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Just Say No
campagna antidroga statunitense degli anni 1980-90 Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Just Say No ("basta dire no" o "semplicemente di' no") è stata una campagna di sensibilizzazione contro l'uso di sostanze stupefacenti, promossa dagli anni 1980 agli anni 1990 nel quadro della war on drugs (guerra alla droga), sotto l'egida della first lady Nancy Reagan, moglie del presidente degli Stati Uniti d'America Ronald Reagan.[1]

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Origine
Riepilogo
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Le origini della campagna sono radicate negli studi di Richard I. Evans, docente di psicologia sociale all'università di Houston, il quale negli anni 1970 propose il proprio modello di "inoculazione sociale", basato su tecniche di trasmissione e assimilazione di valori e competenze a carattere positivo, finalizzati resistere alla pressione dei pari e ad altre influenze sociali nei confronti di comportamenti pericolosi. Sulla base degli studi di Evans, il National Institute on Drug Abuse promosse un concorso di idee a livello nazionale per l'ideazione di una campagna di sensibilizzazione antidroga, che fu vinto da Jordan Zimmerman, al tempo studente presso l'Università della Florida Meridionale, il quale propose come slogan proprio Just Say No.[2][3]
Lo slogan venne ripreso nei primi anni 1980 da Robert Cox e David Cantor, dirigenti pubblicitari presso la sede di New York dell'agenzia Needham, Harper & Steers, alla quale l'Ad Council (ente benefico statunitense che produce, distribuisce e promuove pubblicità sociale in favore di organizzazioni no-profit, non governative e agenzie del governo degli Stati Uniti) aveva commissionato per conto del National Institute on Drug Abuse una campagna mediatica rivolta ai giovani, con l'obiettivo di fornire loro strategie semplici ed efficaci per rifiutare l'uso di droghe. La celebrità arrivò allorché la first lady Nancy Reagan (che aveva deciso di focalizzare la propria influenza proprio sulla sensibilizzazione verso i rischi legati al consumo di stupefacenti, in sintonia con la vigorosa azione del marito, che inasprì le pene verso spacciatori e consumatori, aumentando i fondi per le attività di indagine e repressione)[1][4][5] lo utilizzò durante una visita a una scuola primaria a Oakland, in California, in risposta al quesito di un'alunna in merito a cosa fare nel caso qualcuno le avesse offerto della droga.[6][7][8]
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Sviluppo
Riepilogo
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Nancy Reagan si impegnò con decisione nella campagna, conducendo molte visite in scuole, università, comunità terapeutiche, centri di recupero dalla tossicodipendenza ed enti di prevenzione; al contempo condusse una fitta attività mediatica, compiendo numerose apparizioni televisive (nell'ottobre 1983 fu anche copresentatrice di una puntata di Good Morning America)[9] pubblicando vari op-ed su giornali e riviste[5] e patrocinando la produzione di un documentario a tema per la PBS.[10]
La campagna Just Say No crebbe ulteriormente di popolarità grazie anche ai testimonial che vi si prestarono, tra i quali Clint Eastwood (che comparve accanto a Nancy Reagan in un annuncio pubblicitario)[11][12] e La Toya Jackson (che incise un singolo intitolato, appunto Just Say No);[13] allo scopo, la stessa first lady apparve, nel ruolo di sé stessa, in episodi a tema di popolari serie televisive, quali Diff'rent Strokes e Punky Brewster, e patrocinò, nel 1985, la produzione del videoclip musicale Stop the Madness, al quale presero parte tra gli altri Claudia Wells, i New Edition, Toni Basil, La Toya Jackson, Whitney Houston, David Hasselhoff, Kareem Abdul-Jabbar, Kim Fields, Herb Alpert, Arnold Schwarzenegger, Darrell Creswell, Tim Feehan, Casey Kasem e Boogaloo Shrimp.[14]
Dal 1985 Nancy Reagan si impegnò per internazionalizzare la campagna, invitando alla Casa Bianca 30 consorti presidenziali di vari Paesi per la prima First Ladies Conference on Drug Abuse.[5] Nello stesso anno, divenne la prima first lady a tenere un discorso (proprio su questo tema) di fronte all'assemblea generale delle Nazioni Unite.[5]
Anche grazie al fattivo supporto di organizzazioni quali Girl Scouts of the United States of America, Kiwanis e National Federation of Parents for a Drug-Free Youth,[10] la campagna, sostenuta da un forte battage pubblicitario, crebbe esponenzialmente:[10] in poco tempo sorsero 5000 "club Just Say No" all'interno di scuole e aggregazioni giovanili (i cui aderenti si impegnavano a non fare uso di stupefacenti e a promuovere i valori della campagna), sia negli USA che all'estero,[10] con l'obiettivo di educare e sensibilizzare sui rischi del consumo di stupefacenti.[1]
Il radicamento di Just Say No fu molto efficace anche nel Regno Unito[15] e in Australia, anche sull'onda emotiva generata dalla morte di due ragazze giovanissime nei rispettivi paesi (Leah Betts e Anna Wood) per intossicazione idrica dopo aver assunto ecstasy: le rispettive famiglie decisero infatti di utilizzare le immagini delle figlie per sostenere le campagne antidroga.[16][17]
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Effetti e critiche
Riepilogo
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L'impegno di Nancy Reagan aumentò certamente l'interesse mediatico e dell'opinione pubblica verso il tema del consumo di stupefacenti, con effetti anche tangibili: durante la presidenza Reagan, i dati nazionali sull'assunzione di droghe negli USA mostrarono un calo.[18][19][20] Tuttavia, alcune indagini condotte a distanza di anni hanno teso a minimizzare l'impatto effettivo della campagna sulla diffusione e l'uso di tali sostanze,[21] arrivando a riscontrare finanche come, tra i soggetti beneficiari di intervento, al diminuire del consumo di stupefacenti avesse fatto riscontro un aumento del consumo di tabacco e alcoolici.[21]
La campagna fu altresì criticata per l'approccio adottato, giudicato troppo semplicistico e, in pratica, limitato alla mera ripetizione di slogan e alla colpevolizzazione del consumo,[22] tralasciando completamente il veicolare informazioni sui possibili usi legali e sicuri di determinate sostanze, nonché inneggiando all'incarcerazione indiscriminata come strumento contenitivo.[23] I critici hanno anche accusato Just Say No di aver rafforzato lo stigma secondo cui le persone che usano droghe debbano essere etichettate come “cattive” e “colpevoli” di una scelta immorale e consapevole, senza minimamente considerare la responsabilità di fattori esogeni.[24]
Nel 2020 il Siena College Research Institute pubblicò una classifica dell'efficacia di varie campagne promosse dalle first lady statunitense da Lady Bird Johnson in poi: in essa, Just Say No fu indicata al penultimo posto, precedendo solo l'iniziativa contro il cyberbullismo Be Best, promossa nel 2018 da Melania Trump.[25]
Note
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