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Dialetto monregalese

dialetto del Piemonte Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

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Il monregalese è un dialetto della lingua piemontese parlato nella città di Mondovì e nel suo circondario. L'area di diffusione di questo dialetto risale la valle del Tanaro fino al confine della Liguria[1], dove si possono trovare varietà particolari di transizione con il ligure e l'occitano, ovvero i dialetti di Briga Alta, Garessio e Ormea. A nord il limite è rappresentato dal fiume Stura di Demonte. In effetti, per gli abitanti di Mondovì il "parlé d’ëd là dë Stura" indica, il cuneese o l'alto piemontese.

Fatti in breve Monregalese Monregalèis, Parlato in ...

Questa varietà per molto tempo è stata ritenuta parte del dialetto monferrino o langarolo.

Nicola Duberti[2] al contrario ritiene che il monregalese sia una varietà indipendente e diversa da quelle del Monferrato o delle Langhe. Il monregalese viene pertanto collocato nella categoria dei dialetti piemontesi sud-orientali, insieme all'alessandrino, al langarolo e al monferrino[3][4][5].

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Caratteristiche

  • L'uso frequente dell'approssimante alveolare /ɹ/ o ř, che può derivare da /l/ o dalla vibrante /r/, invece della più occidentale /l/.[6]
  • Rotacismo della /l/ (non inter-vocalica) in /r/, tipico arcaismo delle lingue gallo-italiche, e presente ancora in alcuni dialetti conservativi.
  • Conservazione, saltuaria nel dialetto urbano e più frequente in quello alto e rustico, del suono [dz], scomparso in piemontese moderno (de-affricato a [z]): es. dodze, piemontese attuale doze oppure dódes (dodici)
  • Se posta tra consonanti e seguita dalla 'r', la 'e' è tendenzialmente soggetta a metatesi (soprattutto se inserita nell'ultima sillaba della parola): es. numer > numre, "numero"; vëdder > vëddre, "vetro"; pèver > peivre, "pepe"; cocòmber > cocòmbre, "cetriolo". Talvolta essa può cadere del tutto: setember > s-tembr, "settembre".
  • La conservazione della metafonia di -i, che viene aperta per distinguere singolare e plurale, come gȓòss /ɡɹɔs/ e gȓeuss /ɡɹøs/ o matòt /maˈtɔt/ e mateucc /maˈtøʧ/, dove abbiamo la palatizzazione della consonante finale della parola[7].
  • Evoluzione palatale del nesso latino -CT- come in piemontese orientale (-CC), e quindi al contrario del cuneese o torinese (-IT), sia nei sostantivi sia nei participi passati dei verbi: es. lacclait (latte); succ ≠ suit (asciutto); poncc ≠ pont (punto); andacc/facc/scricc invece di andait/fait/scrit (andato, fatto, scritto). Nel dialetto cittadino, tuttavia, questo tratto è divenuto recessivo, quando non andato totalmente perduto, per via dell'influenza occidentale (cuneese e torinese)[8].
  • La sillaba AL del latino davanti a consonante dentale o palatale, che nel piemontese occidentale passa ad [ɑɫ] e poi ad [ɑw], vede solitamente cadere la semivocale [w] in [ɑw] come negli altri dialetti piemontesi sud-orientali: atr/ater (plur. acc) ≠ aotr, "altro"; at ≠ aot, "alto"; cad ≠ caod, "caldo"[9]; fass ≠ faoss, "falso". Tale regola non è comunque costante, probabilmente per influsso del piemontese occidentale: es. caudera, caldaia; paota, fango.
  • L'elisione delle consonanti liquide finali: le fiór > ij fió, i fiori; ël sól > ëř só, il sole.
  • Gli articoli determinativi ëř ([ɛɹ]) ed o ([ʊ]), in maniera affine al monferrino. Il secondo, simile al tipico articolo determinativo ligure [u], non deriva dall'afaresi di [l] come in genovese, ma dalla vocalizzazione di [l] come accade in monferrino[10].
  • La conservazione del femminile arcaico ël/ëř (ël/ëř vache, le vacche; ël/ëř vòte; le volte) oppure ij (ij scarpe, le scarpe; ij fió, i fiori).
  • L'utilizzo, per la terza persona plurale, dei pronomi chiej (maschile) e chile (femminile).
  • L'uso distinto dei pronomi clitici soggetto tra maschile (o) e femminile (a): ad esempio, "chiel/chial o r'è" (egli è), "chila a r'è" (ella è)[11][12]. Talvolta, la pronuncia della 'r' viene completamente elisa.
  • La particella pronominale e avverbiale ne si trasforma in non: es. mi i 'm non vogn, "io me ne vado".
  • Nella coniugazione indicativa imperfetta dei verbi irregolari, è utilizzata la stessa gamma -ava/-iva dei verbi regolari. Per i verbi 'fare', 'dare', 'stare', 'andare', 'dire', 'avere', 'sapere' l'imperfetto è fava, dava, stava, andava, diva/disava, ava, sava.
  • La prima persona singolare viene coniugata senza la vocale -o finale (es: mi i ven invece di mi i ven-o; mi i fass invece di mi i faso), mentre la terza persona viene coniugata con l'aggiunta della -a finale, in maniera identica al congiuntivo (chiel o vena invece di chiel a ven; chila a disa invece di chila a dis).
  • ll pronome utilizzato per la prima e la seconda persona plurali maschili subiscono un'evoluzione palatale: al posto di nojautri e vojautri, si ha nijacc e vojacc.
  • All'imperfetto indicativo e congiuntivo e al condizionale, la prima persona plurale viene coniugata con il suffisso -mo: andamo (noi andavamo), amo (noi avevamo); savèissmo (sapessimo); fèissmo (facessimo); sarimo (saremmo), andrimo (andremmo).
  • La coniugazione della prima persona singolare dei verbi essi (essere), andé (andare), sté (stare), (dare) è condizionata dalla presenza di una vocale o di una consonante a seguire: gli abituali mi i son, mi i von e mi i don possono evolvere in mi i sogn/vogn/stogn/dogn (se seguito da vocale) o mi i sóin/vóin/stóin/dóin (se seguito da consonante). La pronuncia dei verbi andé, sté e , esemplificata poc'anzi e nelle tabelle sottostanti, è irregolare.
  • La coniugazione della prima persona singolare dei verbi che terminano in -ié/ijé avviene con la desinenza -ij, mentre la seconda persona singolare e plurale in -ii: es. mi i ringrassij, ti/voi i ringrassiji (ringrassié, "ringraziare"); mi i cambij, ti/voi i cambiji (cambié, "cambio"); mi i pij, ti/voi i piji (pijé, "prendere"); mi i carrij, ti/voi i carriji (carrié, caricare).
  • Viene mantenuta l'originale costruzione interrogativa invertita piemontese della proposizione interrogativa alla seconda persona singolare, all'indicativo presento e futuro e al condizionale, utilizzando la particella interrogativa enclitica -ti: es. non veu-ti 'n tòc?, "ne vuoi un pezzo?"; land se-ti?, "dove sei?"; ha-ti ciamame?, "mi hai chiamato?"; lo farà-ti, "lo farai?"; savrì-ti dìme coma feřo?, "sapresti dirmi come farlo?".
  • Per alcuni verbi in cui, nei tempi composti, si usa genericamente il verbo ausiliare essi avviene, talvolta, anche la coniugazione con il verbo avej, persino con i verbi riflessivi: es. mi j'heu desmentiame, "mi sono dimenticato"; ha-ti andaje?, "ci sei andato?". Avviene sovente anche il fenomeno inverso, specie con i verbi attivi e transitivi: es. i soma nen perdù temp, "non abbiamo perso tempo"; o (r')è fařo, "lo ha fatto".
  • La costruzione interrogativa con soggetto alla terza persona singolare intransitiva e impersonale prevede l'utilizzo delle particelle pronominali finali -lo e -la, a seconda del genere del soggetto, unito al verbo principale: es. o 's peur-lo?, "si può"; cos o 't da-lo da mangé?, "cosa ti dà da mangiare?"; Land è-la/ha-la andaccia?, "Dov'è andata?".
  • Quando usata come ausiliare di un participio passato, la seconda persona singolare del participio passato è : t'hé polidà, "hai pulito"; t'hé finì, "hai finito"; t'hé scricc, "hai scritto".
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Articoli

Determinativi

  • maschile singolare: ëř oppure o
  • maschile plurale: ij
  • femminile singolare: ra oppure a
  • femminile plurale: ël, ëř, e, ij

Indeterminativi

  • un, ën
  • una, na

Verbi

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Coniugazioni

Le coniugazioni sono quelle piemontesi orientali, quindi la -e finale della seconda coniugazione del piemontese standard (il torinese), diventa -i. Esse diventa essi.

  • prima coniugazione in -é:
  • seconda coniugazione in -i (essi, scrivi):
  • terza coniugazione in -ej
  • terza coniugazione in -ì

Presente indicativo

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Imperfetto indicativo

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Futuro indicativo

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Presente congiuntivo

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Imperfetto congiuntivo

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Presente condizionale

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Verbi modali

Vorej

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Dovej

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Podej

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Varietà

Il monregalese si divide in quattro varietà minori[1]:

  • Monregalese della città o urbano
  • Monregalese della campagna o rustico
  • Alto-monregalese
  • Monregalese alpino (o Kje)

Monregalese della città

Il monregalese della città è molto simile al torinese e al cuneese e presenta molte innovazioni della pianura. Questa varietà ha perduto l'evoluzione palatale di -CT- latino (-CC), adattando quella di koiné -IT in -T: es. lat, latte; fat, fatto.

Monregalese della campagna

Raccoglie i dialetti conservativi, viene parlato nelle frazioni di Mondovì e nei comuni limitrofi ovvero: Rocca de' Baldi, Magliano, Morozzo, Margarita, Pianfei, Roburent, Vicoforte, Villanova Mondovì e Roccaforte Mondovì.[13] Nelle varieta della campagna si conserva il contrasto tra il maschile doi e il numerale femminile doe. Questa distinzione è tipica del torinese: in effetti nella grammatica piemontese Brero/Bertodatti si dice che doi/doe sia un numerale che varia in base al genere. Il numerale femminile doe in una gran parte della provincia di Cuneo non è presente. Questo tratto è sparito infatti a Cuneo e in tutte le principali località della pianura come Borgo San Dalmazzo, Boves, Peveragno, Fossano, Villafalletto, Centallo e Saluzzo.[14] La distinzione tra doi maschile e doe femminile si conserva solo nei territori alpini e langaroli come Entracque, Frabosa Soprana e Alba.[15][16]

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Alto-monregalese

Riepilogo
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L'alto monregalese è parlato in Val Casotto (Pamparato e Monasterolo Casotto), nell'alta val Mongia (Viola e Scagnello) e in Valle Belbo (Montezemolo e Mombarcaro). Ricompresi tra i dialetti conservativi, ampia è la presenza e la conservazione di arcaismi nel lessico e nei suoni, come anche di contaminazioni con i finitimi dialetti liguri. Di seguito alcune delle caratteristiche salienti:

  • Il fonema /æ/, ovvero la /e/ aperta o /è/, in alcune varietà tende o si sposta completamente verso una /a/ (esempi: chiel > chial; tèra > tàra) o verso il dittongo /ài/, specie se seguita da consonanti nasali: ad esempio, temp > taimp (tempo); censa > ciainsa (tabaccaio); risorent > ridzoraint (arrugginito); strument > strumaint (rogito notarile); cioenda > s-ciaindora (siepe); lenga > laingua (lingua); ginever/dzenevrin > dznaivr (ginevro); sempre > saimpre (sempre).
  • Contenendo il fonema /æ/, i dittonghi ei ed ej si possono trasformare rispettivamente in ai e aj: chiej > chiaj (essi); savej > savaj (sapere); candeila > candaira (candela); savèissmo > savàissmo (sapessimo); fèissmo > fàissmo (facessimo).
  • Usuale, nell'alto monregalese, è la pronuncia della /ä/ ('a' tonica velarizzata), ovvero la /a/ tonica che diventa oppure tende ad una /o/ oppure una vocale intermedia tra /a/ e /o/, soprattutto se essa si trova nella penultima sillaba della parola. Il fenomeno non è specificamente né del piemontese né del ligure, ma è trasversalmente presente in vari loro dialetti, per esempio avviene in zone limitrofe come nelle Langhe, a Savona, nel Monregalese, e nel Finalese.
  • Molto frequente è la variazione del suono della /s/, con la conservazione dei suoni "duri" [ts] e [dz], scomparsi in piemontese moderno, e con la /ss/, che si può trasformare in /ts/ o /sc/: es. fàss > fàts (falso), pniss > pnits (ricci delle castagne), trasé > tratsé (camminare lasciando impronte, tracciare un sentiero), essi > esci (essere). In alcuni casi, si ravvisa anche la trasformazione in ĝ (ʒ), in maniera similare al biellese e affinemente alla j francese e alla x del ligure.
  • La negazione tende a essere declinata in alcune varietà in nent o naint (esempio: "mi i seu nent/naint", io non so).
  • In alcune varietà si manifesta, in maniera simile al monferrino, la trasformazione delle finali in "-in", che si aprono fino a diventare "-én" (sigilìn > sigilén), e delle finali in "-ón", che si trasformano in "-òn" (dabón > dabòn): in entrambi i casi, la pronuncia dell'ultima sillaba è solitamente secca e marcata e la 'n' finale è tagliata (sigilé-(n), dabò-(n)), soprattutto se la parola si trova alla fine di una frase (spesso avviene anche nel mezzo di una frase) oppure molto leggera e palatale (non faucale ), in particolare se deve legarsi eufonicamente alla parola successiva. Ciò avviene in maniera del tutto peculiare e specifica a talune di queste varietà (in particolare quella di Monasterolo Casotto) e affine alla parlata di Garessio[17], la quale, tuttavia, presenta maggiori influssi delle parlate della zona geograficamente adiacente di Albenga.
  • La v in finale di parola mantiene tendenzialmente la stessa pronuncia della v in italiano (/v/) (ciav, "chiave"; tav, "tavolo").
  • Si manifesta talvolta, come nel vicino alto langarolo, il tratto ligure di palatizzare i nessi PL-, BL- e FL- del latino: nelle parlate della Val Mongia (specie a Viola, Scagnello e Battifollo) e a Bagnasco si ha ciù (più) invece di pi, sció invece di fior (in piemontese di koiné) o fió (alto-monregalese e monregalese della campagna), cian invece di pian, gianch invece di bianch[18].
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Note

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