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Germany first
strategia statunitense durante la II guerra mondiale Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Germany first ("Prima la Germania"), o anche Europe first ("Prima l'Europa"), è l'espressione che sintetizza la grande strategia adottata dalla dirigenza militare degli Stati Uniti d'America durante la seconda guerra mondiale: questa politica prevedeva che l'America e il Regno Unito avrebbero dovuto usare la maggior parte delle proprie risorse per sconfiggere anzitutto il Terzo Reich, mentre contro l'Impero del Giappone sarebbe stato adottato un piano temporaneamente difensivo, con lo scopo di guadagnare tempo, impiegando quindi un minor numero di risorse. In seguito alla sconfitta della Germania nazista considerata come il più pericoloso esponente dell'Asse per via dei suoi piani mondiali, delle sue risorse economiche e della sua avanzata tecnologia, le forze alleate sarebbero poi state concentrate contro il Giappone.[1]
La linea del Germany first fu concordata durante una serie di incontri diplomatici (conferenza di Arcadia) tra Winston Churchill e Franklin Roosevelt a cavallo tra la fine del 1941 e l'inizio del 1942 a Washington. Tuttavia, le statistiche degli Stati Uniti indicano che, nelle fasi iniziali della guerra, una quota maggiore di risorse fu destinata a fermare l’avanzata del Giappone, mentre solo nel 1944 una chiara preponderanza di risorse venne assegnata alla sconfitta della Germania.
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Grande strategia
Riepilogo
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La Germania costituiva la principale minaccia per il Regno Unito, in particolare dopo la campagna di Francia del 1940, evento che portò l’esercito tedesco a occupare la maggior parte dell’Europa occidentale, lasciando il Regno Unito isolato nella lotta contro il Terzo Reich. L’invasione pianificata della Gran Bretagna da parte della Germania, denominata operazione Leone marino, fu scongiurata a causa del mancato conseguimento della superiorità aerea nella battaglia d'Inghilterra e della netta inferiorità tedesca sul piano navale. Nel medesimo periodo, la possibilità di un conflitto con il Giappone in Asia orientale appariva sempre più probabile. Sebbene gli Stati Uniti non fossero ancora entrati in guerra, essi parteciparono a vari incontri con il Regno Unito al fine di elaborare strategie comuni.
Nel rapporto del 29 marzo 1941 relativo alla conferenza ABC-1, statunitensi e britannici convennero che i loro obiettivi strategici fossero:[2]
- La rapida sconfitta della Germania, in quanto principale potenza dell’Asse, con il principale sforzo militare degli Stati Uniti concentrato nelle aree atlantica ed europea.
- Il mantenimento di una posizione difensiva strategica in Estremo Oriente.
Gli Stati Uniti concordarono con il Regno Unito nell’adozione della strategia globale Europe first (o Germany first) per la conduzione delle operazioni militari durante la seconda guerra mondiale. Il Regno Unito temeva infatti che, se gli Stati Uniti avessero spostato la loro attenzione principale dal teatro europeo al Pacifico, Adolf Hitler avrebbe potuto sconfiggere l’Unione Sovietica, rendendo la Germania una fortezza inespugnabile nel continente europeo.
L’attacco giapponese contro la base statunitense di Pearl Harbor, avvenuto il 7 dicembre 1941, non comportò un mutamento nella politica degli Stati Uniti. Subito dopo l’attacco, Winston Churchill si recò a Washington per partecipare alla conferenza di Arcadia, con l’obiettivo di assicurarsi che gli Stati Uniti mantenessero il loro impegno nei confronti della strategia Europe first.
Nel 1941 Franklin D. Roosevelt nominò John Gilbert Winant ambasciatore presso il Regno Unito, incarico che egli mantenne fino alle dimissioni del marzo 1946. Secondo quanto riportato nel libro del 2010 della storica Lynne Olson, Finest Hour nel volume Citizens of London: The Americans Who Stood with Britain in Its Darkest, Winant modificò in modo significativo l’atteggiamento statunitense rispetto al suo predecessore, Joseph P. Kennedy, considerato vicino a posizioni di appeasement. Nella primavera del 1941, W. Averell Harriman operò come inviato speciale del presidente Roosevelt in Europa, contribuendo al coordinamento della legge degli affitti e prestiti (Lend-Lease Act).[3]
Entrambi i paesi riaffermarono la loro posizione dichiarando che, "nonostante l’ingresso del Giappone nel conflitto, riteniamo che la Germania resti il principale nemico e che la sua sconfitta rappresenti la chiave per la vittoria. Una volta sconfitta la Germania, seguiranno inevitabilmente il crollo dell’Italia e la disfatta del Giappone".[4]
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Stati Uniti
Riepilogo
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La strategia Europe first, accompagnata da un’azione di contenimento nei confronti del Giappone nel teatro del Pacifico, fu originariamente proposta al presidente Franklin D. Roosevelt dai vertici delle forze armate statunitensi nel 1940.[5] In seguito alla dichiarazione di guerra della Germania agli Stati Uniti, avvenuta l’11 dicembre 1941, il governo statunitense dovette stabilire come distribuire le proprie risorse tra i due principali fronti del conflitto. Da un lato, il Giappone aveva attaccato direttamente gli Stati Uniti a Pearl Harbor e la Marina imperiale giapponese costituiva una minaccia concreta per la sicurezza della sovranità territoriale americana, in misura superiore a quanto potesse rappresentare la Germania, la cui flotta di superficie risultava limitata. Dall’altro lato, la Germania era considerata la potenza più forte e pericolosa dell’Asse in Europa; la sua vicinanza geografica al Regno Unito e all’Unione Sovietica rappresentava una minaccia significativa per la sopravvivenza di entrambe le potenze.[6]
Prima dell’attacco a Pearl Harbor, i pianificatori militari statunitensi avevano già previsto la possibilità di un conflitto su due fronti. Il capo delle operazioni navali Harold Rainsford Stark redasse il Piano Dog, un memorandum che proponeva di concentrare gli sforzi sulla vittoria in Europa mantenendo al contempo una posizione difensiva nel Pacifico. Tuttavia, nonostante le rassicurazioni fornite al Regno Unito, la principale preoccupazione immediata degli Stati Uniti rimaneva il Giappone.
Come affermò successivamente il capo di stato maggiore, George C. Marshall: "avevamo una sufficiente comprensione di ciò che fosse meglio fare, piuttosto che la necessità di impegnarci in lunghe discussioni... Questa intesa, che includeva il riconoscimento della Germania come principale nemico e la decisione di concentrare inizialmente il maggiore sforzo in Europa, non era evidentemente applicabile alla situazione attuale. Di primaria importanza era ora la necessità di contenere i giapponesi".[7]
Nonostante ciò, Marshall e altri generali statunitensi sostennero la necessità di un’invasione dell’Europa settentrionale nel 1943, proposta che fu respinta dal Regno Unito.[8][9] Dopo che Winston Churchill insistette per uno sbarco nel Nordafrica francese nel 1942, Marshall suggerì al presidente Roosevelt di abbandonare la strategia Germany first e di passare all’offensiva nel Pacifico. Roosevelt respinse la proposta, ritenendo che essa non avrebbe portato alcun beneficio all’Unione Sovietica.[10] Con il sostegno del presidente e l’impossibilità per Marshall di convincere i britannici a modificare la loro posizione, a luglio 1942 venne programmata l’operazione Torch per essere avviata entro la fine dell’anno.[11]
La strategia Europe first rimase in vigore per tutta la durata del conflitto, ma i concetti di “azione di contenimento” e di “offensiva limitata” nel Pacifico furono oggetto di diverse interpretazioni e modifiche da parte dei vertici militari statunitensi e nel corso delle conferenze tra i leader alleati. La situazione strategica nel teatro del Pacifico e le esigenze logistiche connesse ebbero un ruolo determinante nelle decisioni operative degli Stati Uniti dopo il loro ingresso in guerra, portando inizialmente a concentrare l’attenzione su quel fronte. Anche nelle fasi successive del conflitto, la competizione per le risorse tra i due teatri operativi rimase intensa, poiché le operazioni militari in entrambe le aree vennero progressivamente ampliate.[11][12]
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Opposizione
Riepilogo
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La strategia Europe first non fu accolta favorevolmente da tutte le componenti delle forze armate statunitensi e contribuì a creare tensioni tra la U.S. Navy e l'U.S. Army. Sebbene l’ammiraglio Ernest King fosse un convinto sostenitore della priorità europea, contrariamente a quanto spesso ritenuto dai britannici, la sua inclinazione offensiva lo portava a non voler lasciare inattive nel teatro atlantico risorse che avrebbero potuto essere impiegate nel Pacifico, soprattutto in un contesto in cui era incerto se e quando i britannici avrebbero acconsentito a un’operazione attraverso la Manica.[13] King lamentò in un’occasione che il Pacifico meritasse il 30% delle risorse alleate ma ne ricevesse solo il 15%. In parte a causa dei contrasti personali tra i vertici militari, l’influenza congiunta di King e del generale Douglas MacArthur contribuì comunque ad aumentare la quota di risorse destinate alla guerra nel Pacifico.[12][14]
Il generale Hastings Ismay, capo di stato maggiore di Winston Churchill, descrisse l’ammiraglio King come:
«Duro come l’acciaio e rigido nei modi come un palo. Era diretto e distaccato, quasi al limite della scortesia. All’inizio si mostrava intollerante e diffidente verso tutto ciò che fosse britannico, in particolare nei confronti della Royal Navy; ma era quasi altrettanto intollerante e sospettoso verso l’esercito americano. Considerava la guerra contro il Giappone il problema al quale aveva dedicato l’intera carriera, e mal sopportava l’idea che le risorse statunitensi potessero essere impiegate per qualsiasi scopo diverso dalla distruzione dei giapponesi. Diffidava delle capacità persuasive di Churchill e temeva che questi potesse convincere il presidente Roosevelt a trascurare la guerra nel Pacifico.»
Alla conferenza di Casablanca del gennaio 1943, l’ammiraglio King fu accusato dal maresciallo di campo Sir Alan Brooke, di favorire il fronte del Pacifico, dando origine a un acceso diverbio. Il generale statunitense Joseph Stilwell, noto per il suo carattere combattivo, descrisse così l’episodio: "Brooke divenne sgarbato, e King si infuriò. King quasi scavalcò il tavolo per affrontare Brooke. Dio, era furioso. Avrei voluto che gli avesse tirato un pugno".[15]
L’opinione pubblica statunitense, nei primi anni di guerra, mostrò una netta preferenza per un’azione immediata contro il Giappone. In uno dei pochi sondaggi condotti durante il conflitto, nel febbraio 1943, il 53% degli intervistati indicò il Giappone come il «principale nemico», mentre solo il 34% individuava la Germania. Un sondaggio successivo rivelò inoltre che l’82% degli americani considerava i giapponesi "più crudeli di natura" rispetto ai tedeschi.[16] Come conseguenza della minaccia immediata rappresentata dall’avanzata giapponese nel Pacifico, le risorse militari statunitensi destinate al fronte giapponese superarono inizialmente quelle allocate all’Europa. Nei primi sei mesi dall’ingresso in guerra, l’esercito statunitense schierò oltre 300.000 soldati nel Pacifico, contro meno di 100.000 inviati in Europa. La prima grande offensiva americana della seconda guerra mondiale ebbe luogo proprio nel teatro del Pacifico, con la battaglia di Guadalcanal nell’agosto 1942. In contemporanea, le forze australiane contrattaccarono i giapponesi nella campagna della pista di Kokoda, in Nuova Guinea.[17]
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Analisi statistica
Riepilogo
Prospettiva
A febbraio e marzo 1942, tre divisioni dell’esercito statunitense furono inviate in Australia e Nuova Zelanda su richiesta di Winston Churchill, al fine di consentire alle divisioni di quei paesi di continuare le operazioni in Medio Oriente. Con tale consistente dispiegamento nel Pacifico, gli Stati Uniti contribuirono indirettamente alla strategia del Europe first, difendendo Australia e Nuova Zelanda e permettendo così alle truppe più esperte di tali nazioni di rimanere impegnate contro le forze tedesche.[12]
Tuttavia, l’impossibilità per gli Alleati di organizzare un’invasione dell’Europa settentrionale occupata dai tedeschi nel 1943 consentì agli Stati Uniti di mantenere un numero maggiore di forze militari impegnate contro il Giappone rispetto alla Germania durante i primi due anni del loro coinvolgimento nel conflitto. Ancora nel dicembre 1943, il bilancio delle forze era quasi equilibrato: contro il Giappone erano schierati 1.873.023 uomini, 7.857 velivoli e 713 unità navali, mentre contro la Germania 1.810.367 uomini, 8.807 aerei e 515 unità navali.[18]
All’inizio del 1944, l’intensificazione del concentramento di truppe americane in preparazione all’invasione della Francia spostò definitivamente l’asse delle risorse verso il teatro europeo, rendendo effettiva la strategia del Europe first. Tuttavia, nonostante la priorità assegnata al fronte europeo, gli Stati Uniti conservarono nel 1944 risorse sufficienti per condurre nel Pacifico diverse importanti operazioni militari: battaglia di Saipan (giugno 1944), battaglia di Guam (luglio 1944), battaglia di Peleliu (settembre 1944) e la campagna delle Filippine a ottobre 1944.[senza fonte]
Nel 1944 e nel 1945, l’equilibrio delle risorse statunitensi si spostò in modo deciso verso il teatro europeo, poiché la strategia del Europe first divenne una realtà concreta piuttosto che un semplice obiettivo dichiarato. Al termine della guerra in Europa, l’esercito statunitense disponeva di 47 divisioni nel continente europeo e di 21 divisioni, oltre a 6 divisioni del corpo dei Marine, nel teatro del Pacifico. Complessivamente, il 78% del personale dell’Army Air Forces, le forze aeree dell'esercito statunitense, era schierato contro la Germania, mentre il restante 22% operava nel Pacifico.[senza fonte]
Il piano per l’invasione del Giappone (operazione Downfall) prevedeva il trasferimento di 15 divisioni provenienti dal fronte europeo, insieme all’Eighth Air Force, per essere impiegate nelle operazioni contro l’Impero giapponese.[19]
La visione acritica secondo cui la strategia del Europe first avrebbe determinato rigidamente la distribuzione delle risorse per l’intera durata del conflitto ha portato molti studiosi a sottovalutare l’impegno necessario per sconfiggere il Giappone. Lo storico H. P. Willmott, ad esempio, ha affermato che gli Stati Uniti "destinarono poco più di un quarto del proprio sforzo bellico complessivo alla lotta contro il Giappone".[20] Tale stima, tuttavia, risulta probabilmente inferiore alla realtà, poiché non considerava che, secondo le statistiche ufficiali statunitensi, al momento della resa della Germania nel maggio 1945 circa il 70% della U.S. Navy e l’intero US Marine Corps erano impiegati nel teatro del Pacifico, insieme al 22% dell’U.S. Army.[21]
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Note
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni
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