idea degli incontri di Ginevra era che l'Iran trasferisse circa 1200 kg di uranio a basso arricchimento in Russia, dove sarebbe stato ulteriormente arricchito al 20% e poi inviato in Francia per la trasformazione in barre di combustibile per il reattore di ricerca di Teheran), poiché il Paese possedeva risorse proprie.[68]

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Sviluppo della controversia sul programma iraniano negli anni 2010

Riepilogo
Prospettiva

2010

L'arricchimento dell'uranio al 20%

Il 7 febbraio 2010, Ahmadinejad annunciò che l’Iran aveva iniziato ad arricchire uranio al 20% a Natanz, ufficialmente per produrre combustibile per il reattore di ricerca di Teheran.[69] Per tutta risposta, due giorni dopo, in una dichiarazione che arrivò a margine di un incontro alla Casa Bianca con il presidente francese Sarkozy e il primo ministro britannico Brown, Barack Obama dichiarò che gli Stati Uniti avrebbero spinto per nuove sanzioni internazionali più dure contro l'Iran, in coordinamento con i partner del Consiglio di Sicurezza dell'ONU,[70] e, meno di due mesi dopo, gli Stati Uniti iniziarono ad approvare sanzioni unilaterali su banche e società legate ai Pasdaran.[71]

Dopo che il 18 febbraio l'AIEA ebbe confermato le affermazioni del presidente iraniano,[72] il Dipartimento di Stato USA dichiarò che l’arricchimento al 20% era una "chiara sfida" alle risoluzioni ONU (1737, 1747, 1803, 1835) che chiedevano la sospensione di tutte le attività di arricchimento, rilanciando, assieme a Parigi, Londra e Berlino, l'urgenza di nuove sanzioni ONU. Dal canto loro, Russia e Cina espressero "preoccupazione" ma non si schierarono subito per sanzioni drastiche, mantenendo la linea di favorire ancora il dialogo; tuttavia, dopo settimane di pressioni statunitensi ed europee, anche Mosca e Pechino finirono per non bloccare il processo che porterà alla Risoluzione ONU 1929 del 9 giugno 2010.

In quella risoluzione, considerata la più dura mai adottata fino a quel momento contro l'Iran, l'ONU introdusse, tra le altre cose, l'embargo per Teheran su carri armati, artiglieria pesante, aerei da combattimento, missili e sistemi missilistici, nonché il divieto di attività in paesi terzi da parte di banche iraniane, se sospette di legami con il programma nucleare, e il congelamento di beni e restrizioni sui viaggi per individui e aziende collegate ai Guardiani della Rivoluzione.[73]

Alla risoluzione, alla quale peraltro li 26 luglio seguirono sanzioni unilaterali ancora più severe imposte da Stati Uniti d'America ed Europa e che prevedevano, tra le altre cose, embargo progressivo su petrolio e gas e il blocco delle transazioni finanziarie con banche iraniane,[74] Ahmadinejad rispose definendo il tutto "carta straccia" e annunciando l'intenzione di installare nuove centrifughe e proseguire senza freni l'arricchimento dell'uranio.

L'attacco informatico dell'estate 2010

Nel giugno del 2010, Sergey Ulasen, un impiegato della società di sicurezza bielorussa VirusBlokAda, fu chiamato da un loro cliente iraniano perché un tecnico aveva osservato un riavvio inaspettato di una macchina dopo un BSOD: dopo un'analisi, il tecnico bielorusso rilevò che tali anomalie si ripresentavano su più macchine e osservò comportamenti diversi tra i PC industriali. A seguito di diversi test, Ulasen scoprì l'esistenza di tentativo di infezione dei sistemi da parte di un virus informatico poi ribattezzato Stuxnet, che infettava le macchine tramite vulnerabilità non ancora note del sistema operativo Windows e che, una volta penetrato, cercava i software Siemens Step7 collegati ai controllori logici programmabili.[75]

Non esiste un riconoscimento ufficiale, ma numerose inchieste giornalistiche e analisi di intelligence attribuiscono Stuxnet a una operazione congiunta USA-Israele avente nome in codice "Operation Olympic Games", che, tra il 2009 e il 2010 avrebbe distrutto o rese inutilizzabili circa 1 000 centrifughe IR-1 installate a Natanz, grazie alla possibilità del virus di alterarne la velocità, facendole girare troppo velocemente o troppo lentamente, e quindi danneggiandole, mostrando nel frattempo agli operatori dei dati falsi, così che i guasti sembrassero casuali.[8]

Altro fallimento dei colloqui

Dopo che, nei suoi rapporti del 6 settembre e del 23 novembre 2010, l'AIEA comunicò che l'Iran era arrivato ad accumulare circa 3100 kg di uranio a basso arricchimento e circa 30 kg di uranio arricchito al 20%,[76] il 6 e il 7 dicembre, a Ginevra, dopo oltre un anno di stallo si tenne una nuova serie di colloqui diplomatici tra l'Iran, rappresentato da Saeed Jalili, Segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale, e il gruppo P5+1. Anche questi colloqui, tuttavia, si rivelarono infruttuosi, con Teheran che si rifiutò di discutere della sospensione dell'arricchimento accettò solo la possibilità di nuovi colloqui a Istanbul a gennaio 2011.[77]

2011

La produzione di barre di combustibile

L'8 gennaio 2011, il responsabile del programma nucleare iraniano, Ali Akbar Salehi, dichiarò all'agenzia di stampa Fars che l'Iran era ora in grado di produrre autonomamente barre di combustibile, affermando che un'unità di produzione delle stesse era stata istituita presso un impianto vicino a Esfahan,[78] lanciando alla comunità internazionale il chiaro messaggio che il Paese non aveva più bisogno del fuel swap (l'arricchimento al 20% dell'uranio effettuato in paesi esteri) proposto dal P5+1 e dall'AIEA negli anni precedenti.

I colloqui di Istanbul del 2011

I colloqui di Instanbul del 20-21 gennaio 2011 si aprirono quindi all'indomani della produzione iraniana della prima barra di combustibile e, come era stato peraltro previsto dai maggiori esperti del settore, anche in quel caso il tutto si concluse senza soluzioni concrete poiché l'Iran continuò a pretendere il riconoscimento del "diritto all'arricchimento" e la revoca preventiva delle sanzioni, mentre i P5+1 continuarono a chiedere la sospensione dell'arricchimento come precondizione per qualunque concessione.[79]

Avanzamenti nel programma

Nel giugno del 2011, l'Iran annunciò il completamento della costruzione del sito sotterraneo di Fordow, comunicando che vi stava trasferendo le attività di arricchimento dal sito di Natanz con l'obbiettivo di triplicare la capacità di produrre uranio arricchito al 20%. Ciò fu anche confermato dal rapporto dell'AIEA del 2 settembre 2011, nel quale l'agenzia affermò che il Paese aveva installato le prime centrifughe nell'impianto e iniziato attività preparatorie per l'arricchimento, dichiarando anche che le riserve di uranio a basso arricchimento del Paese erano arrivate a circa 4500 kg,[80] mentre circa un mese più tardi, alcuni funzionari iraniani dichiararono che Fordow sarebbe entrato presto in funzione, anche se a capacità ridotta rispetto al progetto iniziale (circa 700 centrifughe IR-1 attive su 3 000 previste).

Il 4 settembre, poi, dopo quasi 40 anni dall'inizio dei negoziati del progetto, interrotto a più riprese, la centrale nucleare di Bushehr fu collegata per la prima volta alla rete elettrica, con una potenza iniziale di circa 60 MW, e il 12 settembre fu confermata la produzione dei primi kWh, segnando l'ingresso dell'Iran tra i produttori di elettricità da fonte nucleare.[81]

Nuove sanzioni

L'8 novembre 2011, l'AIEA descrisse per la prima volta in modo dettagliato quali fossero le possible military dimensions (PMD), citando il fatto che l'Iran avrebbe condotto studi non solo su esplosivi ad alto potenziale, come era già stato suggerito in passato, ma anche su detonatori multipoint, calcoli di geometria nucleare - ossia sulla configurazione fisica del materiale fissile all'interno di un ipotetico ordigno - e possibili progetti di miniaturizzazione per missili. Di fatto, pur non affermando che il Paese avesse deciso di costruire una bomba nucleare, l'AIEA parlò di seri indicatori di attività rilevanti per un programma militare.[82]

Il gruppo dei P5+1 reagì al rapporto in maniera non uniforme con Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania che iniziarono a spingere per nuove sanzioni multilaterali e unilaterali,[83] mentre Russia e Cina, ritenendo che il rapporto non aggiungesse nulla di sostanzialmente nuovo, ribadirono l'appello al dialogo e non alle sanzioni, mettendo in guardia contro "isterie" e pretesti per interventi militari.[84] L'Iran rispose anche a questo rapporto definendolo politicizzato e affermando che non avrebbe interrotto il suo programma nucleare, il quale, ribadì, aveva solo scopi pacifici.[85]

Le sanzioni paventate da USA e UE, a cui si aggiunse anche il Canada, non si fecero attendere, così, nonostante il forte disappunto della Russia,[86] il 21 novembre, Obama annunciò nuove misure contro la Banca Centrale iraniana e i settori petrolifero e petrolchimico,[87] Londra interruppe tutti i rapporti con le banche iraniane, compresa la Banca Centrale, e Ottawa impose sanzioni aggiuntive, vietando nuove esportazioni verso il settore petrolifero e finanziario iraniano,[88] mentre, dieci giorni dopo, il Consiglio UE adottò nuove misure restrittive, colpendo circa 200 persone e imprese e preparando l'embargo petrolifero che sarebbe entrato in vigore nel 2012.[89] Per tutta risposta, a fine anno l'Iran minacciò di chiudere lo stretto di Hormuz se le sanzioni fossero entrate veramente in vigore.[90]

2012

Operatività di Fordow e nuove sanzioni

Il 2012 si aprì con l'annuncio da parte del capo dell'Organizzazione per l'Energia Atomica dell'Iran, Fereydoun Abbasi-Davani, che l'arricchimento al 20% dell'uranio era ufficialmente iniziato nell'impianto sotterraneo di Fordow;[28][91] dichiarazione che fu confermato dall'AIEA nel suo rapporto del 24 febbraio,[92] in cui l'agenzia dettagliava anche le quantità prodotte e la loro destinazione.

Come per i casi precedenti, il rapporto, che rafforzò i sospetti sulle finalità militari del programma nucleare iraniano, suscitò reazioni diverse tra i membri del gruppo P5+1, ormai chiaramente spaccato in due fazioni, una, formata da Russia e Cina, che invitava alla cautela, opponendosi a nuove sanzioni ONU e sostenendo la via diplomatica, pur chiedendo all'Iran di collaborare fattivamente con l'AIEA. e l'altra che invocava nuove sanzioni - in aggiunta peraltro a quelle emanate il 23 gennaio precedente. Circa un mese prima del rapporto dell'AIEA, infatti, l'UE introdusse un nuovo pacchetto di sanzioni contro il Paese mediorientale che rafforzava e ampliava le sanzioni già in vigore e che, tra le altre cose, impose il divieto immediato di nuovi contratti per importare, acquistare o trasportare petrolio greggio iraniano e prodotti petrolchimici nell'UE, vietò il commercio di oro e metalli preziosi con enti pubblici iraniani, e congelò dei beni della Banca Centrale dell'Iran.[93]

Visite dell'AIEA

Il sopraccitato rapporto dell'AIEA scaturì dal viaggio che una delegazione dell'agenzia effettuò in Iran dal 29 al 31 gennaio 2012 con l'obiettivo era chiarire tutte le questioni significative in sospeso e visionare gli impianti nucleari, compreso quello sotterraneo di Fordow, come era peraltro stato garantito dal ministro degli Esteri iraniano Ali Akbar Salehi.[94] La visita in realtà non ebbe risultati tangibili - sebbene la stessa agenzia dichiarò che l'Iran era stato cooperativo nell'organizzazione - e alla delegazione fu vietato l'accesso sia al sito di Fordow (la cui attività era comunque monitorata dall'AIEA attraverso telecamere sigillate) sia al sito militare di Parchin, a cui però, non essendo parte del programma nucleare iraniano, l'Iran non era obbligato a concedere l'accesso. Meno di un mese dopo, il 20-21 febbraio 2012, l'AIEA tornò a Teheran con una seconda missione, chiedendo accesso immediato a Parchin, dove l'intelligence segnalava esperimenti su esplosivi ad alto potenziale per ordigni nucleari, ma l'esito fu lo stesso di fine gennaio[95] e questa volta l'agenzia dichiarò fermamente la propria delusione per la mancanza di risultati dei due incontri.[96]

Le relazioni e gli incontri diplomatici

Il 14 aprile 2012, dopo più di un anno dai precedenti colloqui conclusi senza risultati nel gennaio 2011, l'Iran e il gruppo P5+1, composto dalle cinque potenze di veto delle Nazioni Unite e dalla Germania, si incontrarono nuovamente a Istanbul. In vista dei colloqui, l'Occidente espresse preventivamente le proprie richieste a Teheran, tra cui figuravano l'immediata chiusura dell'impianto nucleare di Fordow, l'interruzione dell'arricchimento dell'uranio al 20%, e la rimozione dei circa 100 kg di scorte di questo materiale dal territorio iraniano. Infine, l'Iran avrebbe dovuto dimostrare all'inizio del nuovo round di negoziati che avrebbe discusso il suo programma nucleare senza precondizioni. Dal canto suo, lo Stato mediorientale dichiarò di voler rispettare la fatwā della Guida Suprema riguardante il divieto religioso di produzione, proliferazione e utilizzo di armi di distruzione di massa, di voler proporre un piano graduale di allentamento delle sanzioni che avrebbe portato a maggiori concessioni da parte dell'Iran e viceversa, e di voler ribadire il proprio diritto inalienabile all'arricchimento dell'uranio sulla base del Trattato di non proliferazione nucleare.

Dopo questo primo round di colloqui, la cui atmosfera fu descritta come costruttiva, l'Alto Rappresentante dell'UE Catherine Ashton annunciò un approccio graduale per risolvere la controversia, con la prosecuzione dei colloqui che sarebbe avvenuta il 23 maggio 2012 a Baghdad.[97]

Il round di Baghdad avvenne dunque due giorni dopo una visita a Teheran del Segretario generale dell'AIEA Yukiya Amano per discutere nuovamente dell'ispezione della controversa struttura militare di Parchin che aveva lasciato sperare che un accordo fosse imminente. Anche in questo caso, l'Iran fece preventivamente sapere che non era disposto né a chiudere l'impianto di Fordow, dichiarato sicuro e sotto il controllo dell'AIEA, né a interrompere l'arricchimento dell'uranio, tuttavia, durante l'incontro Teheran tornò sui suoi passi, dichiarandosi disposta a trattare sull'arricchimento di fronte all'offerta del P5+1 di una fornitura di isotopi utilizzabili in ambito medico e di pezzi di ricambio urgentemente necessari per gli aerei iraniani, nonché di cooperazione in materia di sicurezza nucleare. Al termine degli incontri, la Ashton si dichiarò felice di questa apertura, pur rimandando la soluzione di altre questioni, su cui l'Iran e il gruppo P5+1 erano ancora decisamente distanti, all'appuntamento di Mosca del 15-16 giugno, dopo una riunione del consiglio dell'AIEA da tenersi il 6 giugno a Vienna.[98]

Neanche a Mosca fu possibile risolvere i punti chiave della contesa e anche quei colloqui si conclusero senza risultati concreti, e senza che fosse fissata una data per un altro round diplomatico.[99] Di fatto, i colloqui e gli incontri continuarono solo a livello tecnico tra funzionari AIEA e rappresentanti iraniani senza portare a risultati tangibili, perlomeno fino all'incontro tenutosi a Teheran il 13 dicembre 2012 che fu definito costruttivo e che lasciò sperare in un, sia l'accordo potesse essere concluso e attuato rapidamente nella successiva riunione del 16 gennaio 2013.

Nel frattempo, in un rapporto del 16 novembre 2012, l'AIEA aveva comunicato che, con l'ultima installazione di 644 centrifughe, il totale di questi impianti nel sito di Fordow era salito a 2 744, ossia il massimo possibile, sebbene non tutte fossero ancora operative, e che l'Iran aveva accumulato circa 7611 kg di uranio arricchito al 3,5%, di cui 5303 kg risultavano disponibili, mentre il resto era già stato impiegato come alimentazione per la produzione di uranio arricchito al 20%. Nello stesso rapporto, l'agenzia affermò inoltre che il Paese stava gradualmente accrescendo la sua capacità di "breakout" (ovvero di costruire un'arma nucleare se lo avesse voluto) ma che era ancora anni, non mesi, lontano da un potenziale arsenale nucleare completo.[100]

Sabotaggi informatici

Nel 2012 l'Iran subì una nuova ondata di sabotaggi informatici dopo Stuxnet. I malware coinvolti (Flame, un wiper e varianti di Stuxnet) non solo colpirono l'infrastruttura nucleare, ma anche ministeri e reti energetiche, combinando spionaggio - come nel caso di Flame, scoperto da Kaspersky Lab nel maggio 2012, che raccoglieva dati come documenti, registrazioni audio e screenshot, che potevano essere usati per futuri attacchi -[101], cancellazione dati - fu il caso di un wiper (rimasto senza nome poiché non ne furono mai ottenuti campioni pubblici), usato nell'aprile per formatta e rendere inutilizzabili diversi computer nei ministeri iraniani e presso l'AEOI -, e disturbo operativo - alcuni ingegneri riportarono episodi curiosi, come il sabotaggio delle sale di controllo di Natanz con musica ad alto volume riprodotta da remoto (in particolare il brano Thunderstruck degli AC/DC), attribuito a un attacco hacker a luglio 2012.[102]

Naturalmente, nessun Paese rivendicò ufficialmente la responsabilità, ma molte inchieste giornalistiche il tutto a un'operazione congiunta USA-Israele. Da parte sua, l'Iran rispose rafforzando le proprie capacità di cyber-guerra, creando gruppi specializzati nei Pasdaran e investendo massicciamente nella cyber-difesa.

2013

Il 2013 si aprì con la pubblicazione, il 14 gennaio, di un rapporto di 154 pagine redatto dall'Institute for Science and International Security sulla strategia di non proliferazione degli Stati Uniti per un Medio Oriente in cambiamento. In questo rapporto, i cinque esperti dell'istituto mettevano in guardia la comunità internazionale contro il programma nucleare avanzato dell'Iran, stimando che il Paese avrebbe potuto raggiungere la capacità critica entro la metà del 2014 e raccomandando che gli Stati Uniti e i suoi partner intensificassero le sanzioni esistenti - proponendo un embargo de facto su investimenti e scambi con l'Iran, salvo forniture umanitarie - prima che fosse troppo tardi.[103]

Le relazioni e gli incontri diplomatici e il JPOA

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Hassan Rouhani, eletto presidente dell'Iran il 14 giugno 2013

Fu sull'onda di questo rapporto che il 26 e 27 febbraio 2013 si tenne ad Almaty, in Kazakistan, una nuova sessione di negoziati diplomatici tra il gruppo P5+1 e l'Iran. Al termine del round, in cui le due parti ribadirono le stesse proposte di otto mesi prima seppur con qualche apertura giudicata dai rappresentanti iraniani "più vicina alle posizioni iraniane", entrambi le parti convennero sul "clima positivo" che aveva regnato e sul fatto che la "proposta equilibrata" apriva spazi di dialogo.[104]

Dopo un incontro a livello tecnico tenutosi a marzo ad Istanbul, il 5 e 6 aprile ci fu un nuovo incontro di vertice ad Almaty, nella cui dichiarazione conclusiva Catherine Ashton affermò che i dettagli dell'offerta presentata dal "5+1" a febbraio erano stati discussi in modo approfondito, ma che le posizioni delle due parti erano ancora molto distanti, elogiando comunque la qualità dei negoziati.[105]

Il 14 giugno, dopo una campagna elettorale in cui promise di migliorare le relazioni con l'Occidente e di porre fine all'isolamento internazionale, Hassan Rouhani fu eletto presidente del l'Iran al posto di Mahmoud Ahmadinejad, sotto il cui governo la posizione iraniana era stata molto conflittuale e farcita di retorica anti-occidentale, con una vittoria che fu da molti interpretata come un mandato popolare a cercare una via diplomatica per alleggerire le sanzioni. Di fatto, già il 26 settembre successivo, a margine di un'Assemblea Generale dell'ONU a cui era seguito un incontro ministeriale tra i P5+1 e l'Iran, ci fu una storica telefonata tra Obama e Rouhani, che segnò il primo contatto a livello apicale tra Iran e USA dal 1979 e che ebbe come argomento principale della conversazione la possibilità di raggiungere un accordo sul programma nucleare iraniano.[106][107]

Nel frattempo, il 3 settembre 2013, dopo anni di ritardi, il reattore ad acqua pressurizzata da 1000 MW della centrale di Bushehr era stato consegnato ufficialmente dall'impresa russa Rosatom all'Iran, e, venti giorni dopo, Ali Akbar Salehi annunciò che la centrale era entrata in funzione regolare e produceva energia a regime.[108]

Fu sull'onda di tale clima promettente che, il 15 e 16 ottobre, si tenne a Ginevra un'altra sessione di colloqui con la nuova delegazione iraniana guidata dal ministro degli Esteri Javad Zarif. Nell'incontro, Zarif presentò un piano in tre fasi in cui la fase iniziale comprendeva misure di trasparenza e limiti provvisori sull'arricchimento, quella intermedia prevedeva una riduzione graduale di alcune attività sensibili (es. scorte di uranio arricchito al 20%) e un'intensificazione dei monitoraggi, e quella finale il riconoscimento del diritto iraniano all'arricchimento a scopo civile e la completa revoca delle sanzioni. Circa la proposta, di cui non tutti i dettagli furono resi pubblici, il Gruppo P5+1 fu come sempre diviso in due fazioni, con Russia e Cina che accolsero con favore i progressi, sottolineando l'importanza di risolvere la crisi pacificamente, e gli altri membri che espressero un cauto ottimismo, pur riconoscendo il cambio di tono e il realismo della nuova proposta. Di fatto il meeting non portò a nessun accordo immediato, ma i colloqui furono considerati il più grande passo avanti dal 2009 e fu concordato un altro incontro a livello ministeriale per il 7-8 novembre, sempre nella sede ONU di Ginevra.[109]

Anche i successivi incontri di Ginevra, mirati a definire i termini di un accordo provvisorio di sei mesi, diedero risultato promettenti, tanto che inizialmente i media parlarono di un'intesa imminente. Tuttavia, con il prosieguo delle discussioni emersero divergenze su alcuni punti chiave, in particolare la Francia chiese garanzie più forti sul congelamento del reattore IR-40 del sito di Arak, che una volta operativo avrebbe potuto produrre plutonio, mentre Teheran voleva che nelle dichiarazioni conclusive fosse esplicitamente menzionato il riconoscimento del diritto iraniano all'arricchimento, cosa su cui USA e Francia si mostrarono più cauti. Di fatto, data la dichiarazione francese secondo cui l'accordo non era ancora sufficientemente solito, neanche in questo caso si arrivò a un'intesa immediata e si decise di aggiornare i colloqui al 20 novembre 2013, sempre a Ginevra, con l'obiettivo di chiudere i dettagli.[110][111]

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Il Segretario di Stato statunitense John Kerry stringe la mano al Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif dopo che il P5+1 e l'Iran hanno concluso i negoziati sulle capacità nucleari dell'Iran il 24 novembre 2013

Finalmente, la sessione del 20-24 novembre 2013 portò a un accordo tangibile, chiamato Joint Plan of Action (JPOA). Da parte dell'Iran, il piano d'aziende prevedeva lo stop all'arricchimento oltre il 5% e la neutralizzazione (diluizione <5% o conversione in ossido) dell'intera scorta di uranio arricchito al 20%, l'interruzione dell'avanzamento della capacità di arricchimento, con lo stop all'installazione di nuove centrifughe e all'uso di centrifughe di nuova generazione, il congelamento della messa in servizio dell'impianto di Arak, e la garanzia all'AIEA di accesso quotidiano agli impianti di Natanz e Fordow, nonché alle miniere e ai molini di uranio. Dall'altra parte, il gruppo P5+1 si impegnò, a patto che l'Iran rispettasse quanto stabilito, a non elevare nuove sanzioni nucleari per 6 mesi, ad effettuare una sospensione mirata di sanzioni su metalli preziosi, autoveicoli ed esportazioni petrolchimiche, ad aprire un canale umanitario dedicato e licenze per la sicurezza, e a garantire l'accesso scaglionato a 4,2 miliardi di dollari di proventi petroliferi bloccati.[112][113] Per supervisionare l'accordo, che secondo quanto stabilito sarebbe entrato in vigore il 20 gennaio 2014, nacque una Joint Commission P5+1–Iran, con ruolo di coordinamento politico, mentre l'AIEA fu incaricata di verificare sul campo, e proprio quest'ultima annunciò 19 dicembre 2013 che stava preparando le modalità tecniche di monitoraggio.

2014

Nel primo dei suoi rapporti mensili sull'attuazione del JPOA, datato 20 gennaio 2014, l'AIEA confermò che l'Iran aveva effettivamente interrotto l'arricchimento dell'uranio al 20% iniziando a diluire le scorte del materiale, aveva sospeso ogni sviluppo del sito di Arak e aveva bloccato l'installazione di nuove centrifughe, mentre i paesi del P5+1 congelarono nuove sanzioni e concessero un alleggerimento limitato;[114] mentre nel report successivo confermò che, come d'accordo il Paese non aveva attuato nessun arricchimento sopra il 5% ed aveva ampliato l'accesso agli ispettori.[115]

Le relazioni e gli incontri diplomatici

Il primo incontro diplomatico del 2014 tra l'Iran e gli Stati del P5+1 si aprì a Vienna il 18 febbraio 2014 con lo scopo di trasformare il "primo passo" del JPOA in un accordo finale (quello che due anni dopo diventerà il JCPOA). Nonostante il clima cauto e lo scetticismo del leader supremo dell'Iran, i negoziati vennero avviati dal Paese mediorientale con la consapevolezza che si trattava della principale opportunità diplomatica per superare la crisi nucleare,[116] tuttavia essi rappresentarono solo il lancio ufficiale della negoziazione completa e l'unico risultato che portarono fu la definizione di un calendario degli incontri successivi e delle modalità operative, con sessioni mensili programmate fino all'estate.

Di fatto, le prime tre sessioni servirono a fissare agenda e posizioni, mentre a maggio si iniziò la redazione concreta dell'accordo, un lavoro tecnicamente complesso che richiese tempo,[117] anche se pure al termine di quel round i negoziati restarono fermi sui punti strategici, con progressi marginali su questioni chiave come lo sviluppo del sito di Arak, con Teheran che definì "linea rossa" la preservazione del reattore, pur lasciando capire che un redesign per ridurne la produzione potenziale di plutonio fosse pensabile, e come l'arricchimento dell'uranio, dato che l'Iran voleva la possibilità di ampliare nel tempo la propria capacità di arricchimento così da poter alimentare future centrali, mentre il P5+1 chiedeva tagli netti al processo così da per allungare i tempi di breakout.

Mentre i negoziati politici arrancavano, sul fronte tecnico AIEA-Iran ci fu un importante passo avanti quando, in un incontro svolto il 20-21 maggio, le due parti concordarono cinque "misure pratiche" aggiuntive, da completare entro il 25 agosto successivo, tra cui la fornitura di informazioni su esperimenti con esplosivi ad alto potenziale e altro materiale legato alle PMD.[118][119]

Un incontro diplomatico cruciale fu invece quello svolto tra il 2 e il 20 luglio a Vienna, l'ultimo prima della scadenza del JPOA, fissata per il 20 luglio, avente lo scopo di avviare la fase finale di negoziato. Al termine di quell'incontro si annunciò ufficialmente che i colloqui non avevano prodotto un accordo complessivo ma, dato il clima costruttivo dei precedenti incontri e il rispetto reciproco degli impegni presi con l'accordo di dicembre 2013,[120] fu deciso di prolungare il temporaneo alleggerimento delle sanzioni sull'Iran fino al 24 novembre 2014, con uno sblocco totale di circa 2,8 miliardi di dollari di fondi congelati.[121]

Per tutto l'autunno si susseguirono incontri su base mensile senza tuttavia portare ad alcune convergenza sulle questioni chiave e quindi ad alcun progresso sostanziale. L'unica novità degna di nota si ebbe nella sessione del 18 novembre svolta a Vienna, l'ultima prima della scadenza del prolungamento del JPOA. In quell'occasione, un'atmosfera definita "tesa ma determinata", rimanevano quattro nodi principali da sciogliere, inerenti al numero e il tipo di centrifughe che l'Iran avrebbe potuto mantenere, la durata dell'accordo complessivo a cui si sarebbe giunti, le tempistiche e le modalità della rimozione delle sanzioni internazionali, e vari chiarimenti sulle possibili dimensioni militari del programma che l'AIEA chiedeva da tempo. Anche da questa sessione le due parti, constatata l'impossibilità di superare le divergenze, uscirono senza risultati, tuttavia il JPOA fu nuovamente esteso fino al 30 giugno 2015, permettendo all'Iran di ricevere 700 milioni di dollari al mese di fondi congelati, nell'ottica di raggiungere un accordo politico entro fine marzo 2015, con tempo fino a giugno per definire i dettagli tecnici.[122]

2015

Le relazioni e gli incontri diplomatici e il JCPOA

Lo stesso argomento in dettaglio: Accordo sul nucleare iraniano.

Dopo il round di Vienna del 18-24 novembre 2014, i negoziatori non fissarono subito nuovi incontri, parlando apertamente della necessità di una "pausa di riflessione" dopo mesi di estenuanti trattative. I negoziati ripartirono quindi a gennaio 2015, soprattutto in forma di incontri bilaterali che aprirono la strada alle sessioni plenarie, la prima delle quali si tenne a Ginevra il 18 dello stesso mese con l'obbiettivo dichiarato di riprendere formalmente i negoziati sul pacchetto globale in vista della nuova scadenza del JPOA e dell’obiettivo intermedio di un accordo politico entro marzo.

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I ministri degli esteri e altri funzionari del P5+1 e i ministri degli esteri dell'Iran e dell'UE riunitisi a Losanna, aprile 2015

Sull'onda di rapporti dell'AIEA che confermavano il rispetto degli accordi da parte iraniana,[123] tra il 26 marzo e il 2 aprile, tutti i ministri degli esteri del P5+1 e Zarif si riunirono nuovamente a Losanna, in un incontro che diede finalmente risultati. Il 2 aprile, infatti, l'Alto Rappresentante UE Federica Mogherini e il ministro Zarif annunciarono in conferenza stampa che erano stati raggiunti i "parametri chiave" del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA).[124] Secondo il documento diffuso dal Dipartimento di Stato USA e dal comunicato UE-Iran, lo Stato mediorientale avrebbe ridotto a da 19 000 a 5 060 le centrifughe IR-1 attive a Natanz mantenendo quel numero per 10 anni, non avrebbe condotto alcun arricchimento nel sito di Fordow per almeno 15 anni, avrebbe riconfigurato il sito di Arak in modo da non produrre plutonio di qualità militare, e avrebbe garantito all'AIEA un accesso rafforzato comprensivo di monitoraggio continuo della catena di approvvigionamento, mentre i P5+1 avrebbero condotto una sospensione progressiva delle sanzioni, condizionata al rispetto dell'accordo da parte iraniana, con possibilità di snap-back in caso di violazioni.[125]

Le reazioni internazionali alla notizia furono quasi tutte entusiaste. Il presidente statunitense Barack Obama affermò che si trattava di un "accordo storico",[126] il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier definì il piano "un passo avanti importante e decisivo", mentre il suo omologo britannico Philip Hammond lo descrisse come una buona base per un potenziale "ottimo accordo". Da parte iraniana, invece, il presidente Hassan Rouhani definì il risultato dell'incontro un "primo passo verso una cooperazione costruttiva con il mondo".[127] Le uniche note contrarie furono quelle del governo israeliano, che definì il piano JCPOA "un errore storico" se mai fosse diventato la base di un accordo, e della Guida Suprema iraniana Ali Khamenei che, in un discorso televisivo, mise in guardia contro un accordo sbagliato.[128]

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La conclusione degli incontri di Vienna del 14 luglio

Una volta stabiliti i contorni tecnici e politici dell'accordo, la fase di redazione dettagliata del testo fu conclusa definitivamente nella sessione tenuta a Vienna dal 1 al 14 luglio, dopo un altro prolungamento del JPOA fino al 7 luglio. Il 14 luglio, dunque, in una nuova conferenza congiunta di Mogherini e Zarif, fu annunciato che, dopo 13 anni e innumerevoli incontri, si era giunti a un accordo definitivo sul programma nucleare iraniano, sottolineando l'impegno di entrambe le parti a garantire che il Principal Comprehensive Plan of Action venisse attuato pienamente, con l'AIEA responsabile per il monitoraggio e la verifica tecnica dell'accordo.[9] Anche in questo caso, con l'eccezione di Israele, tutti i rappresentanti della comunità internazionale si dissero soddisfatti dell'accordo,[129] tanto che, il 20 luglio, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU approvò all'unanimità la Risoluzione 2231, che incorporava il JCPOA, ne fissava il calendario di attuazione e sanciva la futura fine delle sanzioni ONU se l'accordo fosse stato rispettato.[130]

2016

L'Implementation Day

Il 16 gennaio 2016, in un suo rapporto l'AIEA certificò ufficialmente che l'Iran aveva completato tutte le misure previste dal JCPOA per la fase iniziale, avendo già ridotto al numero stabilito le centrifughe IR-1 di Natanz e avendo smantellato quelle di Fordow (lasciandone operative solo circa un migliaio per usi non nucleari ma di ricerca), avendo diluito lo stock di uranio arricchito al 20% a livelli ben inferiori richiesti ed avendo riconfigurato il reattore di Arak IR-40, rimuovendo il nocciolo originale.[131] Tale rapporto fu un vero e proprio spartiacque nel JCPOA ed ebbe come reazioni immediate la cessazione delle sanzioni ONU legate al nucleare (sebbene restassero in vigore restrizioni su armamenti convenzionali, per 5 anni, e missili balistici, per 8 anni) come da Risoluzione 2231, la revoca da parte dell'UE di tutte le sanzioni economiche e finanziarie collegate al nucleare nei confronti dell'Iran, e la sospensione, da parte di Washington della gran parte delle sanzioni secondarie che colpivano le entità straniere che facevano affari con Teheran, pur rimanendo in essere le sanzioni legate a terrorismo, diritti umani e missili.[132]
In pratica, si trattava per l'Iran dello sblocco di circa 100 miliardi di dollari di asset congelati all'estero, della ripresa delle esportazioni petrolifere verso Europa e Asia, che erano state quasi azzerate, della riconnessione al sistema finanziario internazionale SWIFT, e del ritorno degli investimenti e delle forniture di grandi aziende occidentali.[133]

In parallelo a quello che fu battezzato Implementation Day, si concluse anche un accordo separato tra Stati Uniti e Iran per il rilascio di detenuti, in base al quale il giorno successivo l'Iran liberò 4 cittadini statunitense, tra cui il giornalista del Washington Post Jason Rezaian, mentre gli USA rilasciarono 7 iraniani accusati o condannati per violazioni dell'embargo.[134]

Il prosieguo del JCPOA

Tra l'8 e il 9 marzo 2016, Teheran condusse test missilistici[135] che coinvolsero anche missili Qadr-H e Qadr-F, che gli USA videro come una violazione della Risoluzione ONU 2231, la quale invitava l'Iran a non sviluppare missili "progettati per essere in grado di trasportare armi nucleari", e relativamente ai quali l'UE espresse "preoccupazione", sottolineando che i missili potevano essere "incoerenti con la Risoluzione 2231".[136] Nonostante la messa in atto di nuove sanzioni da parte del Tesoro USA contro entità legate al programma missilistico iraniano, il prosieguo del JPCOA non fu tuttavia toccato dalla questione, poiché al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, dove gli USA sollevarono il problema, Russia e Cina bloccarono nuove misure, sostenendo che la 2231 non imponeva un divieto "vincolante" ma solo un invito. Tali test, tuttavia, aumentarono la sfiducia sul JCPOA, soprattutto a Washington e Tel Aviv, preparando il terreno alle critiche che nei due anni successivi avrebbero messo in crisi l'accordo, anche perché nel novembre 2016 fu eletto alla presidenza statunitense Donald Trump, che in campagna elettorale aveva promesso di fare dell'accordo "carta straccia".[137]

Di fatto, per tutto il resto dell'anno, come confermato dai rapporti AIEA, il programma nucleare iraniano fu condotto nel rispetto degli obblighi del JCPOA, osservano riduzioni e limiti del piano d'azione.[138].

Proprio in quest'anno venne anche chiusa la miniera di uranio di Gchine, una miniera a cielo aperto segretamente realizzata all'inizio degli anni 2000 e in grado di produrre yellowcake.[33][139]

2017

L'inizio della rottura di Trump

Il 2017 fu un anno di forte contrasto politico sul JCPOA: da un lato l'AIEA continuava a certificare che l’Iran rispettava i suoi obblighi, dall'altro l'amministrazione Trump mise l'accordo sotto accusa, preparandone la crisi.[140]

Nonostante i rapporti dell'AIEA e nonostante le dichiarazioni di Mogherini e Zarif, che a margine della Conferenza di Monaco del 17 febbraio 2017 ribadirono il proprio impegno congiunto a mantenere l'accordo, in ottobre Donald Trump annunciò la sua intenzione di non certificare al Congresso che l'Iran stesse rispettando lo "spirito" del JCPOA, pur senza uscire formalmente dall'accordo, accusando Teheran di aver commesso numerose violazioni e di voler destabilizzare la regione. Secondo il Congressional Iran Nuclear Agreement Review Act, infatti, il Presidente statunitense era tenuto a certificare ogni 90 giorni al Congresso se l'Iran stesse rispettando l'accordo e se la sospensione delle sanzioni fosse ancora nell'interesse della sicurezza nazionale USA, ma Trump affermò che il fatto che alcune restrizioni sul nucleare scadessero dopo 10–15 anni avrebbe permesso all'Iran di tornare ad arricchire uranio con poche limitazioni in futuro, e sostenne che la sospensione delle sanzioni non fosse più proporzionata rispetto alle minacce regionali poste dall'Iran, comunicando quindi di non voler più certificare l'adesione dell'Iran a quanto stabilito pur in assenza di violazioni formali da parte dello Stato mediorientale.[141][142][143] Per tutta risposta, Rouhani dichiarò che l'Iran avrebbe comunque a rispettato l'accordo fintanto che gli altri partner avessero fatto lo stesso ma che non avrebbe negoziato oltre quanto già concordato. L'UE invece, attraverso Mogherini, si disse fermamente in disaccordo con quanto deciso dal Presidente USA, affermando che "Non possiamo permetterci, come comunità internazionale, e sicuramente come Europa, di smantellare un accordo che funziona e sta dando risultati" e ribadendo che l'Iran stava rispettando i suoi impegni e che l'accordo non poteva essere smantellato da un solo Paese.[144]

2018

Il ritiro degli USA dal JCPOA

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Donald Trump mentre annuncia il ritiro degli USA dal JCPOA

Dopo che per tutto l'inizio del 2018, aveva minacciato di ritirare gli Stati Uniti dall'accordo se non fossero stati corretti "difetti fatali" come la scadenza di alcune restrizioni e la mancata copertura da parte del JCPOA del programma missilistico iraniano, l'8 maggio 2018 Donald Trump annunciò ufficialmente ufficialmente il ritiro unilaterale degli USA dal JCPOA e la reintroduzione delle sanzioni.[10]

Le reazioni del resto della comunità internazionale allo strappo statunitense furono per la maggior parte di condanna, fatta eccezione per Israele e l'Arabia Saudita, che applaudirono invece alla scelta di Trump, definendola necessaria. Di fatto, tutti gli altri paesi del P5+1 confermarono di voler mantenere in piedi l'accordo,[145] con Mogherini che affermò l'accordo stava funzionando e che l'Europa avrebbe cercato di preservarlo.[146]

Dato che nei mesi successivi al ritiro statunitense l'AIEA continuò a certificare l'adesione agli accordi da parte iraniana, nel giugno 2018 il consiglio dell'UE decise di aggiornare il proprio Blocking Statute, redatto nel 1996,[147] così da proteggere le imprese e i cittadini europei dagli effetti extraterritoriali delle sanzioni imposte dagli USA, con un upgrade che sarebbe entrato in vigore il 16 agosto, ossia 10 giorni dopo le sanzio USA. Tuttavia, molte grandi imprese europee decisero comunque di lasciare l'Iran per paura di perdere l'accesso al mercato e al sistema finanziario statunitense, ragion per cui il 24 settembre, a margine della Assemblea Generale delle Nazioni Unite, i ministri degli Esteri dell'E3 più Federica Mogherini annunciarono la decisione di lavorare a uno Special Purpose Vehicle (SPV) per facilitare transazioni legittime con l'Iran, soprattutto per beni umanitari.[148][149]

2019

INSTEX

Il 31 gennaio 2019, gli sforzi per la realizzazione dell'SPV si concretizzarono quando Francia, Germania e Regno Unito (E3) annunciano ufficialmente la creazione di INSTEX SAS, una società avente sede a Parigi e presieduta dal tedesco Per Fischer, un ex dirigente di Commerzbank, che avrebbe dovuto permettere a imprese europee e iraniane di commerciare senza passare per il dollaro statunitense o per il sistema bancario internazionale SWIFT, concentrandosi inizialmente su beni umanitari quali medicinali e attrezzature mediche.[150] INSTEX divenne pienamente operativo e disponibile a tutti i paesi UE il 28 giugno 2019, e a metà luglio anche la Russia si mostrò interessata allo strumento, tuttavia il sistema non decollò mai per diverse ragioni, prima fra tutti il fatto che il petrolio iraniano non era incluso nel sistema di clearing di INSTEX, ossia le imprese europee non potevano comprare greggio iraniano pagandolo via INSTEX senza rischiare sanzioni americane, e poi perché gli USA avvertirono che qualsiasi soggetto che avesse usato INSTEX per transazioni sanzionabili sarebbe stato punito con sanzioni secondarie.[151] lienza iniziale (gennaio – primavera 2019)

Il parziale ritiro dell'Iran

Dopo l'annuncio del 31 gennaio 2019, Teheran accolse INSTEX come un "passo positivo", ma lo definì subito insufficiente, sottolineando il fatto che il meccanismo riguardava solo beni umanitari e non includeva il petrolio, ossia la principale fonte di reddito dell'Iran.[152]

Nella primavera del 2019, dichiarandosi deluso dall'incapacità i mantenere relazioni economiche dell'Europa, Teheran accuso l'UE di mancanza di coraggio politico e di essere sottomessa agli USA e, affermando che essa non fosse più in grado di mantenere le promesse del JCPOA, l'8 maggio 2019, esattamente a un anno di distanza dall'uscita degli USA dall'accordo, l'Iran annunciò che non avrebbe più rispettato più i limiti di 300 kg di scorta di esafluoruro di uranio se i partner europei non avessero tamponano la situazione entro 60 giorni.[153] affermando inoltre la sua volontà di ridurre altri impegni ogni due mesi fino alla totale uscita dall'accordo. Così, il 1º luglio successivo l'AIEA confermò che il Paese aveva in effetti passato i 300 kg di scorta di UF6 al 3,67% e che aveva cominciato anche l'arricchimento a percentuali superiori,[154] mentre a settembre l'Iran avanzò nella ricerca e sviluppo di centrifughe più potenti, tra cui IR-4, IR-6 e altre di nuova generazione, violando ulteriormente i limiti del JCPOA, e a novembre l'AIEA annunciò anche il superamento del limite consentito sulle scorte di acqua pesante (130 tonnellate) nonché la ripresa dell'arricchimento con le IR-1 nel sito di Fordow.[154]

La comunità internazionale reagì condannando unanimemente la nuova svolta dell'Iran. Tuttavia, se gli Stati Uniti interpretarono la strategia iraniana come una forma di nuclear blackmail (ricatto nucleare), mantenendo ferma la linea della "massima pressione" senza concessioni,[155] l'UE, pur condannando pubblicamente questo passo, evitò invece di avviare formalmente il meccanismo di risoluzione delle dispute previsto dal JCPOA,[156] e Cina e Russia si espressero a favore di una cautela diplomatica, condannando le sanzioni unilaterali statunitensi.[157]

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Sviluppo della controversia sul programma iraniano negli anni 2020

Riepilogo
Prospettiva

2020

La rottura dell'Iran

Il 5 gennaio 2020, due giorni dopo l'assassinio del generale iraniano Qasem Soleimani, ucciso da un attacco mirato sull'aeroporto internazionale di Baghdad, in Iraq, per ordine del presidente degli Stati Uniti Donald Trump,[158][159] l'Iran annunciò che non avrebbe più rispetterà nessun limite operativo del JCPOA,[160] pur affermando che la cooperazione con l'AIEA sarebbe proseguita e che le misure erano reversibili a patto che le sanzioni fossero state cancellate. In effetti, in un suo rapporto del 3 febbraio successivo, l'AIEA comunicò che le scorte di uranio arricchito iraniane erano arrivate a 1020 kg, con un livello di arricchimento fino al 4,5%, quindi oltre il massimo consentito del 3,67%, che erano in uso centrifughe avanzate (IR-2m, IR-4, IR-6) e che nel sito di Fordow era ripreso l'arricchimento.[161]

Meno di dieci giorni dopo l'annuncio iraniano, il gruppo degli E3 - secondo alcuni sotto minaccia di dazi da parte statunitense -[162] attivò il meccanismo di risoluzione delle dispute del JCPOA, accusando l'Iran di violazioni sistematiche, pur dichiarando di non volere l'entrata in vigore automatica di sanzioni ONU intendendo invece salvare l'accordo tramite negoziati.[163] Dal canto loro, gli USA appoggiarono la mossa europea come conferma della loro linea di massima pressione sull'Iran, affermando anche che il Paese non avrebbe mai dovuto beneficiare dell'accordo, mentre Russia e Cina sostennero che l'attivazione del meccanismo era prematura e rischiosa.

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Rafael Grossi, direttore generale dell'AIEA dal 3 dicembre 2019

Il 20 agosto 2020, dopo che in un report di giugno l'AIEA aveva denunciato la mancanza di collaborazione iraniana per la prima volta dopo anni, il Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo notificò al Consiglio di Sicurezza dell'ONU che gli Stati Uniti avrebbero attivato lo snapback contro l'Iran, ripristinando le sanzioni,[164] ma, con 13 voti contrari su 15, il Consiglio respinse la richiesta, sostenendo che gli USA, avendo abbandonato il JCPOA nel 2018, non avevano più legittimità per invocarne i meccanismi e negando quindi ogni valore giuridico della loro richiesta.[165] Apparentemente sordi a tale rifiuti, un mese più tardi gli Stati Uniti annunciarono unilateralmente che lo snapback era "entrato in vigore" e che tutte le sanzioni ONU erano ripristinate, ma ancora una volta le Nazioni Unite dichiararono che nessuna misura era stata adottata, e l'UE ribadì che "le sanzioni ONU restano revocate" mostrando la profonda divisione internazionale e l'isolamento diplomatico degli Stati Uniti sulla questione JCPOA nel periodo Trump.[166]

A inizio novembre 2020, i sostenitori della linea dura e i critici del governo nel parlamento iraniano riuscirono a far passare una legge sul nucleare in base alla quale l'AEOI avrebbe dovuto produrre e immagazzinare 120 chilogrammi di uranio arricchito al 20% all'anno, e sarebbe stato possibile limitare o vietare l'accesso degli ispettori delle Nazioni Unite agli impianti nucleari.[11] Dal canto suo, il presidente Rouhani ha criticò tale legge, sostenendo che mettesse a repentaglio il salvataggio dell'accordo nucleare di Vienna del 2015, tuttavia pareva ormai chiaro a tutte le parti che il JCPOA esistesse a quel punto solamente sulla carta.[167]

2021

In ottemperanza alla legge promulgata nel novembre dell'anno precedente, a gennaio 2021 l'Iran riprese la produzione di uranio arricchito al 20% presso l'impianto nucleare di Fordow, informando l'AIEA di voler anche intensificare la ricerca sulla produzione di uranio metallico, mentre a febbraio annunciò che non avrebbe più rispettato le misure di trasparenza volontaria dell'accordo e non avrebbe più seguito un protocollo aggiuntivo che prevede visite a breve termine da parte degli ispettori dell'AIEA.

Il 19 febbraio 2021 gli Stati Uniti d'America accettarono la proposta dell'Unione Europea, rendendosi disponibili a fare nuovi colloqui con l'Iran sotto il formato P5+1 e decidendo di attenuare le restrizioni sui movimenti dei diplomatici iraniani.[168] Proprio in vista di un possibile ritorno degli USA nell'accordo, e seguito delle pressioni da parte degli altri Paesi, il 21 febbraio 2021 l'Iran firmò un accordo temporaneo di 3 mesi con l'AIEA secondo il quale gli ispettori avrebbero avuto ancora accesso agli impianti nucleari del Paese, senza poter comunque effettuare alcuna ispezione a sorpresa, né visualizzare il contenuto delle telecamere.[169] Tuttavia, a seguito dell'attacco aereo del 25 febbraio 2021 in Siriaco, condotto su ordine di Joe Biden, che ha provocato la morte di 22 miliziani filo-iraniani, l'Iran respinse la proposta di nuovi colloqui sotto il formato P5+1.[170][171]

Nonostante tutto questo, il 6 aprile 2021, i colloqui tra i rappresentanti di Iran, Regno Unito, Francia, Cina, Russia e Germania sulla limitazione del programma nucleare iraniano, sospeso dal 2018, ripresero come previsto a Vienna con lo scopo di mappare le sanzioni USA che Joe Biden poteva revocare e definire quali passi concreti l'Iran dovesse compiere per tornare nei limiti del JCPOA. Tuttavia, il 12 aprile, a tre giorni dalla chiusura della prima sessione di incontri, Teheran annunciò il raggiungimento di un traguardo ma ottenuto prima, ossia l'arricchimento dell'uranio al 60%, presso l'impianto nucleare di Natanz.[172] Fu su questo clima che, il 15 aprile, iniziò la seconda sessione dei negoziati di aprile, a cui parteciparono solo i tecnici, avente lo scopo di iniziare a redigere le prime bozze di testo su un possibile sequencing. Dopo diversi altri round che coinvolsero ministri e tecnici a più riprese, si arrivò alla pausa estiva di giugno, durante la quale ci fu l'elezione a presidente del l'Iran dell'ultraconservatore Ebrahim Raisi,[173] di fatto senza che fosse stato raggiunto alcun nuovo accordo se non quello di nuovi colloqui a novembre.[174]

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Ebrahim Raisi, eletto presidente del l'Iran nel giugno 2021

Dopo un'estate in cui l'AIEA continuò ad accusare l'Iran di prendere sempre più le distanze dai termini dell'accordo nucleare del 2015, i negoziati ripresero il 29 novembre 2021 e, alla chiusura del 3 dicembre, gli europei e gli statunitensi constatarono che l'Iran non aveva fatto alcun passo indietro sulle sue richieste per rientrare nel JCPOA e, se i primi espressero "delusione e preoccupazione" per l'atteggiamento di Teheran che rimette in questione "la quasi totalità dei compromessi che erano stati difficilmente trovati", i secondi tornarono ad evocare la possibilità di un intervento militare.[175] Tuttavia, l'ottava e ultima sessione del 2021, condotta a fine dicembre, vide il ritorno di toni più costruttivi ed entrambe le parti espressero un rinnovato ottimismo sull'andamento dei negoziati.[176]

2022

Il 2022 si aprì dunque con un certo clima positivo rispetto al futuro del programma iraniano, tuttavia, dopo altre due sessioni, l'invasione russa dell'Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022 portò a un nuovo stop dei negoziati, nonostante un testo definito "sostanzialmente pronto", voluto dalla Russia che avanzò richieste dell'ultimo minuto con lo scopo di impedire un veloce incremento della afflusso di petrolio iraniano sul mercato che avrebbe potuto abbattere il prezzo del greggio.[177]

Nel maggio 2022, il vice-capo dell'AEOI dichiarò che era stata ripresa la pianificazione per la costruzione di un reattore da 360 MW nella centrale nucleare di Darkhovin,[178] una centrale nucleare la cui messa in opera avrebbe dovuto partire prima della rivoluzione islamica grazie a un contratto da 2 miliardi di dollari firmato con la francese Framatome (il progetto iniziale prevedeva un reattore ad acqua pressurizzata da 910 MW), salvo poi essere abbandonata proprio per l'occorrenza della rivoluzione.

Dopo mesi di pausa in cui l'AEIA continuò a dettagliare la perdita di dati sulle attività nucleari iraniane, arrivando a una risoluzione del board che, l'8 giugno 2022, censurò l'Iran per la mancata spiegazione delle tracce di materiale nucleare rinvenute in tre siti,[179] ottenendo per tutta risposta la rimozione di 27 telecamere dagli impianti da parte dell'Iran,[180] i negoziati ripresero a Vienna in una nuova sessione dal 3 all'8 agosto, in cui l'UE mise sul tavolo un "testo finale" chiedendo alle capitali un voto favorevole o contrario.[181] Il testo prevedeva una progressione graduale, dove l'avanzamento dipendeva dal rispetto reciproco dei passaggi concordati, e includeva un riferimento alla chiusura dell'indagine dell'AIEA su materiali/attività nucleari non dichiarati, se l'AIEA avesse concluso che l'Iran ha dato spiegazioni adeguate. Il 15 agosto, Teheran rispose che servivano altre negoziazioni, sottolineando la centralità delle garanzie rispetto al mantenimento degli incentivi economici anche in caso di eventuale ritiro futuro degli USA, chiedendo un approccio "realistico" e una maggiore flessibilità da parte americana, e persino contestando la definizione di "testo finale", poiché, secondo lo Stato mediorientale, non stava all'UE definire in tal modo un accordo.[182] Davanti alle dichiarazioni iraniane, l'Alto Rappresentate dell'UE Josep Borrell ammise di non avere più niente da proporre,[183] confermando che non vi era più spazio per modifiche ma facendo comunque partire un'analisi approfondita della risposta ricevuta, consultando Stati Uniti e parte degli altri paesi coinvolti.

Lo stallo dei negoziati

Di fatto, nel 2022 non ci furono più incontri negoziali se non indiretti, mentre l'AIEA continuò a inviare rapporti sempre più preoccupanti, denunciando a settembre che l'Iran aveva uranio arricchito al 60% stoccato in quantità sempre crescenti mentre la trasparenza nelle comunicazioni si era ulteriormente ridotta, e riportando in ottobre che l'arricchimento al 60% avveniva anche nel sito di Fordow, usando centrifughe avanzate IR-6.[184][185] Dati questi rapporti, l'UE decise di intraprendere una linea dura, ritenendo che non ci fossero giustificazioni credibili per l'arricchimento al 60%, mentre gli Stati Uniti dichiararono che il JCPOA non era più una delle loro priorità, sottolineando che l'attenzione era rivolta alle proteste interne in Iran e al supporto militare iraniano alla Russia nell'invasione dell'Ucraina.[186]

2023 e 2024

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Masoud Pezeshkian, eletto Presidente dell'Iran nel luglio 2024

Lo stallo diplomatico si protrasse per tutto il 2023 e il 2024. Nonostante a inizio 2023, l'AIEA avesse riportato che l'Iran aveva accumulato abbastanza uranio arricchito al 60% da poter produrre materiale fissile per diverse armi nucleari, se ulteriormente arricchito, ed era arrivato ad arricchire uranio fino al 83,7%,[187][188] continuando a lamentare la mancanza di cooperazione da parte iraniana, le parti non tornarono mai a un tavolo di confronto, continuando a rimanere divise con, da una parte UE e USA, che mantenevano la propria linea dura, e dall'altra l'Iran con cui si erano apertamente schierate la Cina e soprattutto la Russia, per la quale il paese era diventato un fondamentale fornitore di armi, che accusavano USA ed Europa di non rispettare gli impegni del 2015.

Un certo cauto ottimismo si riaccese quando a luglio 2024 fu eletto Presidente dell'Iran Masoud Pezeshkian, un riformista moderato nominato al posto di Raisi, morto in un incidente aereo, che promise più aperture verso il dialogo sul nucleare e verso l'Occidente in generale, ma sempre nel rispetto della Guida Suprema. Di fatto, però, nonostante in settembre Pezeshkian avesse dichiarato all'ONU di essere pronto a un dialogo costruttivo pur ritenendo illegali le sanzioni,[189] nel 2024 non ci fu alcuna svolta sui negoziati nucleari, anche perché in novembre la presidenza statunitense passò nuovamente nelle mani di Donald Trump, da sempre fortemente contrario al JCPOA. Nel frattempo, l'Iran portò avanti il suo programma continuando ad arricchire uranio al 60% e a dare comunicazioni frammentario all'AIEA, tenuta sempre più all'oscura dei dati reali.

2025

La prima metà del 2025 fu caratterizzata dall'assenza di colloqui diretti ma dall'instaurazione di una serie di colloqui indiretti, condotti attraverso l'Oman, tra l'inviato USA Steve Witkoff e il ministro degli Esteri iraniano Araghchi, che arrivarono finalmente a parlarsi direttamente il 19 giugno, ossia 6 giorni dopo lo scoppio della guerra Iran-Israele, altrimenti nota come "guerra dei dodici giorni";[190] per riprendere i colloqui multilaterali sul nucleare, infatti, l'Iran disse di pretendere che fosse prima raggiunto un cessate il fuoco con Israele.

Nei primi giorni della suddetta guerra, peraltro, Israele era riuscita a infliggere un duro colpo al programma nucleare iraniano, prendendo di mira scienziati nucleari coinvolti nel programma e arrivando a ucciderne a decine.[191]

Operazione Midnight Hammer

Lo stesso argomento in dettaglio: Attacchi statunitensi ai siti nucleari iraniani.
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La timeline dell'operazione

Dato che la telefonata del 19 giugno non aveva sbloccato nulla, il 22 giugno, volendo dissuadere l'Iran dal continuare l'arricchimento e costringerlo invece a rientrare in un nuovo negoziato "da posizioni di debolezza" e volendo dare un messaggio al mondo contro la proliferazione, Donald Trump ordinò l'Operazione Midnight Hammer, durante la quale la United States Airforce e la United States Navy attaccarono i siti di Fordow e Natanz, nonché il centro di tecnologia nucleare di Esfahan, con quattordici bombe GBU-57A/B MOP trasportate da bombardieri stealth Northrop B-2 Spirit e con una raffica separata di missili Tomahawk lanciati da sottomarini.[27]

Nei giorni successivi all'attacco, l'amministrazione statunitense salutò l'operazione come un successo che avrebbe del tutto annientato il programma nucleare iraniano,[192] tuttavia, da un rapporto preliminare della DIA, la principale agenzia militare statunitense di intelligence per l'estero, venne rilevata l'inefficacia di tali attacchi, sostenendo che il programma fosse stato rallentato solo di qualche mese.[193][194]

Lo snapback

Il 28 agosto 2025, i membri dell'E3 — Francia, Germania e Regno Unito — hanno avviato il processo del meccanismo di snapback, con la prospettiva di congelare gli asset iraniani all'estero, bloccare gli accordi relativi agli armamenti con il Paese, imporre azioni penali contro lo sviluppo del programma missilistico balistico iraniano e limitare ulteriormente le attività militari e nucleari dell'Iran.[195][196]

In una lettera indirizzata al presidente del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, i ministri degli Esteri dell'E3 hanno dichiarato che dal 2019 l'Iran aveva progressivamente e deliberatamente cessato di adempiere ai propri impegni del JCPOA, compreso l'accumulo di una scorta di uranio altamente arricchito che - hanno affermato - non ha alcuna giustificazione civile credibile ed è senza precedenti per uno Stato privo di un programma di armi nucleari» La lettera descriveva ulteriori violazioni dell'accordo da parte dell'Iran, nonostante il fatto che l'E3 "abbia costantemente rispettato i propri impegni ai sensi del JCPOA".[197]

L'attivazione ha aperto una finestra di 30 giorni, volta a riavviare il dialogo con l'Iran attraverso negoziati diplomatici prima del pieno ripristino delle sanzioni. Commentando tale iniziativa, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha dichiarato che si trattava di un'azione ingiustificata, illegale e priva di qualsiasi base giuridica e ha promesso che la Repubblica Islamica dell'Iran risponderà in modo adeguato,[198] tuttavia, il 28 settembre 2025, allo scadere dei suddetti 30 giorni, l'ONU ha ripristinano le sanzioni a danno del Paese mediorientale, bocciando peraltro la mozione di Cina e Russia di rinviare di sei mesi la reintroduzione delle sanzioni.[199] Anche in questo caso l'Iran ha bollato il ripristino della sanzioni come "Ingiustificabile", minacciando anche un proprio ritiro dal Trattato di non proliferazione nucleare e lo sviluppo di armi nucleari a scopo deterrente,[200] sebbene il presidente Pezeshkian lo abbia escluso avvertendo che potenze non specificate cercano un qualsiasi «pretesto per incendiare la regione».[201]

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