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teoria fisica, sviluppata da Albert Einstein, che riformula ed estende le leggi della meccanica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La teoria della relatività ristretta (o relatività speciale), sviluppata da Albert Einstein nel 1905,[1] è una riformulazione ed estensione delle leggi della meccanica, che attraverso una revisione dei concetti fondamentali di spazio e tempo portò a una radicale svolta nella comprensione del mondo fisico.
La teoria nacque dalla necessità di ottenere leggi della dinamica coerenti con quelle dell'elettromagnetismo. Le correzioni relativistiche diventano indispensabili quando si considerano velocità confrontabili con la velocità della luce; per fenomeni in cui le velocità sono significativamente inferiori le formule della meccanica classica risultano essere una buona approssimazione di quelle della relatività ristretta.
La teoria si basa su due postulati:[2]
Il primo postulato, noto come principio di relatività speciale, estende il principio di relatività di Galileo dalla meccanica a tutte le leggi della fisica. Il secondo postulato, sull'invarianza della velocità della luce, elimina la necessità dell'etere luminifero, fornendo l'interpretazione oggi condivisa dell'esperimento di Michelson-Morley.
Dai due postulati discende che nell'universo descritto dalla relatività speciale, le misure di intervalli temporali e di lunghezze spaziali effettuate da osservatori inerziali non corrispondono necessariamente fra loro, dando luogo a fenomeni come la dilatazione del tempo e la contrazione delle lunghezze, che sono espressione dell'unione dello spazio tridimensionale e del tempo in un'unica entità quadridimensionale nella quale si svolgono gli eventi, chiamata cronotopo o spaziotempo. In questo ambito lo strumento matematico che consente il cambio di sistema di riferimento sono le trasformazioni di Lorentz, che si riducono alle trasformazioni di Galileo della fisica classica nel limite di basse velocità. Menzionando esplicitamente[3] le trasformazioni di Lorentz nel primo postulato:
Einstein lo rese in seguito l'unico necessario. Con questa formulazione, infatti, il secondo postulato (sull'invarianza della velocità della luce nel vuoto) può essere derivato dal primo (si veda Principio di relatività), risultando quindi superfluo.[Nota 4]
Sempre nel 1905 Einstein ricavò inoltre, nell'ambito della relatività ristretta,[4] la relazione tra l'energia e la massa di un corpo a riposo,[5] affermando l'equivalenza massa-energia e, di conseguenza, un principio fondamentale di conservazione massa-energia. La relazione generale massa-energia è oggi espressa dalla formula E=mc².
La fisica classica, ovvero la fisica newtoniana, postula l'esistenza dello spazio e del tempo assoluti, che hanno cioè proprietà determinate indipendentemente dal sistema di riferimento utilizzato e in cui la misurazione di distanze spaziali e intervalli temporali fornisce gli stessi risultati in qualunque sistema di riferimento. Allo stesso modo, in meccanica classica due eventi simultanei, cioè con la stessa coordinata temporale in un dato sistema di riferimento, lo sono anche in ogni sistema di riferimento inerziale rispetto al primo. In fisica, un sistema di riferimento inerziale è un sistema di riferimento in cui è valido il primo principio della dinamica. La relatività galileiana stabilisce la validità dei principi della dinamica di Newton in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Le trasformazioni di Galileo determinano come si debba trasformare il valore delle coordinate spaziali, passando da un sistema di riferimento inerziale a un altro.
L'esistenza di uno spazio e di un tempo assoluti in cui si muovono i corpi non implica però l'esistenza di un sistema di riferimento o di uno stato di moto assoluti. Non esiste alcun punto di osservazione privilegiato nell'universo rispetto al quale sia possibile misurare in termini assoluti le distanze o le velocità: per la relatività galileiana in ogni sistema di riferimento inerziale, indipendentemente dalla sua velocità relativa, valgono sempre le stesse leggi fisiche. Conseguentemente, lo stato di quiete è sempre relativo ad dato sistema di riferimento inerziale, ma non esiste alcun esperimento in grado di verificare se tale sistema è fermo in senso assoluto. Come scrisse Galileo Galilei:
«Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti: siavi anco un gran vaso d'acqua, e dentrovi de' pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vada versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca che sia posto a basso; e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza. [..] Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia mentre il vascello sta fermo non debbano succedere così: fate muovere la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur di moto uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti; né da alcuno di quelli potrete comprendere se la nave cammina, o pure sta ferma.»
Fin dagli sviluppi della fisica classica nel XVII e nel XVIII secolo, ci fu un intenso dibattito circa la natura profonda della luce e si erano formate due scuole di pensiero che proponevano due ipotesi opposte. La prima ipotesi sosteneva che la luce fosse composta da corpuscoli di natura particellare, mentre per la seconda ipotesi la luce ha una natura ondulatoria. In base alle conoscenze dell'epoca, era ferma l'idea dell'onda che si origina come vibrazione meccanica e che si propaga necessariamente in un mezzo,[Nota 5] come ad esempio le onde sonore nell'atmosfera. Ipotizzando una natura ondulatoria della luce, fu quindi concepito un mezzo, l'etere, in cui potesse propagarsi:
«Hypothesis I: A luminiferous Ether pervedes the Universe, rare and elastic in high degree. [...] Hypothesis II: Undulations are excited in this ether whenever a body becomes luminous. [...] Hypothesis III: The Sensation of different Colours depends on the different frequency of Vibrations, excited by light in the retina.»
«Ipotesi I: Un etere luminifero pervade l'universo, altamente rarefatto ed elastico. [...] Ipotesi II: Non appena un corpo diventa luminoso, sono emesse ondulazioni in questo etere. [...] Ipotesi III: La percezione di diversi colori dipende dalla diversa frequenza delle vibrazioni, eccitate dalla luce nella retina.»
Numerose verifiche sperimentali, come l'esperimento di Young, la macchia di Poisson o la misura della velocità della luce nell'acqua e nell'aria di Foucault confermarono la natura ondulatoria della luce. La teoria dell'elettromagnetismo, giunta a completamento con le equazioni di Maxwell, sancì il la vittoria dell'ipotesi ondulatoria circa la natura della luce. Le equazioni di Maxwell ammettono infatti soluzioni ondulatorie, le onde elettromagnetiche, che si propagano alla velocità della luce.[8] La scoperta che la luce non è altro che un'onda elettromagnetica in un determinato intervallo di lunghezze d'onda permise di unificare l'ottica e l'elettromagnetismo in una unica teoria. L'etere divenne quindi non solo il mezzo attraverso il quale si propaga la luce, ma anche il mezzo attraverso il quale si propagano i fenomeni e la forza elettromagnetica. Come scrisse Maxwell, si pensò che un unico mezzo che fosse in grado di spiegare l'ottica e l'elettromagnetismo rafforzasse l'idea dell'esistenza dell'etere luminifero, che non avrebbe dovuto più essere considerato un mero artificio introdotto ad-hoc solo per pura convenienza teorica:
«In several parts of this treatise an attempt has been made to explain electromagnetic phenomena by means of mechanical action transmitted from one body to another by means of a medium occupying the space between them. The undulatory theory of light also assumes the existence of a medium. We have now to shew that the properties of the electromagnetic medium are identical with those of the luminiferous medium.
To fill all space with a new medium whenever any new phenomenon is to be explained is by no means philosophical, but if the study of two different branches of science has independently suggested the idea of a medium, and if the properties which must be attributed to the medium in order to account for electro magnetic phenomena are of the same kind as those which we attribute to the luminiferous medium in order to account for the phenomena of light, the evidence for the physical existence of the medium will be considerably strengthened.»
«In diverse parti di questo trattato si è cercato di spiegare i fenomeni elettromagnetici per mezzo di un'azione meccanica trasmessa da un corpo all'altro grazie ad un mezzo che occupa lo spazio tra di loro. Anche la teoria ondulatoria della luce presuppone l'esistenza di un mezzo. Dobbiamo ora mostrare che le proprietà del mezzo elettromagnetico sono identiche a quelle del mezzo luminifero.
Riempire tutto lo spazio con un nuovo mezzo ogni volta che un nuovo fenomeno deve essere spiegato non è affatto razionale, ma se lo studio di due diversi rami della scienza ha suggerito indipendentemente l'idea di un mezzo e se le proprietà che devono essere attribuite al mezzo per spiegare i fenomeni elettromagnetici sono dello stesso tipo di quelli che attribuiamo al mezzo luminifero per spiegare i fenomeni di luce, l'evidenza dell'esistenza fisica del mezzo sarà notevolmente rafforzata.»
L'esistenza dell'etere implicava quella un sistema di riferimento privilegiato, in quiete rispetto all'etere, rispetto al quale sono valide le equazioni di Maxwell e in cui la velocità della luce nel vuoto risulta essere . Inoltre, due osservatori in sistemi inerziali diversi avrebbero dovuto usare equazioni diverse per descrivere gli stessi fenomeni elettromagnetici.[1] Infine, una misura della velocità della luce avrebbe potuto determinare lo stato di moto dell'osservatore rispetto all'etere. Secondo il principio di relatività galileiana, la velocità della luce misurata da un osservatore in moto deve rispettare la legge di trasformazione delle velocità di Galileo, per cui la velocità di propagazione effettivamente misurata di un'onda dipende dallo stato di moto dell'osservatore rispetto all'etere.
Vi erano comunque delle difficoltà nel postulare che la propagazione del campo elettromagnetico avvenisse in un sistema di riferimento privilegiato e assoluto, solidale con il mezzo di propagazione delle onde elettromagnetiche chiamato etere. Questo mezzo avrebbe dovuto avere infatti caratteristiche molto particolari, come, per esempio, permeare tutto lo spazio senza offrire nessun attrito apprezzabile al moto dei corpi immersi in esso, attrito che, altrimenti, avrebbe avuto come conseguenza immediatamente visibile il rallentamento del moto dei pianeti e dei corpi celesti. Mancava tuttavia una teoria che spiegasse l'interazione fra l'etere e la materia ordinaria. L'aberrazione celeste, ossia lo spostamento apparente delle stelle nella volta celeste, poteva essere spiegata con il moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole come proposto da James Bradley fin dagli inizi del XVIII secolo.[10] La deviazione relativa dei raggi luminosi in arrivo sulla Terra dalle stelle suggeriva che l'etere non fosse trascinato dal moto della Terra. Al contrario, l'esperimento di Fizeau suggeriva che l'etere e la luce fossero parzialmente trascinati dal moto della materia.[11][12] Infine, gli esperimenti condotti da François Arago nel 1810 sembravano invece mostrare che la materia fosse in grado di trascinare completamente con sé l'etere in essa contenuto, dato che la velocità della luce proveniente dalle stelle era risultata essere sempre la stessa indipendentemente dallo stato di moto della Terra.[13] L'ipotesi dell'esistenza dell'etere portava quindi a risultati contraddittori.
Dal punto di vista storico, il più famoso esperimento che mise in crisi il concetto di etere fu condotto da Albert Abraham Michelson e Edward Morley nel 1887.[12] L'esperimento di Michelson-Morley non mostrò alcuna significativa differenza della velocità della luce nella direzione parallela alla velocità terrestre, in violazione della legge di composizione delle velocità classiche. Secondo la fisica classica infatti, la velocità della luce (300.000 km/s) avrebbe dovuto comporsi con quella della Terra (30 km/s), nel percorrere un tragitto nella direzione del moto di rivoluzione terrestre. Anche quando l'esperimento fu ripetuto sei mesi dopo, con la Terra in moto in direzione opposta rispetto a un sistema solidale col Sole, si ottenne lo stesso risultato: la velocità della luce era sempre la stessa (300.000 km/s), entro i limiti degli errori sperimentali:
«It appears, from all that precedes, reasonably certain that if there be any relative motion between the earth and the luminiferous ether, it must be small [...]»
«Sembra ragionevolmente certo, da tutto quello che precede, che se c'è un moto relativo fra la Terra e l'etere luminifero, deve essere piccolo [...]»
Il "fallimento" dell'esperimento di Michelson nel raggiungere l'obiettivo prefissato, cioè di dimostrare il moto relativo fra la Terra e l'etere, portò Hendrik Lorentz a formulare una teoria secondo la quale l'interazione fra la materia e l'etere fosse responsabile della contrazione degli strumenti di misura, accorciando quindi il tragitto che la luce avrebbe dovuto percorrere nella direzione del moto terrestre.[14] Le trasformazioni di Lorentz, sviluppate negli anni successivi nell'ambito della teoria dell'elettrone di Lorentz sono la base della relatività ristretta, anche se furono ideate nel tentativo di fondare l'esistenza dell'etere.
La contrazione dei corpi proposta da Lorentz lasciava aperti vari problemi, in particolare sulle proprietà dell'etere che consentissero la contrazione della materia.[14] Una più semplice alternativa fu proposta da Albert Einstein, abbandonando completamente l'etere e supponendo semplicemente che la luce si propaga nel vuoto ad una velocità costante, indipendente dal sistema di riferimento. Così Einstein nel suo articolo "Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento", dopo aver discusso le simmetrie delle equazioni di Maxwell e dei fenomeni elettromagnetici,[Nota 6] spiegò i presupposti necessari per lo sviluppo della teoria della relatività ristretta:
«Beispiele Ähnlicher Art, sowie die mißlungenen Versuche, eine Bewegung der Erde relativ zum "Lichtmedium" zu konstatieren, führen zu der Vermutung, daß dern Begriffe der absoluten Ruhe nicht nur in der Mechanik, sondern auch in der Elektrodynamik keine Eigenschaften der Erscheinungen entsprechen, sondern daß vielmehr für alle Koordinatensysteme, für welche die mechanischen Gleichungen gelten, auch die gleichen elektrodynamischen und optischen Gesetze gelten, wie dies fur die Größen erster Ordnung bereits erwiesen ist. Wir wollen diese Vermutung (deren Inhalt im folgenden "Prinzip der Relativitat" genannt werden wird) zur Voraussetzung erheben und außerdem die mit ihm nur scheinbar unvertragliche Voraussetzung einführen, daß sich das Licht im leeren Raume stets mit einer bestimmten, vom Bewegungszustande des emittierenden Körpers unabhangigen Geschwindigkeit V fortpflanze. Diese beiden Voraussetzungen genügen, um zu einer einfachen und widerspruchsfreien Elektrodynamik bewegter Korper zu gelangen unter Zugrundelegung der Maxwellschen Theorie fur ruhende Korper. Die Einfuhrung eines "Lichtäthers" wird sich insofern als uberflüssig erweisen, als nach der zu entwickelnden Auffassung weder ein mit besonderen Eigenschaften ausgestatteter "absolut ruhender Raum" eingeführt, noch einem Punkte des leeren Raumes, in welchem elektromagnetische Prozesse stattfinden, ein Geschwindigkeitsvektor zugeordnet wird.»
«Esempi simili, così come i tentativi falliti di rilevare il moto della Terra rispetto all'etere luminifero, portano a supporre che il concetto di stato a riposo assoluto non corrisponda ad una proprietà dei fenomeni fisici non solo nella meccanica ma anche nell'elettrodinamica, ma piuttosto che per tutti i sistemi di coordinate in cui sono valide le equazioni della meccanica, valgono anche le stesse leggi elettrodinamiche ed ottiche, come già dimostrato per le grandezze del primo ordine. Vogliamo fare di questo presupposto (il cui contenuto sarà chiamato di seguito il "Principio di Relatività") un postulato e anche introdurre un altro postulato, apparentemente incompatibile con il primo, che la luce nello spazio vuoto si propaghi sempre con una velocità V indipendente dallo stato di moto della sorgente emittente. Queste due condizioni sono sufficienti per arrivare a una elettrodinamica dei corpi in movimento semplice e libera da contraddizioni, basata sulla stessa teoria di Maxwell formulata per i corpi a riposo. L'introduzione di un "etere luminifero" si rivelerà superflua in quanto, secondo l'interpretazione sviluppata, non si introduce uno "spazio assoluto in quiete" dotato di proprietà speciali, né viene assegnato un vettore velocità ad un punto nello spazio vuoto nel quale avvengono i processi elettromagnetici.»
La strada era fortemente innovativa, concettualmente semplice. Per questo Einstein non considerò mai la relatività speciale come motivo d'onore: disse invece che chiunque vi sarebbe prima o poi giunto, solo considerando le evidenze sperimentali.[15] In effetti, Henri Poincaré aveva svolto e pubblicato prima di Einstein i calcoli della cinematica relativistica, fermandosi però ad un passo dall'affermare la non esistenza dell'etere. Quel passo, decisivo e rischioso ad un tempo, sarà fatto solo da Einstein nell'articolo Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento.
La misura delle lunghezze, ossia delle distanze fra due punti nello spazio definite come
e degli intervalli temporali fra due eventi è assoluta nella meccanica classica, nel senso che è identica fra tutti gli osservatori inerziali. Tuttavia, essendo la velocità di un qualsiasi corpo o particella uguale alla distanza percorsa diviso l'intervallo di tempo necessario per percorrerla, l'invarianza della velocità della luce nella relatività ristretta ha come conseguenza che gli osservatori inerziali in generale discorderanno sugli intervalli temporali e sulle lunghezze. Questo disaccordo non ha una caratteristica meccanica, ossia i corpi in moto non risultano fisicamente schiacciati o compressi[Nota 7] oppure non percepiscono che il tempo scorra più lentamente. Il disaccordo è invece solamente un effetto legato alla misura degli intervalli temporali e delle lunghezze. Questa peculiarità della relatività delle misure delle distanze e degli intervalli temporali è il cuore della teoria della relatività ristretta. Il fenomeno della contrazione delle lunghezze e della dilatazione del tempo è una conseguenza necessaria dell'invarianza della velocità della luce misurata da tutti gli osservatori inerziali.
A partire dai due postulati ammessi da Einstein, in particolare dall'invarianza della velocità della luce, il primo passo per comprendere questi fenomeni è quello di definire le nuove trasformazioni che permettono di passare da un sistema di coordinate ad un altro in moto relativo. Il problema da affrontare è quello di capire come gli eventi siano visti da due osservatori inerziali, in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro. Un evento, nel linguaggio della relatività ristretta, è un punto dello spaziotempo quadrimensionale dato dalle coordinate , che corrisponde ad un evento occorso in un punto dello spazio ad un certo istante. Mentre nella fisica classica la coordinata temporale ha una caratteristica assoluta per tutti gli osservatori, mentre questo non è più vero nella relatività ristretta, a causa dell'invarianza della velocità della luce. Due osservatori inerziali saranno perciò discordi non solo sulla posizione relativa dell'evento , ma anche sull'istante in cui è accaduto. Dalle trasformazioni dei punti nello spaziotempo quadridimensionale sarà poi possibile comprendere il fenomeno della contrazione delle lunghezze e della dilatazione del tempo.
Le trasformazioni galileiane, che legano le coordinate osservate da due osservatori inerziali in moto reciproco a velocità , non sono compatibili con i principi della relatività ristretta. Infatti, le trasformazioni che legano i punti visti dal primo osservatore (O1) con i punti osservati dal secondo osservatore (O2) sono della forma:
dove si è assunto, senza perdita di generalità, che il moto dei due osservatori avvenga lungo l'asse , ossia che . La prima di queste equazioni, con la sua inversa, esprime semplicemente il moto rettilineo uniforme del primo osservatore rispetto al secondo, assieme al fatto che le posizioni osservate dei punti dello spazio si trasleranno di conseguenza. L'ultima equazione definisce l'uguaglianza del tempo assoluto classico.
Tuttavia, supponendo di descrivere con la variazione della posizione di un raggio di luce che viaggia lungo l'asse in un intervallo queste trasformazioni implicano che la velocità della luce diventi nel secondo sistema di riferimento
Questa formula è la legge di composizione classica delle velocità. Dato che a muoversi è un raggio di luce, si avrebbe nel primo sistema di riferimento
mentre la velocità osservata nel secondo sistema di riferimento sarebbe , superiore rispetto a quella della luce. Ad esempio, emettendo un segnale luminoso da un corpo in moto in un sistema di riferimento, classicamente ci si aspetta che questo si muova ad una velocità diversa da quella della luce emessa da un corpo fermo, o inferiore o superiore, a seconda di dove è stato diretto il segnale. In altri termini, classicamente la velocità della luce non è invariante. Le trasformazioni di Galileo violano quindi il secondo principio della relatività ristretta e sono in contrasto coi risultati dell'esperimento di Michelson-Morley. Bisogna allora supporre che le trasformazioni di coordinate nella relatività ristretta abbiano forma differente.
Le trasformazioni di Lorentz soddisfano invece i principi della relatività ristretta e in particolare l'invarianza della velocità della luce. Le trasformazioni hanno la forma:
dove si è supposto che il moto relativo dei due osservatori avvenga lungo l'asse e si sono introdotti il parametro di velocità
e il fattore di Lorentz
Al contrario del caso delle trasformazioni galileiane, il tempo non è assoluto: due osservatori in moto relativo associeranno ad uno stesso evento, cioè ad un punto (x, y, z, t), non solo posizioni differenti, ma anche tempi differenti, dato che . Il concetto di simultaneità di conseguenza non è più assoluto ma dipende dal sistema di riferimento. In questo modo, la velocità della luce risulta invariante. Infatti, considerando il rapporto:
se la velocità misurata da uno dei due osservatori è quella di un raggio di luce
allora anche per l'altro osservatore la velocità della luce misurata è la stessa:
Nel limite di basse velocità, , si ha approssimando che
e anche
sicché le trasformazioni di Lorentz si riducono a quelle di Galileo.[Nota 8] In altri termini, gli effetti relativistici diventano non trascurabili per velocità confrontabili con quelle della luce.
Le particelle elementari prive di massa, come i fotoni stessi che costituiscono la luce, viaggiano alla velocità della luce. Dal punto di vista della teoria della relatività ristretta, non è concepibile un sistema di riferimento inerziale solidale nel quale queste particelle siano ferme. Infatti le trasformazioni di Lorentz divergono quando la velocità si avvicina a , dato che in questo limite
facendo divergere le espressioni per il cambiamento di coordinate.
Le trasformazioni di Lorentz trattano il tempo come una coordinata allo stesso livello di una qualunque coordinata spaziale. Dato che un evento può essere sempre individuato tramite la sua posizione nello spazio e lungo l'asse temporale, il formalismo relativistico può essere costruito in uno spazio a quattro dimensioni, lo spazio-tempo di Minkowski, nel quale le prime tre coordinate coincidono con le normali coordinate spaziali e la quarta è rappresentata dal tempo. In questo spaziotempo, le distanze quadri dimensionali fra due punti distinti possono essere positive, nulle o anche negative. Le trasformazioni di Lorentz hanno una importante interpretazione geometrica come le trasformazioni lineari che connettono fra loro sistemi diversi di coordinate spazio-temporali, lasciando invariata la separazione spazio-temporale fra ogni coppia di eventi.
La lunghezza di un corpo in movimento non è invariante, ma subisce una contrazione nella direzione del moto . Supponiamo di misurare la lunghezza di un corpo in due sistemi di riferimento: nel primo il corpo è in quiete, mentre nel secondo è in moto con velocità . Dall'espressione delle trasformazioni di Lorentz, assumendo come sopra di misurare la lunghezza lungo l'asse , nel primo sistema di riferimento inerziale si ha
Le misure di lunghezza nel sistema in cui il corpo è in moto devono essere fatte nello stesso istante, in modo che valga . Allora
Invertendo tale relazione si ha:
Dato che , allora , ossia nel secondo sistema di riferimento inerziale , in cui il corpo risulta in moto, la lunghezza è minore di , quella misurata nel primo sistema di riferimento , nel quale è in quiete. La lunghezza misurata da un osservatore in quiete rispetto all'oggetto è detta lunghezza propria ed è a volte indicata con .
La contrazione delle lunghezze non deve essere interpretata come se il metro variasse la sua dimensione al cambio di sistema di riferimento. Le misure infatti saranno differenti solo se effettuate da un altro osservatore in moto relativo: la lunghezza del proprio metro e la durata del proprio minuto è la stessa per tutti gli osservatori. C'è da specificare, inoltre, che il restringimento della lunghezza secondo la teoria della relatività ristretta avviene soltanto nella direzione di avanzamento, e sia lo scorrere più lento del tempo, sia il restringimento dello spazio, si verificano contemporaneamente.
L'intervallo di tempo trascorso tra due eventi non è invariante, ma subisce una dilatazione se misurato da un orologio di un osservatore in moto rispetto agli eventi . Tale dilatazione è data dalla formula
La durata minima dell'intervallo di tempo è misurata da un orologio solidale con gli eventi; tale intervallo viene chiamato tempo proprio.
Confrontando le due formule per la contrazione della lunghezza e del tempo, si nota che «dove lo spazio si contrae, il tempo si dilata; e, viceversa, dove il tempo si contrae, lo spazio si dilata.» (Einstein) La relazione diventa più evidente se si risolvono le due equazioni rispetto a
da cui si vede che la contrazione della lunghezza è compensata dalla dilatazione dell'intervallo temporale:
Anche il concetto di simultaneità perde la sua assolutezza; infatti, se la velocità della luce è finita ed è la stessa per ogni osservatore, due eventi simultanei in un sistema inerziale non lo sono più se osservati da un altro sistema inerziale in moto rispetto al primo.
Se la luce emessa da due lampadine (chiamiamole A e B) equidistanti da un osservatore O, fermo rispetto a esse, lo raggiungerà allo stesso istante, allora O considererà i due eventi come simultanei.
Un osservatore O' in un diverso stato di moto, ovvero in un sistema di riferimento inerziale in moto rettilineo uniforme rispetto a quello in cui O, A e B sono fermi, in generale percepirà la luce delle due lampadine in istanti diversi. Anche la meccanica classica prevede che la luce abbia una velocità finita, dunque che a seconda della posizione di un osservatore l'informazione luminosa di due eventi distanti simultanei possa giungere prima o dopo.
Nell'ambito della meccanica classica, però, tutto si deve risolvere svolgendo gli opportuni calcoli che tengano nel debito conto la distanza dagli eventi e la velocità della luce: l'osservatore O', sapendo di essere (ad esempio) più vicino ad A che a B, calcolando il tempo che intercorre tra il momento in cui riceve l'impulso luminoso di A e quello di B, e conoscendo le distanze relative e la velocità della luce, dovrebbe concludere che "in realtà" gli eventi erano contemporanei. Per fare un altro esempio, se noi vedessimo un semaforo accendersi a pochi metri da noi e, circa otto minuti dopo, osservassimo una eruzione solare, pur avendo percepito in istanti diversi la luce dei due eventi, concluderemmo secondo la meccanica classica (sapendo che la luce del Sole impiega proprio 8 minuti per giungere sulla Terra) che i due eventi sono avvenuti nel medesimo istante.
Ciò non risulta valido nell'ambito della relatività speciale. Se O' è in moto rispetto a O, A e B (a una velocità sufficientemente alta da apprezzare gli effetti relativistici), anche tenendo nel debito conto come precisato sopra gli effetti della velocità della luce dovrà concludere (ad esempio) che A precede B. Un altro osservatore O", con stato di moto opposto, dovrà invece concludere che B precede A.
La situazione è apparentemente paradossale, a causa della concezione "classica" dell'esistenza di un tempo assoluto, uguale per tutti i sistemi di riferimento. Venendo a mancare questo, sostituito dallo spazio-tempo relativistico, la simultaneità di due eventi distanti risulta essere legata allo stato di moto dell'osservatore di tali eventi, e non più assoluta.
Questa situazione si verifica soltanto per eventi tra i quali intercorre un intervallo di tipo spaziale, tali cioè che è impossibile per un raggio di luce (o per qualcosa di più lento) essere presente a entrambi gli eventi: nell'esempio delle lampadine, in effetti, se esse sono distanti tra loro d, e la loro accensione risulta contemporanea per un osservatore fermo rispetto a esse, un raggio di luce non potrà essere presente sia all'accensione di A sia a quella di B, avendo velocità finita.
Le coppie di eventi per i quali invece la luce (o qualcosa di più lento) può presenziare a entrambi, sono dette separate da un intervallo di tipo temporale: questi eventi saranno visti da tutti gli osservatori, qualunque sia il loro stato di moto, nello stesso ordine cronologico (anche se l'intervallo di tempo potrà apparire più breve o più lungo ai diversi osservatori). Per queste coppie di eventi sussiste dunque una definita relazione causale, legata alla cronologica di prima/dopo che è indipendente dall'osservatore.
Come detto precedentemente, l'effetto principale del limite assoluto () sulla velocità della luce è la mancanza di accordo tra osservatori diversi sulla simultaneità tra due o più eventi osservati dai rispettivi sistemi di riferimento.
Consideriamo due sistemi di riferimento inerziali e e sia la velocità lungo l'asse positivo delle con cui si muove rispetto a . In un emettitore luminoso, posto a metà strada tra due ricevitori distanti uno dall'altro , emette un lampo di luce che per ragioni di simmetria, raggiunge i due rivelatori simultaneamente all'istante .
L'osservatore in invece sostiene che il lampo di luce arriva prima al rivelatore di sinistra e poi a quello di destra, perché deve percorrere meno strada verso sinistra in quanto il rivelatore gli viene incontro. Se è la distanza misurata tra i due ricevitori, allora la luce raggiungerà il rivelatore di sinistra all'istante , mentre raggiungerà quello di destra all'istante .
Quanto detto comporta anche che due orologi perfettamente sincronizzati nel sistema , osservati simultaneamente da non lo saranno più, ma quello a sinistra segnerà un orario maggiore di quello a destra; infatti la differenza si calcola facilmente ponendo una lampada in in posizione tale che illumini contemporaneamente i due orologi secondo il punto di vista dell'osservatore fermo in . Questa lampada dovrà essere posta a una distanza di dall'orologio di sinistra, e di da quello di destra. Allora la luce percorrerà un tragitto più lungo di andando verso l'orologio di sinistra, che segnerà quindi un orario maggiore di secondi rispetto a quello di destra.
Tutta la meccanica classica venne modificata per renderla invariante per trasformazioni di Lorentz, ottenendo risultati diversi dalla visione classica; è comunque sempre valido il limite classico. Basandosi sul fatto che per velocità piccole la dinamica di Newton fornisce risultati corretti, si può supporre che valgano anche in relatività le stesse grandezze, anche se alcune grandezze devono essere ridefinite per accordarsi con la relatività ristretta. In effetti si trova che le stesse leggi di Newton (principio d'inerzia, secondo principio e conservazione della quantità di moto) valgono ugualmente in meccanica relativistica, a patto di ridefinire alcune delle grandezze coinvolte.
È generalmente utilizzato, allo scopo di alleggerire la formulazione e creare degli invarianti per cambiamento di riferimento (quali erano il tempo e l'accelerazione in meccanica classica), un formalismo tensoriale che definisce le grandezze della cinematica non più grazie ai vettori in R3, ma ai quadrivettori nello Spazio-tempo di Minkowski M quadridimensionale. Data una nuova definizione di tempo proprio, uno scalare realmente indipendente dal sistema di riferimento e legato solo al moto del corpo studiato, si possono derivare, dalla posizione di un corpo nello spazio tempo, la sua quadrivelocità e quadriaccelerazione.
Chiamiamo il quadrivettore posizione che identifica la posizione della particella rispetto a un sistema di riferimento inerziale (sistema del laboratorio), dove c è la velocità della luce, t la coordinata temporale e x, y, e z le coordinate spaziali. Differenziando abbiamo:
Definiamo tempo proprio il tempo che misurerebbe un orologio posto su una particella in moto vario nello spaziotempo come se si muovesse di moto rettilineo uniforme. In simboli ( |X| indica la norma di Minkowski):
Il tempo proprio è una grandezza utile a parametrizzare la traiettoria di un corpo.
Definiamo anche il quadrivettore velocità come (quadrivelocità) e il quadrivettore accelerazione (quadriaccelerazione). Possiamo quindi esprimere quadrivelocità e quadriaccelerazione in funzione delle ordinarie velocità e accelerazione come:
Di seguito sono riportati due casi notevoli, ottenuti applicando le trasformazioni di Lorentz.
Si ricava che la nozione di parallelismo tra due rette è invariante, mentre non lo è quella di perpendicolarità. L'angolo tra due vettori è invariante solo se si trovano entrambi in un piano perpendicolare alla velocità relativa tra i due osservatori.
Come diretta conseguenza delle trasformazioni di Lorentz, le velocità si compongono non come normali vettori (vedi regola del parallelogramma) ma in un modo diverso, che tiene conto dell'insuperabilità della velocità della luce. Se nel sistema S un corpo ha velocità , e il sistema S* si muove di velocità , cioè parallela all'asse x del sistema S, la velocità del corpo nel sistema S* sarà data dalle seguenti formule:
Nel passaggio da un SdR inerziale ad un altro l'accelerazione di un corpo non è invariante. Supponiamo di avere due sistemi di riferimento S e S*; poniamoci inizialmente solidali ad S e ipotizziamo che S* si muova con velocità . Osserviamo ora una particella che si muove con velocità e accelerazione , allora, nel passaggio da S a S*, le componenti di si trasformano nel seguente modo:
Supponiamo di essere in una situazione analoga alla precedente, allora SdR inerziale S*: . L'accelerazione della particella misurata in questo SdR inerziale è detta accelerazione propria .
Nel caso in cui la particella si muova di moto rettilineo lungo l'asse x, .
Nel caso in cui la particella si muova di moto circolare uniforme, ruotando gli assi in modo che la velocità sia sempre diretta lungo x, .
L'accelerazione propria è invariante per trasformazioni di Lorentz, infatti il quadrivettore accelerazione , che in S* assume la forma , ha norma di Minkowski al quadrato .
Il quadrivettore quantità di moto (quadrimpulso) è definito, similmente alla meccanica newtoniana, come:
dove m è la massa invariante.
La quantità di moto tridimensionale nel sistema di riferimento dell'osservatore diventa quindi:
A causa del coefficiente la quantità di moto di un corpo tende a infinito quando v tende alla velocità della luce c. Analogamente, introducendo la quadriforza il secondo principio si esprime come
oppure, ponendo chiamata forza relativa (al sistema galileiano considerato):
Facciamo l'esempio di una particella sottoposta a una forza costante, come un elettrone sottoposto a un campo elettrico costante. Secondo il senso comune e il secondo principio della dinamica continuando a fornirgli energia esso dovrebbe aumentare linearmente la sua velocità. Nella realtà però, per quanta energia continuiamo a dare, una particella dotata di massa non riuscirà mai a raggiungere la velocità della luce e l'accelerazione risultante sarà sempre minore. Ciò è ben spiegato dalla dinamica relativistica: chiamando "massa relativistica" il termine si desume che la massa inerziale dell'elettrone aumenta con l'aumentare della velocità. A velocità prossime a quelle della luce la massa relativistica tende all'infinito. L'aumento della massa avviene a spese dell'energia fornita e la velocità della luce non può essere raggiunta poiché occorrerebbe un'energia infinita. La relazione tra le misure della massa in due sistemi inerziali diversi è data da: mentre quella della quantità di moto è:
Definendo l'energia E come si dimostra facilmente il teorema dell'energia cinetica:
Sviluppando l'energia in serie di Taylor per piccoli otteniamo:
L'energia, approssimata al second'ordine, risulta essere formata da una componente costante dipendente solo dalla massa del corpo e dal termine , uguale all'energia cinetica della meccanica newtoniana (per piccole v rispetto a c). L'energia E è quindi la naturale estensione dell'energia cinetica "classica". La formula riferita all'energia in quiete, la più conosciuta della Fisica assieme alla 2ª Legge della Dinamica di Newton , dice in sostanza che l'energia può trasformarsi in massa e viceversa: in sintesi, energia e massa sono equivalenti.
Questo principio è quello che si verifica nella fissione nucleare, dove per esempio una massa di 10 grammi di uranio si trasforma in 900.000 miliardi di joule di energia. Tale principio è usato nelle centrali nucleari per produrre energia, e anche nelle bombe atomiche.
Le difficoltà nell'accettazione della teoria della relatività si manifestarono anche nella formulazione di alcuni esperimenti mentali, chiamati paradossi relativistici, in cui l'applicazione della relatività ristretta porta a conseguenze lontane dal senso comune, se non addirittura contraddittorie (da qui il nome "paradossi"). I paradossi relativistici vennero anche usati dai detrattori della relatività per cercare di dimostrare l'incoerenza della teoria stessa.
Alcuni di questi paradossi non cercano propriamente di evidenziare contraddizioni; sono soltanto delle previsioni fatte dalla teoria che risultano lontane dal senso comune, e quindi sono difficili da spiegare al di fuori di un ambito scientifico rigoroso.
Altri paradossi tendono invece a cercare contraddizioni interne alla teoria della relatività. Un famoso esempio è il paradosso dei gemelli, che deve il suo nome alla presentazione che ne fece il filosofo Herbert Dingle negli anni cinquanta. Esso consiste nella situazione di due gemelli, uno dei quali compie un viaggio spaziale verso una stella per tornare quindi sulla Terra. Secondo Dingle, applicando i principi della relatività ristretta, si sarebbe dovuti giungere alla conclusione paradossale che ciascuno dei due gemelli, al ritorno del gemello che era partito, avrebbe dovuto essere più vecchio dell'altro. In realtà, questa situazione non può essere formalmente risolta all'interno della teoria della relatività ristretta ma solo nell'ambito della relatività generale, in quanto solo quest'ultima si riferisce anche ai sistemi di riferimento non inerziali (l'inversione della velocità dall'andata al ritorno della navicella implica infatti un'accelerazione); tuttavia, è possibile darne un'esauriente spiegazione anche nella relatività speciale, trascurando i momenti di accelerazione non nulla, senza giungere a contraddizioni.
Gli effetti sulle lunghezze e sugli intervalli di tempo sono normalmente osservati sia in natura sia nei laboratori, dove particelle sono spinte negli acceleratori a velocità vicine a quelle della luce.
Una prima conferma fu ottenuta grazie all'esperimento di Bruno Rossi e David B. Hall ed è legata alla maggiore vita media dei pioni o dei muoni generati dai raggi cosmici nell'alta atmosfera terrestre: questi pioni e muoni esistono mediamente solo per circa 2 milionesimi di secondo, poi si trasformano in altre particelle. Muovendosi al 99% della velocità della luce, la distanza che dovrebbero percorrere si può calcolare in 300.000 km/s × 0,99 × 2 µs = 0,6 km. Quindi, percorrendo solo 600 metri, ed essendo prodotti nell'alta atmosfera, essi dovrebbero decadere prima di arrivare sulla superficie della terra. Nella realtà essi arrivano fino al livello del mare, cosa che viene interpretata come un aumento della loro vita media a causa dell'alta velocità: rispetto a un osservatore sulla superficie terrestre, la durata del loro stato stabile si allunga (perché il loro tempo scorre più lentamente), e sono quindi in grado di percorrere distanze più grandi di quelle attese.
L'equivalenza tra massa ed energia è confermata dal difetto di massa: due particelle legate tra loro hanno una massa totale minore della somma delle stesse particelle libere; la differenza di massa è dovuta al fatto che le particelle appartengono allo stesso sistema cinetico: nel caso opposto entrambe sommano alla loro massa inerziale quella cinetica.
Nel 2022, è stata rilevata la contrazione del campo elettrico (campo di Coulomb) circoscritto ad un elettrone ad alta energia che si muoveva a velocità prossime a quello della luce, generato da un acceleratore di particelle lineari.[16]
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